Assassinio a Dubai. I terroristi in azione…
La notizia dell’uccisione a Dubai di un esponente di Hamas, Mahmoud Al-Mabhouh, sembrava quasi banale: siamo troppo abituati alla “normalità” degli assassini mirati che il Mossad israeliano compie non solo a Gaza e nei territori occupati, ma in ogni parte del mondo, compresa l’Italia.
È – non a caso – poco noto che numerosi dirigenti palestinesi sono stati uccisi a Roma: ad esempio il responsabile dell’informazione dell’Olp, Abu Sharar (9 ottobre 1981), Ismail Darwish, funzionario dell’Olp (13 dicembre 1984) e, soprattutto, Wael Zwaiter (17 ottobre 1972), un intellettuale e militante che ha lasciato una traccia profonda in tutti coloro che l’hanno conosciuto. Naturalmente tutti dimenticati nelle periodiche rievocazioni del terrorismo in Italia sui grandi quotidiani.
Invece dopo qualche giorno questa esecuzione di Dubai ha cominciato ad apparire un po’ diversa da quelle precedenti. In primo luogo ha provocato un dibattito acceso in Israele. Nessuno ha messo in dubbio che fosse stato il Mossad, ma casomai si commentava che non “era più quello di una volta” perché aveva commesso troppi errori. Ad esempio il commando, composto di ben 26 persone arrivate a Dubai da vari paesi di Europa, tra cui naturalmente l’Italia, aveva ignorato le telecamere collocate davanti l’albergo e nei suoi corridoi. Ma è possibile che fossero così ingenui e maldestri?
Poi si è saputo dalla televisione al Arabiya che i terroristi avevano presentato all’aeroporto e alla reception dell’albergo passaporti britannici, irlandesi, australiani e francesi, e che quasi tutti avevano utilizzato carte di credito rilasciate dallo stesso istituto bancario. I documenti, si è poi saputo, corrispondevano a cittadini israeliani che hanno mantenuto la doppia cittadinanza e quindi il doppio passaporto. Uno di loro ha detto di non saperne nulla e ha dimostrato che la foto sul documento registrato nell’hotel non corrispondeva minimamente al suo aspetto. Gli altri tacciono.
Se si dovevano falsificare dei documenti, perché scegliere quelli di persone realmente esistenti e residenti in Israele? Ed era necessaria una spedizione di ben 26 persone per ucciderne una sola, per giunta disarmata, dopo averla torturata a lungo nella sua stanza di hotel?
È risultato presto che non c’era stata nessuna svista o deficienza tecnica, ma solo una dura provocazione, per costringere i governi europei ad accettare la complicità nel crimine. Non più solo assassini mirati con i droni (che uccidono insieme al bersaglio familiari, amici, passanti…), non più misteriose uccisioni, come quelle di Roma, o della Norvegia o nella riunione dell’Internazionale socialista ad Albufeira, in Portogallo, dove fu assassinato sotto gli occhi di Shimon Peres uno dei dirigenti palestinesi più attenti alla ricerca di una soluzione politica, Issam Sartawi. Azioni non rivendicate, anche se non smentite…
James Petras ha osservato che ormai «la politica apertamente dichiarata di Israele consiste nel violare la sovranità di qualsiasi paese, ostile, neutrale o anche amico, per quelle eliminazioni extragiudiziali di oppositori, che una volta erano la pratica corrente solo della Gestapo nazista, della GPU di Stalin o della DINA di Pinochet (imitate poi dalla CIA e dalle forze speciali USA).»
Così gli stessi servizi segreti non sono più esecutori, ma «nello stesso tempo giudici, procuratori e carnefici, senza controllo o freno da parte di qualsiasi legislazione, sovranità o dovere di uno Stato di proteggere i propri cittadini e i propri ospiti.»
