Afghanistan, Di Pietro e governo uniti alla Camera
Che dire quando lo scontro durissimo tra maggioranza e opposizione si stinge fino a diventare un abbraccio fraterno in tema di guerra e politica estera? E’ accaduto oggi alla Camera sulle mozioni riguardo all’Afghanistan. Ed è accaduto in forme tali che meritano un approfondimento. Specialmente se la cortesia e la collaborazione esplicite hanno coinvolto l’esponente del governo in aula e il gruppo parlamentare dell’Italia dei Valori. La Camera ha approvato tutte le mozioni presentate, sia quelle dell’opposizione, compreso quindi Di Pietro, che quelle di maggioranza. Il voto è stato “bulgaro”: 452 sì su 476 presenti per la mozione dell’Idv; 479 favorevoli su 480 per la mozione Fassino; risultati analoghi anche per le altre mozioni presentate dall’Udc e dalla maggioranza. Quindi, se sulla giustizia, al Senato nelle stesse ore, si consumava lo scontro a proposito del “Processo breve”, sull’Afghanistan le cose sono andate del tutto diversamente.
La mozione Di Pietro era una classica mozione di avversione moderata allo stato della missione militare in Afghanistan ma puntava nel dispositivo finale alla famigerata exit strategy. Rilevava la differenza tra missione Isaf e Enduring Freedom (quella a guida Usa); metteva in evidenza il conto dei morti italiani negli ultimi 4 anni – 21 caduti – il perdurare del traffico di oppio e il fatto che “l’attuale presenza militare internazionale ed italiana in quel Paese ha, ormai, assunto i caratteri di un vero e proprio conflitto armato, che mal si concilia e che, invece, è necessario torni a conformarsi con il dettato della nostra Carta costituzionale”. Da qui l’impegno al governo “a porre, senza indugi, nelle sedi internazionali, l’esigenza di un riesame e di una modifica dei tempi e della strategia d’intervento di ristabilimento della pace e della democrazia in Afghanistan, avviando un percorso di exit strategy, fermo restando il nostro impegno per la ricostruzione dell’Afghanistan”; e a “responsabilizzare il Governo Karzai”.
Meno interessante la mozione Fassino che ha ripercorso tutte le posizioni classiche del Partito democratico chiedendo un dibattito urgente, un aumento delle risorse ai militari, alla popolazione civile e alle organizzazione di cooperazione ma soprattutto impegnando il governo “a presentare prima dello svolgimento della prossima conferenza di Londra sull’Afghanistan una dettagliata relazione al Parlamento dei Ministri degli affari esteri e della difesa sulla continua evoluzione del contesto afghano, sulla linee politiche che il Governo intende sostenere in occasione della conferenza stessa”. Una chiara richiesta di essere associati alla gestione dell’imminente Conferenza internazionale.
Il governo ha inizialmente espresso parere contrario alle due mozioni, non nel loro insieme ma in particolare per il riferimento alla exit strategy formulato nella mozione Di Pietro e per l’insistita differenza tra Isaf e Enduring Freedom nella mozione Fassino. Ed è a questo punto che il rappresentante dell’Italia dei Lavori, Augusto Di Stanislao, ha preso la parola per pronunciare un accorato intervento centrato sull’importanza “della sicurezza, della solidarietà atlantica e della conferenza e del ruolo che devono avere le Nazioni Unite” e per spiegare al rappresentante del governo, il sottosegretario Mantica, che le parole utilizzate spesso sono diverse ma i concetti non divergono poi troppo. Insomma, la parola exit strategy, che è inglese, si può anche tradurre come via di uscita o qualcosa del genere. Anche perché, ha assicurato Di Stanislao, le parole dell’Idv si rifanno a quanto detto dal nuovo segretario generale della Nato, Rasmussen, “quando parla di rinegoziare l’impegno NATO in Afghanistan e combattere la corruzione per essere più efficaci e chiede un impegno al Governo Karzai e a tutta la coalizione internazionale”.
Ed è a questo punto che il sottosegretario Mantica ha proposto la riformulazione della mozione nel seguente modo: «Impegna il Governo a contribuire nelle sedi multilaterali all’aggiornamento e alla messa in opera della strategia di intervento per il ristabilimento della pace e della democrazia in Afghanistan, avviando un percorso di transizione e graduale trasferimento alle autorità di Kabul delle responsabilità di sicurezza, fermo restando il nostro impegno per la stabilizzazione e la ricostruzione dell’Afghanistan». Via exit strategy e qualsiasi riferimento ambiguo. Da una formulazione moderata a una blanda cianfrusaglia che può voler dire tutto e il suo contrario. Ma l’Idv ha dato immediatamente via libera alla riformulazione, con il conseguente accoglimento da parte del governo e voto unanime del Parlamento. Analoga dinamica si è svolta anche per la mozione del Pd. Voto pressoché unanime, esattamente come avvenne nella scorsa legislatura – al tempo del governo Prodi – e come sembra debba avvenire ancora per molto tempo.
Resta la domanda sul perché il governo abbia cercato una trattativa – resa molto semplice, occorre dire, dall’arrendevolezza dei suoi parlamentari – con il partito di Di Pietro. Forse l’escalation in corso in Afghanistan si affronta meglio con un consenso unanime e bipartisan. Magari utile a criminalizzare gli eventuali oppositori, irriducibili pacifisti che non si vogliono arrendere alla logica della guerra. Resta anche il dato di un’ennesima brutta pagina parlamentare – tra l’altro molto in sordina – e il mistero di come faccia una certa sinistra comunista a considerare l’Italia dei Valori un partito con cui è possibile costruire alleanze strategiche e durature.