Berdini: “Raggi? La speranza di cambiamento è durata due mesi”
Alle spalle una lunga vita di studi e analisi urbanistiche sulla città pubblica. Nel passato più recente un posto nella giunta Raggi come assessore all’Urbanistica, durato meno di otto mesi, fino al via libera a Cinque Stelle allo stadio della Roma. Romatoday ha intervistato Paolo Berdini che ha raccontato la sua esperienza in un recente libro, Roma, polvere di stelle. La speranza fallita e le idee per uscire dal declino (Edizioni Alegre).
Alle regionali Roma non ha premiato Roberta Lombardi. Questo risultato la stupisce?
No. In giunta lo dicevo sempre: o lanci qualche segnale di cambiamento nel primo anno e mezzo oppure è finita. Poi iniziano le polemiche, è normale, è questa la dialettica. La città si è accorta che c’è un’incompetenza, una inesperienza, un’arroganza, un insieme di fattori che stanno portando la città alla paralisi. Questa mancanza di coraggio è stata avvertita anche dai romani.
Sono parole forti…
Il 31 agosto del 2016, quando in giunta si decise il taglio della testa di Raineri e Minenna [(Carla Raineri, ex capo di Gabinetto del Comune, e Marcello Minenna, il primo assessore al Bilancio della giunta Raggi, n.d.r.], dissi che avrebbero pagato questa scelta. Non si compie un gesto così a due mesi dalle elezioni. È come un terremoto, prima dell’assestamento passa un sacco di tempo, il tempo più prezioso. Ho fatto da Cassandra.
Nel libro il 31 agosto viene descritto come una data cruciale, il momento in cui è finita l’esperienza che avrebbe potuto portare al cambiamento. Perché?
Erano stati coraggiosi nella scelta degli assessori. Se posso avanzare un parallelo, come Luigi Di Maio quando ha presentato 15 ministri non di stretta osservanza grillina. È un segnale per il paese perché tu ti fidi di gente, più o meno brava, sulla base della sua esperienza. Roma aveva gradito questa scelta. Eravamo stati individuati tutti per competenza. A distanza di due mesi questo esperimento è stato chiuso per sempre. Sarei voluto andare via in quel momento, poi grazie ad un ragionamento più complessivo ho pensato che se avessi dovuto rompere sarebbe dovuto essere nel merito. E così è stato.
Cosa ha dato fastidio dell’operato di Minenna?
La nomina a capo dell’Ama di Alessandro Solidoro. Marcello Minenna era un indipendente e spesso non concordava con nessuno. Non per nulla poi hanno messo tutti i loro uomini nei centri del potere. Evidentemente era nel loro dna l’occupazione del potere. Non volevano liberare Roma. E questo la città lo coglie.
Sembra un film già visto…
Pensiamo a Rettighieri [Marco Rettighieri, ex direttore generale di Atac, n.d.r.], una persona stimata a livello internazionale. Uno così non si cambia. E invece lo cacciano additandolo come ‘il vecchio’. E poi mettono una figura che è presidente, amministratore delegato e commissario insieme. Pensano di prendere delle scorciatoie? Questa è una città che non beve più niente perché le ha viste tutte.
Nel libro lei scrive di aver visto almeno 6 sindaci ‘vicari’ oltre a Virginia Raggi. Cita Raffaele Marra, Luigi Di Maio, la Casaleggio Associati, Pieremilio Sammarco, Beppe Grillo, Luca Lanzalone. Al di là dei singoli nomi, che tipo di potere è entrato nell’amministrazione romana con i Cinque Stelle?
Lo studio di avvocati Sammarco è uno dei più importanti di Roma. Conosce molto bene la struttura del potere della città. Le chat acquisite dalla magistratura dicono che fu lui ad imporre di mandare via la Raineri. Chi l’ha autorizzato? Evidentemente alcuni poteri capiscono che una giunta debole può essere guidata e ci riescono. Sono quei poteri che stanno intorno a chi guadagna in città.
Chi guadagna in città?
Utilizzo un esempio. Gli affitti per l’emergenza abitativa hanno fatto diventare straricchi alcuni gruppi. Ci sarà qualche circolo del tennis che li fa conoscere? Queste persone hanno preso in mano l’amministrazione Raggi. Poi arriva l’avvocato Luca Lanzalone.
Cosa rappresenta Luca Lanzalone?
È un avvocato dalla carriera importante. Quando arriva a Roma per la prima volta non conosce nessuno, alla prima riunione se ne va dalla città la sera stessa. 15 giorni dopo diventa presidente di Acea. Persona degnissima. Ma dopo aver risolto la questione dello Stadio della Roma e aver provocato le mie dimissioni viene premiato. Questo la dice lunga sulla struttura del potere nell’era Cinque Stelle. Mentre nel caso precedente parlavamo di interessi romani, lui rappresenta un più vasto sistema bancario che ha ritenuto che fosse il momento di portare a casa una carica come la presidenza di Acea.
La sua vita da assessore è stata influenzata da questi poteri?
Assolutamente. Sono stato scavalcato. In numerose interviste e in due giunte di fuoco avevo denunciato il ruolo di Marra [Raffaele Marra, ex capo del Personale e braccio destro di Virginia Raggi, n.d.r.]. Il giorno del suo arresto penso che sia finito per sempre un brutto momento. E invece sono io a pagare. Arriva Lanzalone e in 15 giorni chiude i giochi sullo stadio. Roma ha sperato che con Raggi ci fosse discontinuità e invece questa è l’eterna continuità del potere romano.
