Aldro-bis: gli agenti depistarono per spirito di corpo
“Difesa di corpo”: per questo mentirono i poliziotti e depistarono le indagini sull’omicidio di Federico Aldrovandi. Lo scrive il giudice Monica Bighetti, nelle motivazioni della sentenza con la quale ha condannato il mese scorso tre agenti di polizia (e un altro rinviato a giudizio) imputati a vario titolo per omissioni, falsa testimonianza e favoreggiamento. Uno è stato condannato a 8 mesi per omissione d’atti d’ufficio per non avere, in qualità di ufficiale di polizia giudiziaria, trasmesso alla procura la copia del registro delle volanti con l’intervento in via Ippodromo della notte del 25 settembre 2005. Si tratta del brogliaccio pasticciato per comprimere i tempi del contatto violentissimo tra le volanti e il diciottenne ferrarese.
Secondo la giudice, si muove lungo un “preciso disegno”, una “intuizione investigativa” “non difficile da comprendere”: “il brogliaccio – scrive il tribunale -, atto pubblico interno nel quale vengono segnati gli orari degli interventi è importante”. L’ufficiale vedrà le cancellazioni nel primo foglio di intervento, il 686, poi “sostituito” dal centralinista di turno con il 688 con contestuale modifica dell’orario di chiamata in via Ippodromo. Ma la dovuta annotazione e la conseguente relazione di servizio non viene fatta. Nonostante “un atto così importante acquisito di iniziativa non può essere dimenticato”. Anzi, “non è stato volontariamente corredato da lettera di accompagnamento ed è stato lasciato dov’era (nella cassaforte della questura, ndr), nella speranza che non sarebbe stato cercato”.
Viene poi la posizione del centralinista condannato per favoreggiamento e omissione di atti d’ufficio.A lui si addebita, in concorso con l’agente che non ha scelto il rito abbreviato, l’aver omesso la registrazione completa della conversazione che ebbero alle 6.30 del 25 settembre, durante la quale quest’ultimo lo stava informando sulle circostanze relative alla morte di Aldrovandi; aiutando così i quattro delle volanti “ad eludere le possibili investigazioni dell’autorità giudiziaria nei loro confronti, non registrando il colloquio avvenuto immediatamente dopo”.
Specialmente l’altro agente durante l’interrogatorio si smentisce e si mostra impacciato quando cerca di giustificare quello “stacca!”. “Non si può credere alla provocatoria risposta di Casoni di avere chiesto la non registrazione della telefonata per parlargli di discoteche o di bestemmie o di argomenti estranei a quello che, alle 6.30 di mattina di quel giorno, era la domanda che tutti si ponevano: perché è morto il ragazzo?”.
Nelle 54 pagine di motivazioni viene in rilievo anche la contraddittorietà del centralinista, che “cambia rotta”: “prima dice che il collega gli aveva parlato dell’argomento, il ragazzo aveva avuto un malore e non si sapeva cosa fosse successo, poi dice che non ricorda cosa gli avesse detto e poi ancora che può essere che l’altro abbia tenuto aperto il suo telefonino, mentre lui aveva già messo giù la cornetta, sicché la conversazione non è stata registrata”. Tutto “per tentare di occultare il vero, ossia che la registrazione è stata da lui staccata”. “Non può non aver pensato – si legge – ciò che tutti avevano pensato in quel momento, ossia che la morte potesse essere derivata dalle percosse subite”. Di qui l’aiuto (“istinto di difesa” lo chiama il giudice) ai quattro colleghi delle volanti “ad eludere le possibili investigazioni dell’autorità, impedendo agli inquirenti di apprendere quanto di utile e genuino per la ricostruzione del fatto”.
Infine la posizione dell’ufficiale di polizia giudiziaria, condannato per falsa testimonianza, omissione d’atti d’ufficio e favoreggiamento perché, in qualità di dirigente dell’Upg intervenuto in via Ippodromo aveva omesso di informare compiutamente la pm di turno in merito a quanto accaduto, limitandosi a dire che il decesso sarebbe stato riconducibile ad overdose. “Le fu detto che erano giunte sul posto due volanti, che la prima pattuglia non era venuta in contatto con il ragazzo perché era molto agitato e aveva chiamato in ausilio l’altra volante, all’arrivo della quale lo avevano fermato e immobilizzato”. Ma l’ipotesi ventilata di overdose “non è conciliabile – fa notare il giudice – con la concentrazione sul posto dei più alti vertici della polizia di Stato ferrarese”.
Anche il comportamento successivo del dirigente Upg evidenzia l’intento di “proteggere i suoi ragazzi: impossibile che non sappia della cassetta in cui uno degli omicidi dice di aver picchiato il ragazzo per mezz’ora; non trasmette l’originale dei brogliacci pasticciati e alterati dal centralinista. Li trattiene presso il suo ufficio…”.
Importante la precisazione, nelle motivazioni, di come le indagini “stentarono a decollare e presero forza solamente nella seconda quindicina di gennaio 2006, dopo una campagna mediatica stimolata dall’apertura di un blog da parte dei genitori del giovane”. Altro che la fogna mediatica di cui aveva parlato, nel corso del processo bis, il capo della procura di Ferrara sulla scia del suo predecessore all’epoca dell’assassinio. Ora sul blog di Patrizia Aldrovandi si legge: “Coloro i quali, coprendosi dietro sigle sindacali, ci hanno ripetutamente accusati di sciacallaggio e di essere calunniatori, chiedano scusa a noi e prima ancora a tutta la città alla quale sistematicamente essi si sono, nel corso di questi anni, rivolti con frasi e atteggiamenti a dir poco sconvenienti per le divise che essi portavano.
Chiedano scusa, anche se credo che non ne avranno il coraggio».