Dietro il Benecomunismo
Non traggano in inganno il nome – “Rete dei Comuni per i Beni comuni” – e nemmeno i titoli dei giornali del giorno dopo – “L’urlo dei sindaci contro Monti e i partiti”, “La chiamata dei Comuni contro le privatizzazioni”. Perché al Forum napoletano del 28 gennaio scorso di sindaci ce n’erano pochi. Impegni istituzionali, impellenti o meno, hanno trattenuto al Nord il milanese Pisapia e il veneziano Orsoni. Lo stesso dicasi per il più vicino Zingaretti, presidente della Provincia di Roma e aspirante antagonista di Alemanno. Tuttavia il cartellone dimezzato – sul palco finale, accanto all’ospitante De Magistris, c’erano il barese Emiliano, il cagliaritano Zedda e il governatore Vendola – non ha impedito un sostanziale successo di un’operazione che, nelle prossime settimane dovrà sciogliere il dilemma se sia stato un evento, se sia un progetto – come quarantott’ore dopo accreditava il maggiore giornale di Napoli alludendo all’idea di De Magistris per un listone civico nazionale – oppure uno stimolo per un laboratorio che provi a colmare lo scarto drammatico tra attacco ai diritti sociali e ai beni comuni e reazione sociale in campo.
I numeri: millecinquecento e forse più gli iscritti al forum, altissimo l’accesso allo streaming degli eventi assicurato da Palazzo S.Giacomo. In sostanza, il sindaco di Napoli è riuscito a convogliare al Politeama il tessuto della ex Rete del nuovo municipio – quello che con molte ambiguità aveva provato a far vivere le tematiche della democrazia partecipata all’indomani delle stagioni altermondialiste – più pezzi di Federazione della sinistra più i settori di centri sociali ex disobbedienti che, solo un anno prima, avevano dato vita con la Fiom a Uniti contro la crisi per diventare dopo l’estate Uniti per l’alternativa. Nata in stretta sinergia con Vendola, bisognoso di una copertura a sinistra, in vista di un’alleanza per le politiche, l’alleanza è entrata in “sonno” dopo il 15 ottobre e le disgregazioni prodotte da quella giornata.
Sottotraccia, si intravede comunque una discreta migrazione degli ex disobbedienti dall’orbita vendoliana a quella cui il sindaco De Magistris – che da tempo parla di «scassare» il quadro politico – sta cercando di dare corpo con il continuo richiamo ai beni comuni e alla democrazia partecipata come risposte possibili alla subalternità della sinistra ufficiale ai diktat del neoliberismo. Sottotraccia, ancora, c’è quella che viene indicata come la “scissione latente” nell’Idv, l’evidente diversità tra chi segue il sindaco De Magistris e il corpaccione del partito legato a Di Pietro. E, ancora, l’inquietudine permanente dentro Sel dove gli ammiccamenti del leader al Pse fanno affiorare le tensioni tra correnti legate solo dalla capacità carismatica del presidente pugliese che sembra brandire un’alleanza con De Magistris solo per non restare escluso dall’abbraccio mortale tra Pd e terzo polo. Del resto, proprio sul nodo dell’alleanza con il Pd e della prospettiva di governo si è consumata, paradossalmente, una rottura tra il governatore pugliese e colui che ne è stato una sorta di padre spirituale, Fausto Bertinotti. Il nodo del rapporto col Pd è il più scottante vista l’attitudine degli amministratori democrat ad essere i più ortodossi esecutori delle politiche liberiste, dalle privatizzazioni alle grandi opere passando per le tentazioni securitarie.
Ma sarebbe riduttivo e ingiusto ridurre il Politeama alla foto di personaggi in cerca d’autore nella persistenza della crisi della sinistra. Proprio la centralità nel dibattito delle categorie dei beni comuni e della democrazia partecipata, i richiami alla necessità di una vertenza contro la costituzionalizzazione del pareggio di bilancio e contro i patti europei di stabilità, fino all’irruzione nella pubblicistica di un termine suggestivo – il “benecomunismo” – indicano che all’ordine del giorno c’è sempre l’urgenza della ricostituzione ddi un movimento e della sua efficacia nello scontro sociale. In questo senso il dilemma ci riguarda. Intanto perché mette a tema il rapporto tra amministrazioni e movimenti sociali in un momento in cui quello che resta dell’ondata altermondialista sembra imprigionato in logiche di concertazione – si pensi ad esempio all’appoggio di settori veneti e romani all’opzione olimpica delle rispettive città come un’«opportunità da cogliere» – con le dovute eccezioni. Dall’osservatorio napoletano, infatti, scrive Antonio Musella del centro sociale Insurgencia (che è un convinto alleato di De Magistris): «Il tema dei servizi pubblici e della loro paventata privatizzazione, il tema dei beni comuni e il loro saccheggio, il taglio micidiale al welfare municipale, rappresentano uno scenario in cui il ruolo dei comuni e la possibilità di incidere da parte delle lotte sociali sulle scelte delle amministrazioni in termini di contrapposizione con le politiche sovranazionali di aggressione sociale, risulta essere centrale (1)». Non sfugge a Musella che la dimensione in cui muoversi supera abbondantemente il perimetro della rete tra sindaci e allude al «movimento complessivo» che, dall’alleanza tra pratiche amministrative e conflitti, costruisca la possibilità di nuovi conflitti anche partendo dal rifiuto di tagli e privatizzazioni che servono a pagare il debito, grimaldello con cui oggi si commissaria la decisione politica.
