Ecuador, libero Correa dopo un mezzo colpo di Stato
Un colpo di Stato o un tentativo di assassinarlo? Rafael Correa, presidente dell’Ecuador, dopo 10 ore passate sotto sequestro in un ospedale di Quito, a opera di un gruppo di poliziotti, al momento di essere liberato dall’esercito non ha avuto dubbi: «Volevano assassinarli» ha detto ai giornalisti indicando precisi legami tra i suoi sequestratori e l’ex presidente Lucio Guterrez.
La protesta dei poliziotti era rivolta ai tagli di alcuni benefici e privilegi decisi dal governo di Correa che hanno provocato una contestazione violenta, con lancio di lacrimogeni contro il presidente fino al vero e proprio sequestro. Correa è stato liberato dall’intervento di uno squadrone dell’esercito e anche grazie a un’immediata mobilitazione popolare. Ma resta forte, nel paese, l’impressione per quanto accaduto e i dubbi sul reale orientamento delle forze di polizia che secondo molti sono piuttosto “infiltrate” da elementi stranieri, legati anche alla Cia.
Correa da parte sua ha detto che le sanzioni saranno dure e non ci sarà nessun perdono anche perché la sollevazione di ieri ha provocato un morto e 27 feriti.
Ecuador un segnale di allarme
di Antonio Moscato
C’è stato un golpe atipico, anzi “da operetta”, come lo ha definito Correa, dato che non ha puntato subito a impossessarsi dei canali televisivi? O era solo una protesta confusa e corporativa, anche se violenta, in difesa di retribuzioni erose dalla pesante crisi economica? O è stata una prova generale di un vero golpe?
Le dichiarazioni di solidarietà di Hillary Clinton non provano nulla, c’erano state inizialmente anche per Manuel Zelaya in Honduras. Inoltre il fallimento del tentativo (ben più serio) di golpe contro Chávez nell’aprile 2002 qualcosa dovrebbe aver insegnato al Dipartimento di Stato (se non il rispetto della democrazia, almeno la prudenza nelle dichiarazioni…).
Ricordo però che nel 1973 in Cile il primo tentativo di golpe contro Salvador Allende, il 29 giugno, era parso ugualmente “da operetta”: molti scherzavano sui militari che fermavano i carri armati davanti ai semafori rossi, e si mettevano in coda davanti ai distributori di benzina…In realtà le esitazioni dei militari dipendevano solo dal fatto che il grosso dell’esercito aveva rinviato il golpe, ma l’avviso non aveva raggiunto in tempo quelli che si erano già mossi con i loro carri armati. In ogni caso, il tentativo fallito permise di saggiare le reazioni, e di preparare meglio il golpe vero. Ottenne anche l’ostinato rifiuto di armare il popolo da parte del governo, che per non irritare i militari giurava sulla assoluta fedeltà dell’esercito alla democrazia (vedi sul sito Cile)
In attesa dei commenti dall’interno del paese che ho richiesto ai compagni ecuadoriani della rivista R, di cui avevo già pubblicato un numero sul sito (Revista R), alcune riflessioni sono possibili anche a distanza.
Avevo già segnalato in diversi articoli il pericolo per i nuovi governi “bolivariani” rappresentato dalla continuità delle gerarchie militari e dell’intero apparato dello Stato, polizia inclusa. Per tutti, compreso il Venezuela, anche se dalle Forze armate proveniva Hugo Chávez. Forse era stato proprio il solo Correa a poter destituire un piccolo numero di alti ufficiali, quando scoprì che gli avevano nascosto i loro rapporti con le forze armate colombiane al momento della loro incursione in territorio ecuadoriano per assassinare il “ministro degli Esteri” delle FARC che doveva incontrarsi con mediatori europei per la liberazione di alcuni ostaggi.
Ma cosa pensavano e tramavano gli altri ufficiali, ugualmente formati nelle Accademie degli Stati Uniti? E la polizia, che attaccava come in passato le manifestazioni degli indigeni che reclamavano l’applicazione della bellissima costituzione?
In questo caso l’esercito sembra che non si sia mosso, se non per difendere il presidente, ma vedremo cosa dovrà fare il governo. Nuove concessioni, annullando i tagli ai privilegi di polizia e militari? Saranno solo i lavoratori a pagare per la crisi economica mondiale, che colpisce particolarmente l’Ecuador, che ha come moneta interna il dollaro, su cui non può manovrare, e dipende molto dalle rimesse degli emigrati, ovviamente molto ridotte, dato che gli immigrati, negli Stati Uniti e in Europa, sono i primi ad essere licenziati?