E con rischi che possono ricadere su molti innocenti. Petras si domanda quali conseguenze potrà avere l’uso dei passaporti britannici per entrare a Dubai per uccidere un avversario: «ora ogni uomo d’affari, ogni turista britannico in arrivo nel Medio Oriente potrà essere sospettato di legami con gli squadroni della morte israeliani»… Ma un’eventuale reazione contro innocenti, va benissimo al Mossad, perché aumenterà la forza della sua propaganda e della lotta “contro il terrorismo”…
Se Petras si preoccupa particolarmente delle ripercussioni sui viaggiatori inglesi, Uri Avnery è invece scandalizzato del cinismo con cui il Mossad ha scelto i nomi di persone reali che vivono in Israele. Non era in grado di inventare dei documenti? E perché tra tutti i passaporti possibili ha scelto di falsificare quelli dei paesi più amici e complici di Israele? Potevano essere sicuri che nessuno degli intestatari dei passaporti clonati non fosse in viaggio contemporaneamente e passasse per Londra o Milano o Roma? Ma, osserva, nessuno se ne è preoccupato troppo in Israele: tutti «sono sicuri che britannici o irlandesi saranno obbligati a protestare per salvare la forma, ma che è solo un gesto obbligato», senza conseguenze. Ci sono troppi legami tra il Mossad e i servizi segreti dei paesi coinvolti… Presto tutto sarà dimenticato, ma intanto questa impresa criminale sarà stata messa agli atti come un’ennesima prova dell’onnipotenza di Israele.
Uri Avnery, che è critico verso la politica dei governi di Israele, ma non antisionista, si preoccupa soprattutto che operazioni come questa possano danneggiare Israele «sul piano strategico, che ha come obiettivo principale quello di coinvolgere sempre più gli USA e l’Europa in una difesa di Israele contro la pretesa minaccia di un’ipotetica bomba atomica iraniana». Barack Obama ha tentato di mettere insieme una coalizione mondiale per imporre dure all’Iran, usando «il governo israeliano che gli serve – volentieri – da cane cattivo. Obama dice agli iraniani, attenti agli israeliani, sono pazzi e possono attaccarvi in ogni momento, faccio fatica a trattenerli. Ma se non fate quello che vi dico, allento il guinzaglio e peggio per voi…».
Avnery è scandalizzato: «Dubai, un paese del Golfo proprio di fronte all’Iran, è una componente importante di questa coalizione. È anche un alleato di Israele, come l’Egitto e la Giordania. Ed ecco che lo stesso governo israeliano lo umilia e fa nascere tra le masse arabe il sospetto che Dubai collabori con il Mossad. In passato, noi israeliani abbiamo posto in imbarazzo la Norvegia [allusione a una squadra inviata nel 1973 in Norvegia per uccidere Ali Hassan Salameh, un dirigente dell’OLP, e che assassinò invece a Lillehammer – lasciando molte tracce – un cameriere marocchino che non c’entrava nulla], abbiamo reso furiosa la Giordania [col tentativo fallito di avvelenare il rappresentante di Hamas in esilio Khaled Meshal], e oggi umiliamo Dubai. È sensato?».
Avnery se la prende soprattutto con Meir Dagan, che Netanyahou ha ancora una volta confermato alla testa del Mossad e si preoccupa «per la nostra reputazione nel mondo» (beato lui, che pensa ci sia qualcosa da salvare!). Ma ammette che oggi la situazione è diversa rispetto a un passato in cui era possibile minimizzare, senza preoccuparsi troppo delle proteste dei “gentili”. “Dopo l’operazione “piombo fuso”, il verdetto del giudice Goldstone, gli echi delle buffonate di Avigdor Lieberman, la crescente campagna mondiale per un boicottaggio di Israele, c’è da pensare che non avesse torto Thomas Jefferson quando affermava che «nessuna nazione può permettersi di ignorare l’opinione dell’umanità.» E Avnery conclude: «La vicenda di Dubai rafforza l’immagine di uno Stato d’Israele brutale, di una nazione canaglia che disprezza l’opinione pubblica internazionale, di un paese che conduce una guerra gangsteristica, che manda all’estero degli squadroni simili a quelli della mafia, di una nazione paria che tutte le persone sensate dovrebbero evitare. Era utile?»
http://antoniomoscato.altervista.org/