Com’è andato il 1 Maggio negli Usa
L’invito, con tanto di numero di telefono attivo 24 ore su 24, del dipartimento antiterrorismo della polizia di New York – in vista dello sciopero generale del 1° maggio indetto dal movimento Occupy- rivolto a banche, società finanziarie e imprese era perentorio, quasi minaccioso: “Se vedi qualcosa, sai qualcosa”. Come se uno sciopero generale annunciato non fosse diverso da un possibile attentato di Al Qaeda. Basterebbe questo per ridicolizzare qualsiasi discorso sulla “democrazia americana” come modello da importare. Diverso l’atteggiamento della grande stampa e dei media mainstream. L’ordine era di ignorare e occultare, salvo rarissime eccezioni, fino al giorno prima per poi concentrarsi quasi esclusivamente su arresti e scontri con la polizia. Anche in questo caso un mito, quello dell’indipendenza della stampa americana dal potere politico e economico, ha rivelato la sua vera natura: una favola da raccontare ai bambini. Ma che bilancio, seppur parziale, si può trarre da questa giornata di mobilitazione che rappresentava una vera e propria sfida del movimento Occupy all’intero establishment politico, economico, istituzionale ed alle sue leggi autoritarie che vietano gli scioperi ? A grandi linee si possono individuare tre diverse forme e modalità con cui il movimento ha affrontato la giornata del 1° maggio.
A New York c’è stata la manifestazione più partecipata, probabilmente la più grande da quando è nato Occupy Wall Street, preceduta al mattino dai picchetti davanti a banche e multinazionali, dai tentativi di bloccare i ponti tra Brooklyn e Manhattan, da alcuni flash mob a Midtown e dal lancio della Free University a Madison Square Park. Quest’ultima iniziativa, particolarmente riuscita, promossa da studenti delle università pubbliche e private continuerà nelle prossime settimane con corsi e seminari autogestiti mettendo al centro la critica radicale dei modi, delle forme e dei contenuti del sapere che viene trasmesso dalle istituzioni universitarie. Ma, com’era già accaduto all’inizio di novembre, sembra quasi che Occupy Wall Street quando è di fronte alla possibilità concreta di fare un salto qualitativo, di passare cioè da essere un contenitore di lotte, istanze, conflitti per diventare un soggetto dotato di identità, autonomia politica e organizzativa rimanga come ipnotizzato dalla propria forza sociale e dal ruolo politico. Infatti la grande assemblea, convocata alla fine della manifestazione, che doveva discutere di prospettive e percorsi futuri si è conclusa senza decisioni chiare. Pesano sicuramente, in alcuni settori di OWS, i rapporti a dir poco contraddittori con i sindacati e i condizionamenti che ne derivano. I sindacati newyorkesi, fino a una settimana prima, hanno cercato in vari modi di oscurare e depotenziare la mobilitazione per poi, quando hanno visto che gli appelli allo sciopero facevano breccia tra i propri iscritti, organizzare la partecipazione dei settori di lavoratori più sensibili alle tematiche del movimento.
Situazione completamente diversa sulla costa opposta. Il movimento tra Oakland, Seattle e Portland agisce come soggetto autonomo che cerca un rapporto diretto con lavoratori, precari e migranti senza la mediazione delle organizzazioni sindacali e in questo 1° maggio si sono visti alcuni risultati interessanti. Lavoratori della sanità, della scuola e dell’università, dei trasporti insieme a studenti e precari si sono mobilitati in modo autorganizzato e semmai il problema, in questo caso, è di evitare che ci siano differenze troppo marcate nelle pratiche e nei linguaggi con i settori più radicali del movimento. Tra i movimenti delle due coste degli Stati Uniti in mezzo ci sta, e non solo in senso figurato, Occupy Chicago. La terza forma che ha assunto il movimento americano. Più vicina alla sensibilità e ai modi di agire del movimento no-global europeo di una decina di anni fa. Dove prevalgono le tematiche contro la guerra e l’ingiustizia sociale alimentata dalla globalizzazione capitalistica e dove nel movimento convivono coalizioni di associazioni, sindacati, gruppi pre-esistenti e attivisti che non fanno riferimento ad alcuna organizzazione. A Chicago la mobilitazione del 1° maggio è stata significativa anche per il lavoro svolto in vista del summit della Nato previsto in quella città il 20-21 maggio.
Pur con queste caratteristiche, estremamente articolate, nella giornata del 1° maggio il movimento Occupy è andato decisamente oltre il semplice coordinamento delle iniziative, già di per sè negli Stati Uniti un fatto per nulla scontato. Il confronto sull’efficacia sociale e la capacità di incidere a livello politico ha chiamato in causa le diverse esperienze. Una situazione nuova con molte potenzialità si è aperta, in cui da New York a Oakland a Chicago il movimento sarà costretto a ridefinirsi, a radicarsi socialmente in modo stabile, a sperimentare forme più avanzate di autorganizzazione. Il 1° maggio ha mostrato che il processo di soggettivazione che da settembre dello scorso anno ha coinvolto settori consistenti di giovani, studenti, lavoratori, migranti ha ricevuto un ulteriore impulso. E intanto anche da questa parte dell’ Atlantico si guarda con molto interesse alle giornate di metà maggio, contro le politica di austerità dei governi europei e con l’assedio della Banca centrale europea, tra Barcellona e Francoforte.