Al sole si sta meglio…
Anche quest’anno vari Pride invaderanno le strade del nostro Paese sempre più trans/omofobo, chiuso e dominato da stantie gerarchie ecclesiastiche che tanto predicano ma altrettanto male razzolano. Si è partiti il 12 giugno a Milano, sabato 19 Torino e Palermo, il 26 manifestazione nazionale a Napoli e poi ancora a luglio Roma, Catania e addirittura Treviglio. Qui emerge tutta la specificità italiana, ossia un Pride nazionale itinerante accompagnato (o- dicono le cattivone- soffocato) da tanti altri Pride locali. Nessun altro Stato europeo presenta un’articolazione del genere, ossia il Pride centrale è sempre e solo nella capitale. Certo quest’anomalia ha portato anche effetti molto positivi in alcune città e territori, vedi su tutti Torino nel 2006, dove il Pride ha ricompattato una comunità LGBT completamente disgregata e quasi inesistente fino ad assicurarle una presenza forte sul territorio e la messa in campo di iniziative dall’altissimo spessore. Purtroppo un giudizio altrettanto positivo non può essere dato a molti altri Pride, vedi Grosseto o Verona, dove di fatto non si è riusciti a costruire una larga partecipazione e nemmeno c’è stato un vero e proprio salto di qualità della comunità locale.
Oggi questa contrapposizione tutta nostra emerge più forte che mai: da un lato il Pride nazionale a Napoli costruito da tutta la comunità LGBT nazionale, dall’altro il Pride “locale” a Roma organizzato da poche associazioni desiderose di una vera e propria guerra al Mario Mieli per ottenere maggiori entrate commerciali e per trovare un improbabile sostegno dalla giunta comunale abbassando deliberatamente i toni delle rivendicazioni e ottenere così (come prontamente accaduto) nuovi favori (vedi il nuovo Osservatorio contro l’omofobia annunciato da Alemanno). Il solo slogan romano la dice lunga sul tono delle rivendicazioni: “Ogni bacio una rivoluzione”….davvero dopo 40 anni di movimento (e 16 di Pride di massa in Italia) rivendichiamo solo e soltanto la visibilità di un bacio come gesto di rottura?
Certo quello che si sta producendo a Roma è in linea con quanto sta avvenendo nel resto del Paese, e più in generale con la strada securitaria e legalitaria intrapresa da una certa “sinistra”; per averne un’idea basta l’esempio di Padova dove, in seguito ad un’aggressione omofoba, la questura ha annunciato la nascita di una sorta di corpo speciale delle forze dell’ordine contro l’omofobia (e il razzismo!)…e le associazioni mainstream tutte ad applaudire!
Ecco questa svolta securitaria tutta guardie e telecamere va proprio nella direzione contraria allo spirito del Pride, non soltanto di quel 28 giugno 1969, ma anche dei Pride che coraggiosamente in tutti questi anni hanno sfidato la soffocante norma eterosessista patriarcale e hanno invaso le strade con la volontà di liberarsi dal controllo. Nonostante si affermi spesso il contrario, ciò ha avuto molti effetti positivi, prima su tutti la rottura di invisibilità e stigmatizzazione, la riappropriazione del proprio corpo, del proprio desiderio nello spazio pubblico. Ne è seguita anche un’evoluzione delle richieste portate avanti (“piccola soluzione” per le persone trans, welfare e diritti positivi anche per le coppie omosessuali), anche se ci si è arenati a livello istituzionale sulla richiesta del riconoscimento delle coppie di fatto (passando dalla richiesta dei PACS alla francese ai matrimoni) arrivando alla mediazione dei DICO. Ed i DICO sono proprio la chiave di volta di questi ultimi anni; infatti, durante la campagna elettorale per le elezioni del 2006, grande enfasi era stata data alla questione dei diritti positivi per i soggetti lgbt, con la promessa di una legge sulle unioni civili “sigillata” dalla candidatura di Vladimir Luxuria. Il completo oscuramento di quella promessa, che aveva fortemente mobilitato la comunità LGBT (non è un caso se il Pride più grande degli ultimi anni è stato quello del 2007, durante la discussione parlamentare sui DICO e a poche settimane dal Family Day), ha portato all’ennesima delusione verso la sinistra, a cui non poteva che seguire un allontanamento. Questa “sconfitta storica”, oltre che i singoli, ha messo in seria difficoltà anche le associazioni, che hanno iniziato allora una campagna al ribasso anche nelle rivendicazioni. Come leggere altrimenti il passaggio dall’enorme enfasi ad un diritto positivo come il matrimonio ad uno “negativo” come le aggravanti per le violenze omo/transfobiche?
