Dopo Vienna si parla europeo
Appena concluso il contro-vertice studentesco di Vienna, nei collettivi già si parla di Madrid, di Bochum, di Bruxelles: altri vertici fra i ministri dell’istruzione, altri passi in avanti per le riforme scaturite dal Processo di Bologna, altre lotte da costruire per decine di migliaia di studenti e studentesse in tutta Europa. Quello che sta lentamente prendendo corpo dopo il successo della tre giorni di manifestazioni, blocchi, assemblee e workshop che si è appena conclusa a Vienna è proprio questo: una risposta sempre più coordinata e omogenea alle riforme dell’istruzione che in tutta Europa governi socialdemocratici o nazional-liberisti stanno portando avanti.
Basterebbe già questo per considerare un successo l’evento viennese, che in realtà ha mostrato molto altro. Erano anni (l’ultimo incontro nel 2006 ad Atene, quasi a segnare la fine dell’epoca dei social forum) che a livello internazionale migliaia di giovani non si incontravano per discutere, confrontarsi e ragionare insieme, quali prospettive avere, che strategie adottare e che analisi elaborare di fronte a progetti, come quelli sull’istruzione pubblica, che stanno assumendo caratteri sempre più globali.
Quasi per combinazione mentre in Europa collettivi e assemblee studentesche organizzavano le giornate di lotta a Vienna, dall’altra parte dell’oceano si riaccendeva una miccia che sembrava ormai spenta definitivamente. Negli Stati Uniti il processo di dequalificazione dell’istruzione ed il costante aumento delle tasse impediscono di fatto l’accesso ai sempre più esclusivi poli d’eccellenza di trasmissione dei saperi. Un modello che gli studenti europei conoscono molto bene, visto che da anni si parla dei sistemi anglosassoni come riferimento cui tendere per migliorare il sistema formativo in Europa. Contro quei modelli si stanno ribellando gli studenti statunitensi, e le loro richieste, i loro linguaggi non sono affatto diversi da quelli sentiti dentro le aule del campus universitario di Vienna.
Una rivolta che pare essere finalmente la stessa, dalle assolate università californiane, ai freddi prati austriaci. Una rivolta che comincia a darsi tempi e modalità condivise.
Insieme con l’avanzare delle riforme in ogni paese, aumenta fra gli studenti la consapevolezza che la risposta, l’analisi, le lotte devono avere le stesse basi. Dal Processo di Bologna del ’99 in Europa le riforme hanno cominciato a uniformare il sistema formativo, e più precisamente quello universitario, alle esigenze di un mercato in cui lo studente deve assumere le forme e i tempi della precarietà già nella fase dell’apprendimento. I saperi che vengono trasmessi non possono che essere precari anch’essi, deperibili, nozionistici…fondamentalmente inutili!
Riqualificare la formazione, restituire alla trasmissione dei saperi i tempi e le modalità appropriate alla crescita individuale e collettiva del soggetto studentesco (e della società tutta), costruire autorganizzazione e creare percorsi collettivi di coordinamento e lotta fra gli studenti. Queste sono solo alcune delle linee uscite dai workshop e dalle assemblee di Vienna.
La consapevolezza che le lotte universitarie non bastano a loro stesse, specialmente in questo periodo di crisi e devastazione sociale, è un altro degli elementi che parecchi collettivi hanno portato con determinazione nelle discussioni di Vienna. Risultava evidente già leggendo il programma della due giorni – ricco di appuntamenti e discussioni su genere, razzismo, lavoro, precarietà – la volontà di legare il conflitto all’università con altre tematiche, altre lotte, altre contraddizioni di un sistema economico e sociale in crisi. Le questioni ambientali, come quelle di genere, la gestione di un società sempre più multietnica e le evoluzioni nel mondo del lavoro stanno assumendo una centralità nuova nei dibattiti studenteschi, e non potrebbe essere altrimenti. Storicamente è dalle università che per decenni si sono sviluppate analisi e sperimentate le forme in cui organizzare i conflitti da condurre in questo sistema.
Gli studenti e le studentesse di oggi, anche a Vienna, hanno dimostrato che non intendono adattarsi alla marginalità in cui le riforme stanno relegando l’università e il mondo della formazione più in generale. Se da Bologna in poi l’obbiettivo per i governi è quello di limitare i tempi di apprendimento, di riflessione e quindi la capacità di elaborare una visione critica e alternativa della società, l’obbiettivo dichiarato per i movimenti studenteschi è quello di riprendersi questi tempi, riportare l’università e i suoi protagonisti (studenti, ricercatori e insegnanti) al centro della società, combattendo così la miseria sociale e culturale che le politiche neo liberiste degli ultimi anni hanno creato in Europa e nel mondo.