La gestione degli uffici nei dipartimenti è sempre un nodo centrale per un assessorato. Anche nella quotidianità si percepiva questo depotenziamento?
No, fino all’arrivo di Lanzalone ho lavorato con tranquillità e in assoluta stima reciproca con gli uffici dove lavora gente meravigliosa.
Nemmeno Marra?
Marra non ha nominato alcun consulente per il mio assessorato. Ma questo non ha cambiato niente. Il vero ostacolo l’ho incontrato dopo il suo arresto. Sapevano che non avrei mai raggiunto una mediazione sullo stadio. Mi hanno sorpassato consapevolmente per mettermi nelle condizioni di togliere il disturbo.
Oltre l’episodio delle sue dimissioni, cosa rappresenta per Roma aver dato il via libera ad un’opera come quella?
Ero contrario allo stadio ancora prima di diventare assessore. Ma quando ho letto le carte il mio sguardo è diventato ancora più critico. Un esempio: 7 milioni di euro di spesa per le pompe idrovore a carico della cittadinanza. E in cambio io ti concedo cubature. Tutto questo votato in consiglio comunale. Avevo chiesto agli operatori di prendere in considerazione un altro luogo ma la proposta non è stata accettata perché è lì che avrebbero guadagnato con la plusvalenza.
Quindi non era contro la costruzione dello stadio. Ma contro la sua realizzazione a Tor di Valle?
Quello è un posto sbagliato. Un imprenditore serio avrebbe trovato il modo di guadagnare anche altrove, non sono un talebano. Ma non hanno accettato e questo la dice lunga sulla classe dirigente romana.
Lo stadio si le Olimpiadi no. Si è dato una spiegazione?
Non riesco a trovare una ragione. La sindaca aveva in mano una carta importante. Era una sfida che si può vincere o perdere ma poteva essere utile alla città per effettuare lavori di manutenzione e per realizzare 5 linee di tram. E il progetto poteva ancora essere discusso. Poi arriva il post sul blog di Beppe Grillo che dice di no alle Olimpiadi del mattone e Berdini viene accusato di essere il cavallo di Troia di questa operazione. In questo modo offendono anche la dignità delle persone, ho una vita coerente a riguardo e non cambio perché sono assessore.
In quel caso, secondo lei, hanno agito per slogan?
Credo di si. In giunta si era aperto un dialogo in merito, poi è arrivato il post di Grillo. Erano dubbiosi perché in campagna elettorale si erano spesi contro le Olimpiadi, ma avevano fatto la stessa cosa anche sullo stadio. Inoltre nel programma si parlava di referendum. Ma non è mai stato indetto. Hanno avuto paura della democrazia.
Il suo libro è il primo che inserisce l’amministrazione Raggi nella storia di Roma. Per risalire alla ‘costruzione dell’illegalità’ ha deciso di ripartire dalla Società generale immobiliare. Che momento rappresenta l’amministrazione Raggi per la capitale?
Questo è un elemento che porteremo con noi per molto tempo. Individuo due cesure. La prima: sono 30 anni che non si costruiscono alloggi popolari. Il bisogno di case non viene soddisfatto ed è da qui che nascono le occupazioni. Una sofferenza che affatica questa città e che va superata. L’altro fatto culturalmente gravissimo riguarda l’idea che tutto il patrimonio pubblico debba essere messo a reddito. A quel punto tu chiudi la società romana. Cosa vuol dire ‘legalità’ in una città che non ha più un luogo sociale? In una città che non riconosce il diritto ad una casa? Nel libro ho individuato 19 grandi progetti fermi. Questa non è illegalità e uno spazio sociale che vende birra si? Questa è mancanza di cultura urbana. Purtroppo la porta a tutto questo è stata aperta dall’amministrazione di centrosinistra.
Provo a riassumere. I cittadini entrano a palazzo Senatorio e si chiude definitivamente la cultura della città pubblica?
Assolutamente. Vogliamo parlare degli sgomberi al Baobab? Quello è l’unico posto dove possono dormire, nelle tende, ma che fastidio danno? A Berlino hanno accolto un milione di siriani e a Roma non si trova una soluzione per qualche centinaio di persone. Perché non si usano le caserme? Capisco che è difficile ma l’importante è iniziare.
Ha un rimpianto da assessore?
Forse quello di non essere riuscito ad entrare in sintonia con il pezzo di città con cui avevo costruito il pensiero urbanistico su Roma. Non ho avuto interlocuzioni, né da parte del movimento per la casa, che anzi mi ha punito con quattro occupazioni anche se la delega non era nelle mie mani, né con quella parte di società romana. Forse non ho mandato messaggi ma quella era un’occasione per ragionare su quale potesse essere il punto di equilibrio. Sono stati mesi di solitudine, in giunta ma anche dalla società romana non ho ricevuto molto aiuto.
Secondo lei qual è stata l’occasione mancata per l’amministrazione Raggi e per l’intera città?
Il Movimento cinque stelle ha nel suo dna la democrazia civica e la partecipazione. Accidenti. Quando andavo in Campidoglio per partecipare alla giunta era un bunker impenetrabile. Per esempio di fronte al possibile sgombero degli alloggi in un piano di zona a Castelverde avevo proposto un consiglio comunale aperto da tenersi proprio in quel quartiere. Un modo per dare un segnale importante. Non è mai stato fatto, forse per insicurezza. Credo che sia questo il fallimento più grande: non aver tenuto fede al fatto principale della democrazia.