Carceri, quinto suicidio del 2010
S’è impiccato con un lenzuolo legato al tubo della doccia. Aveva 27 anni ed era detenuto nell’infermeria del carcere di Massa. Abellativ Sirage Eddine è il quinto a farla finita dietro le sbarre dall’inizio dell’anno. Chi parla di «strage silenziosa» è qualcuno che non sente il clangore delle battiture, la forma non violenta di protesta che i detenuti mettono in atto in casi come questi. O lo strazio delle madri di chi muore, spesso in circostanze oscure, quando è in consegna agli apparati dello Stato. La macchina carceraria è una macchina impazzita se è vero che a Velletri c’è un ragazzino di 16 anni che vive da solo da quando hanno sbattuto al fresco suo padre, settantenne, per scontare cinque mesi e mezzo. La sua colpa quella di aver incassato tre mensilità della pensione della moglie morta. Il governo – per bocca del ministro Alfano – è pronto a trasformare l’emergenza di carceri strapiene grazie alle leggi Bossi/Fini/Giovanardi – in un affare per palazzinari mentre le inchieste sulle morti oscure sembrano essere ripombate sotto la coltre di indifferenza che, per una breve stagione, il caso Cucchi sembrava aver scoperchiato.
Per la prima volta, sabato, Livorno ospiterà un corteo nazionale (appuntamento allle 11 in piazza della Repubblica) promosso da una delle madri coraggio che non si danno pace e continuano a chiedersi «Chi è Stato?» a uccidere suo figlio. Maria Ciuffi è la madre di Marcello Lonzi. L’11 luglio del 2003 Marcello viene trovato morto nella sua cella. La prima autopsia sancisce le solite «cause naturali» ma le foto del corpo sembrano raccontare un violento pestaggio. Ieri l’ennesimo schiaffo: il pm s’è rifiutato – «causa manifestazione» di consegnare al legale di Maria la copia della perizia medica basata sulle foto del corpo e attesa da novembre. In ballo c’è l’imminente chiusura dell’inchiesta a quasi sette anni dalla morte. Unici indagati, due agenti per omessa custodia e omicidio colposo e, clamorosamente, il compagno di cella nonché amico di Lonzi da prima di entrare in galera. Fu lui a chiedere di essere messo in cella con «Marcellino».