Addio a Bensaid, il filosofo che voleva continnuare l’avventura di Karl Marx
Comunista, trotzkista, animatore del maggio ’68 a Parigi al tempo dei suoi studi a Nanterre. Ma soprattutto teorico e filosofo marxista, ostinato fino all’ultimo, nel segno di una concezione «prassistica» del marxismo, tra Gramsci, Korsh, Bloch e Althusser. Questo era Daniel Bensaid, nato nella capitale francese nel 1946 e scomparso ieri all’età di 63 anni dopo una lunga malattia. Influsso minoritario il suo, ma riconoscibile fin dal tempo della sua scelta di schierarsi con la Jeunesse Révolutionnaire al fianco di Alain Krivine, leader francese della Quarta Internazionale. Un universo politico al quale era rimasto fedele fino all’ultimo. Sino ai tempi più recenti, come membro del Segretario Unificato della IV, del quale era uno dei più influenti teorici. Collaborava per il periodico trotzkista La Gauche ed era membro dell’Istituto per la Ricerca e la Formazione. Di recente, in occasione delle elezioni politiche italiane del 2008, aveva promosso un appello a favore della sinistra radicale italiana e sottoscritto da figure come Noam Chomsky, Michel Onfray e Ken Loach.
Quanto al suo orizzonte teorico, al centro c’era Marx. Un Marx laboriosamente ripulito dalle incrostazioni positivistiche e ortodosse e messo a confronto con le prospettive di Benjamin e Bloch. Numerosi i suoi lavori in questo ambito. Ma per chi volesse capire il Marx di Bensaid non v’è libro come il suo Marx l’intempestivo. Grandezze e miserie di un’avventura critica che possa meglio chiarirne la lettura (Edizioni Alegre, Roma 2007). Innanzitutto Bensaid è un nemico delle interpretazioni «scientifiche» di Marx, nel senso di una rivendicazione del carattere aperto e conflittuale della scienza marxiana: decifrazione continua di tendenze sociali contraddittorie e volatili. Non già prognosi fatalista e determinista del senso della Storia. Altro tema: la contraddizione. Non «teleologica» come in Hegel, né spirituale e tesa all’Autocoscienza assoluta. Bensì materiale e fisica, anche nel senso di simbolica, come energia metaforica del pensiero che rappresenta e disloca nel divenire concreto il gioco delle forze reali. Prima tra queste forze reali il conflitto delle classi, concetto al quale Bensaid non voleva rinunciare.
Ancora: il senso della Storia. Mobile e indeciso per lui. Intempestivo, magari in ritardo sulle previsioni e spesso acceso da eventi imprevedibili, o riflesso indiretto di contraddizioni sociali lontane. Come nel caso di rivoluzioni innescate in aree arretrate e deboli, da eventi contestuali o periferici del «sistema-mondo».
E la politica? Per Bensaid era circolo sperimentale teoria-pratica. Non un prontuario bello e fatto. Insomma fu un ortodosso che cercò di dilatare al massimo la presa contemporanea delle categorie marxiste. Senza mai rimettere in discussione radicale.