Cucchi, rispunta la malasanità
Non era disidratato e poteva essere salvato. Se solo, Stefano Cucchi, non fosse stato ricoverato nel “repartino” del Pertini e gli fosse stata somministrata una terapia idonea. Scienza o fantascienza? Paolo Arbarello, direttore dell’istituto di Medicina legale della Sapienza ha illustrato in una conferenza stampa le conclusioni della consulenza elaborata da un pool di esperti incaricati dai pm che conducono l’inchiesta sull’omicidio del trentunenne romano morto a sei giorni dall’interrogatorio e dall’arresto.
Da parte dell’ospedale ci sarebbe stata dunque omissione e negligenza: «In ospedale non è stata colta la gravità della situazione e determinante per la morte è stata l’omissione di un piano terapeutico adeguato. Il pestaggio, se c’è stato, non avrebbe legami con la morte e, certamente, per Albarello, la disidratazione non c’entra. Stefano aveva la vescica piena perché la sera prima di morire aveva bevuto tre bicchieri di acqua. Così i pm della procura di Roma entrano in rotta di collisione con la relazione della commissione Marino, l’inchiesta del Senato sul Ssn, e provano a spegnere i deboli fari ancora accesi sulle zone di questa storia che vedono protagoniste le divise dei carabinieri e della polizia penitenziaria. Rispunta esplicitamente la principale causa di malesseri delle persone “contenute”: la caduta. Delle due fratture alle vertebre solo una sarebbe recente e a determinarla sarebbe stata una caduta di sedere, si dice podalica. L’altra chissà. E chissà cosa abbia ridotto in quello stato la faccia del ragazzo. Non ci sarebbero segni di pugni o di colpi diretti ma anche il pool ammette che avrebbe potuto essere stato spinto violentemente contro un muro o sul pavimento, tanto da provocare la frattura.I periti del pm comunque rinunciano a interpretare quei segni concentrandosi su un quadro clinico (hanno scavato molto sulla storia del paziente riscontrando dal 2000 17 ricoveri al pronto soccorso ma senza trovare fratture) composto da alcune patologie croniche di Stefano – al fegato, ad esempio – e dalla sua magrezza eccessiva che si sarebbero combinate con una brachicardia indotta dallo stress determinato dal suo arresto. Non avrebbe perso molto peso, solo 4 chili e non 10 come aveva detto Marino, ma il suo cuore batteva solo 42 volte al minuto.
La malasanità è una versione che non convince affatto i familiari del ragazzo i cui periti sabato mattina presenteranno tutt’altre conclusioni nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.