Sarà utile, allora, inseguire la definizione di beni comuni compiuta nel testo chiave dell’evento napoletano, la relazione di Alberto Lucarelli, assessore per De Magistris ai Beni comuni, informatizzazione e democrazia partecipativa: «La questione dei beni comuni non si limita ad energia, acqua, territorio ed aria, ma coinvolge tutte quelle materie materiali ed immateriali connesse al tema del legame sociale e dei diritti fondamentali. La difesa e soprattutto il governo dei beni comuni implica la riconquista di spazi pubblici e democratici fondati sulla qualità dei rapporti e non sulla quantità dell’accumulo. Beni comuni sono proprio quegli spazi nei quali si è manifestata negli ultimi anni una miriade di azioni dal basso, di micro conflitti, di processi aggregativi spontanei e nei quali la proprietà pubblica non è stata garanzia di tutela dei diritti fondamentali, di eguaglianza, di solidarietà, di protezione sociale; anzi, in alcuni casi, ha accelerato e agevolato processi predatori e di contaminazione pubblico-private. Dalla lotta in difesa della scuola e dell’università pubblica, dal diritto all’abitazione, all’informazione, alla cultura, alla conoscenza, al welfare, alla resistenza contro lo scempio ed il consumo del territorio prodotto dalle grandi opere, contro la privatizzazione di internet, alla salute –alla difesa della dignità del lavoro in aree come Pomigliano o Mirafiori».
Dunque i beni comuni sono tutti quei temi connessi ai legami sociali e quegli spazi pubblici in cui avvengono i conflitti. Ma Lucarelli va oltre e, a proposito del che fare, rivendica per le amministrazioni modalità d’azione tipiche dei movimenti come la disobbedienza e la costruzione di campagne nazionali contro le manovre economiche e la costituzionalizzazione del pareggio di bilancio. In questo senso il legame con le spinte sociali si potrebbe invertire. Potrebbe non essere più la società civile a dipendere dalla politica ma la politica ad essere rifondata da pratiche partecipative permanenti che le restituiscano dignità e senso sottraendola ai predatori di risorse collettive e alla tirannia della delega senza controllo. In un certo senso, i beni comuni fanno piazza pulita delle ambiguità contenute in due termini molto in voga nella fase politica precedente: comunità e legalità, restituendo valore costituente alle resistenze al saccheggio, alle sperimentazioni possibili di un protagonismo diffuso.
Sarà la qualità dello spazio pubblico che nascerà (e Napoli è all’avanguardia con le sperimentazioni in corso di “assemblee del popolo”) a dirimere il dilemma se sarà capace di intercettare ancora le spinte sociali più avanzate che avevano permesso la vittoria nei referendum di giugno e a intrecciarle con i conflitti nei territori e nei luoghi di lavoro, con il nascente movimento contro il debito, con tutte le implicazioni europee che ogni lotta deve padroneggiare. Il rischio di politicismo è sempre in agguato ma il nodo della costruzione di uno spazio pubblico aperto, inclusivo ed efficace, luogo di composizione delle lotte e del discorso, è ineludibile qui e altrove. Fa scuola, come monito, ancora una volta, l’esito temporaneo dell’indignazione spagnola che, il 19 dicembre, da Puerta del Sol, ha annunciato la sospensione delle sue attività per una «riflessione attiva a tempo indeterminato». Il comunicato dell’M15 spiega: «Lo spazio pubblico che avevamo riscoperto è stato sostituito da un insieme di spazi privati. Il successo del movimento dipende dal tornare a essere il 99 per cento». Dove si arriva, per dirla con Castells, dipende sempre da come ci si arriva.
1) globalproject.info/it/in_movimento/Comuni-per-i-beni-comuni-Unoccasione-da-cogliere/ 10492