Addio Tas
Conoscere Stefano Tassinari, il Tas per gli amici, è stato un vero privilegio. Se n’è andato purtroppo stamattina, con leggerezza, dopo anni di battaglia dura, corpo a corpo, orgogliosa contro un tumore assassino. E’ stato un privilegio perché Stefano non è stato solo uno scrittore raffinato, dotato di una vena poetica intensa e, in più, un compagno di battaglie politiche ma è stato quello che una volta si sarebbe detto un intellettuale organico. La voglia di scrivere e di dibattere di letteratura era intimamente connessa alla voglia di trasformare il mondo, l’una animava l’altra e viceversa. E in questa sua ispirazione profonda ha trovato senso e radice la “Nuova rivista letteraria” che questa casa editrice ha avuto l’onore di editare. Ho sempre fatto molta fatica a spiegarglielo, ogni volta che si preoccupava dei conti, delle copie vendute, dei costi di stampa e si affannava a cercare fondi, sottoscrizioni cercando di non pesare sul nostro bilancio: per me, per noi, pubblicare la sua rivista era un segno di orgoglio e di piacere per un mestiere difficile e infernale.
Non c’è stato incontro con lui in cui, oltre a farsi venire un’idea, a dare un suggerimento prezioso, non si discutesse di come organizzare il lavoro, di come risolvere un problema, di quante e quali presentazioni realizzare. Un organizzatore, un trascinatore e, per la rivista, un vero direttore che pressava i “suoi” redattori chiedendo il rispetto dei tempi di consegna, incitando, sollecitando. Lavorare con Tassinari è stato davvero un privilegio.
Il primo incontro, in realtà, non è stato con lo scrittore ma con il militante politico. Stefano aveva attraversato gli anni 70, il movimento, Avanguardia operaia prima e Democrazia proletaria dopo, giornalista al Quotidiano dei lavoratori e a Radio città futura, infine Rifondazione comunista. Questo suo essere “d’altri tempi” se lo portava dentro non come identità supponente ma come ricordo geloso di una stagione decisiva della vita italiana troppo spesso liquidata nel piombo di quegli anni. E non a caso, il suo ultimo libro, la raccolta di racconti dedicata a ognuno degli anni che vanno dal 1969 al 1978, aveva voluto, fortemente, intitolarla “D’Altri tempi”. Ci teneva molto a quei racconti, al modo in cui aveva fatto rivivere una stagione, semplicemente narrando storie, personaggi legati a quell’epoca, al suo ricordo, alla vita tumultuosa di quegli anni. Rigorosamente senza alcun “reducismo” come aveva avuto modo di sottolineare in un’intervista al manifesto di qualche tempo fa. L’idea di fondo, invece, fortemente politica, e culturale, era quella di riattivare un “ponte” tra la sua generazione, che aveva tentato la trasformazione, e le generazioni attuali che, “quando gli chiedi chi ha fatto la strage di Bologna qualcuno risponde che è stato Renato Curcio”. Era stata questa, del resto, l’ispirazione che ha mosso il libro con cui più compiutamente si è messo a confronto con quegli anni, “L’amore degli insorti”.
In Rifondazione, dove non ha mai cercato ruoli e visibilità, ha cercato di tenere alta l’attenzione per l’attività culturale e, purtroppo, si è rammaricato per non esserci riuscito. Indicativo che il suo circolo di impegno fosse proprio un circolo “culturale” dedicato a Victor Jara. Solo che in un circolo culturale lui si distingueva per l’infaticabile cucina che sapeva mettere su in occasione delle feste di Liberazione. Attività che ha poi continuato al servizio di Letteraria. Il miglior cuoco-scrittore che abbia mai conosciuto, come ancora ricordano bene a Caldarola dove è stata allestita la prima festa di Letteraria nel 2011. Un comunista d’altri tempi, dunque, ma un comunista controcorrente che non sopportava i riti, le burocrazie e il conformismo. Un comunista che amava Trotzky – e da qui nasce “L’ora del ritorno” sul partigiano trotzkysta e “Il vento contro” dedicato a Pietro Tresso – e soprattutto la sua idea di cultura e letteratura fuori e contro ogni “ordine” di partito. Contro lo zdanovismo e per la libertà dell’artista.
La capacità di organizzatore e di attivista si è espressa con forza nell’attività teatrale, dove quegli anni 70 avevano visto la luce originaria nello spettacolo “Agli angeli ribelli”, e in cui dava grande prova di interpretazione anche grazie a una voce molto bella. Sulla stessa scia le trasmissioni radio come l’ultima su Radio3, “Passioni”. E del resto, molta della sua prosa era pensata e scritta per essere letta in pubblico.
Cultura, politica, letteratura, organizzazione di eventi, vicepresidente dell’associazione degli scrittori di Bologna e poi altre iniziative fino alla ricomposizione di gran parte di questo lavoro in “Letteraria”, la rivista che ha voluto con determinazione, che ha fatto nascere, di cui ha garantito l’equilibrio economico e che ha consentito a figure artistiche e intellettuali diverse di trovare un filo comune, di condividere i differenti percorsi e di ridare prestigio alla forma rivista, grazie anche al contributo di un grande della fotografia come Mario Dondero. Il 19 maggio avrebbe ricevuto dal Comune di Bologna il Nettuno d’oro, premio al cittadino che più si è distinto nell’ultimo anno e che il sindaco Merola ha fatto appena in tempo a comunicargli qualche giorno fa in ospedale.
Nell’ultimo nostro incontro, fedele a se stesso, si è preoccupato di “quante copie” fossero state prenotate per l’ultima sua invenzione, “Lavoro vivo”, il libro di racconti scritto per la Fiom. Era stato lui ad avere l’idea e a presentarla al segretario della Fiom di Bologna. Lo aveva fatto dopo aver portato la sua disponibilità a sostenere il sindacato metalmeccanico nella vertenza contro la Fiat e costruendo così un ponte tra scrittori, letteratura e impegno sociale. Da quell’incontro è scaturito un libro che narra del lavoro, di lavoratori e lavoratrici e che costituisce un lascito originale del suo impegno. Anche in questo caso, ha voluto offrirci il privilegio dell’edizione. Stefano ci mancherà in un modo che solo ora, mentre scriviamo queste righe, riusciamo a comprendere. E ancora non del tutto. Nell’abbraccio, commosso e affettuoso a Stefania e a quelli che gli hanno voluto bene, possiamo solo prendere l’impegno di lavorare concretamente per non dimenticarlo mai.