Oggi si aprono molte sfide che scaturiscono dall’incremento della visibilità negli spazi pubblici e dai diritti concessi alle coppie gay e lesbiche in molte parti del mondo ma anche dagli spazi di contraddizione creati dalle grandi associazioni e da quello lasciato vuoto a sinistra, o piuttosto sempre poco occupato, dai partiti e dalle formazioni della sinistra antagonista. L’obiettiva impermeabilità dei partiti di sinistra alle tematiche lgbt è ormai visibile a tutt@, infatti pur potendo apparire un’ eccezione l’operato di Paola Concia ne raffigura una cartina torna sole. Del tutto isolata nel suo partito Paola Concia, si autonomina difensora delle persone lgbt aprendo un dialogo con Casa Pound, calpestando così l’appartenenza del movimento ad una cultura che di sicuro ha poco a che fare con il fascismo e sottolineando e rendendo evidente l’incapacità del Partito Democratico e della sinistra tutta di proporre e sostenere politiche di diritti.
È utile fare un passaggio anche sulle grandi associazioni che dagli anni 90 gestiscono l’intera scena lgbtiq dai Pride alle serate. Con l’obiettivo di occupare spazi di visibilità nei territori queste associazioni hanno creato luoghi di socialità lgbt, indispensabili per quelle esistenze fuori dalla norma eterosessuale, ma niente hanno ottenuto sul piano dei dritti, comportandosi come lobby hanno perso e ora alcune si leccano le ferite altre percorrono la via dei profitti. Si moltiplicano le iniziative ludiche, discoteche, serate e gay village che a volte si fanno pubblicità utilizzando l’allarme omofobia. Il punto però non è tanto la critica alla commercializzazione dei desideri soprattutto della scena gay, ma piuttosto l’abbandono del terreno della politica, della rivendicazione di diritti . È questo lo spostamento a destra che molti (compresi noi) denunciano. Uno spostamento di pensiero, di obiettivi, di parole d’ordine, d’immaginario e di linguaggio. In poche parole si sta lasciando la politica dei diritti e delle rivendicazioni per entrare in quella della normalizzazione e dell’ordine. Ne è un’esemplificazione la posizione assunta dalle grandi associazioni per ottenere il riconoscimento delle coppie di fatto dove sono state utilizzate espressioni come “anche noi siamo una famiglia come gli altri, per questo dateci gli stessi diritti”. Con tale affermazione, oltre che appiattire la realtà complessa delle relazioni e delle differenze, si compie un’operazione che mette fine alla critica alla famiglia patriarcale e alla logiche eteronormative. Il vuoto a sinistra e la crisi della politica non solo coinvolge anche la scena lgbtiq , ma la disintegra, dando spazio a chi sostiene che in fondo la sessualità ha poco a che vedere con la politica. Questo discorso è agito dalle destre che appunto sostengono la libertà nella vita privata, quindi nelle case, riportando tutto all’invisibilità. È chiaro che ciò non avverrà mai, sarebbe come dire che le donne ritorneranno a casa in questo clima reazionario, il punto è però che questo ragionamento non può che aumentare il clima di violenza e intolleranza contro chi si sottrae.
Andare avanti però significa leggere la realtà che abbiamo descritto come possibilità di produzione di conflitto, dove diviene indispensabile pensare ad una strategia. Partire dal margine, in cui vive e sopravvive la comunità lgbtq, coltivarlo non come spazio di ghettizzazione ma come viene inteso da bell hooks luogo di crescita del pensiero radicale e di intelligenze collettive, in grado di darsi obiettivi chiari evitando inutili compromessi sulle esistenze. Inoltre per intervenire la tendenza è indispensabile il rilancio sul piano delle rivendicazioni e dell’immaginario e soprattutto del linguaggio. Se il linguaggio permea la realtà e viceversa l’obiettivo deve essere intervenire proprio su questo: ridare spazio alla storia e costruire una nuova narrazione che tiene conto dei cambiamenti della società nella gestione del potere della politica e dell’economia. Sulla questione dell’omofobia ad esempio si apre un capitolo importante che non si può tralasciare, ossia quello delle aggressioni omofobe. Quanto è utile però mettere l’accento sulle aggressioni, certamente in crescita, stigmatizzando l’aggressore come violento e malato? Non dovremmo piuttosto tornare alla radice di questo clima omo/transfobico, ovvero quella “norma” che ci vorrebbe tutti bianchi, ricchi, lavoratori “produttivi”, rispondenti perfettamente all’ideale maschio/donna, rigorosamente italiani ed eterosessuali?
Il Napoli Pride cerca d’invertire questa tendenza all’invisibilità e alla normalizzazione riportando tutto “alla luce del sole” che è appunto lo slogan scelto. Questa data sarà un banco di prova per quella parte di movimento che decide oggi di non lasciare l’appartenenza a sinistra, e portare piazza una piattaforme radicale e ricca di rivendicazioni che si legano al movimento antirazzista.
Napoli sarà una tappa importante che designerà ( ci auguriamo ) nuovi equilibri verso l’Europride romano del 2011, per il quale c’ è chi già vede la possibilità di grossi profitti economici, che ci saranno, ma ad altri spetta evidentemente di cogliere questa occasione per guardare l’Europa come terreno di conflitti. Sfidare l’UE sui dettami della sicurezza, del controllo delle frontiere e dei respingimenti dove il corpo rimane il luogo privilegiato delle politiche securitarie. Senza dimenticare che l’Italia è ormai uno dei pochissimi Paesi a non riconosce diritti alle coppie gay e lesbiche!