Gallino, da riformista a feroce critico del capitalismo
Luciano Gallino era una delle figure intellettuali più significative di un’altra stagione italiana, quella del Novecento. Una figura spuria, fatta di teoria e verifica pratica, di studi accademici finalizzati all’impresa, quella olivettiana. Altri tempi insomma. Ma ora Gallino mi sembra importante soprattutto per la sua parabola culturale. Cioè per il percorso che ha effettuato negli anni, in particolare negli ultimi, e che lo ha fatto diventare un importante intellettuale contro. E non certo per vocazione o per impostazione politica.
Ho avuto l’onore, è proprio il caso di dirlo, di conoscerlo a un dibattito a Torino in cui eravamo entrambi relatori. Lui presentava il suo Finanzcapitalismo, io il ben più modesto Capitalismo tossico. Mi aveva colpito quando, a fine dibattito, mi aveva comunicato in maniera piuttosto netta la sua “intolleranza”, il suo “fastidio”, per la sinistra moderata (ancora senza Renzi). Era l’inizio del 2012.
Oggi non faccio un omaggio al Gallino studioso (non ne ho i titoli), ma mi limito a una recensione del suo ultimo libro, che mi pare straordinario proprio perché rappresenta la fine di quella parabola intellettuale di cui dicevo. Il denaro, il debito e la crisi. Spiegati ai nostri nipoti (Einaudi 2015) mi pare costituisca lo sviluppo ultimo di un esercizio intellettuale libero e critico, che non fa (e non si fa) sconti nel leggere la realtà. È una sorta di testamento in cui si rivolge ai propri nipoti, parlando della sua «sconfitta politica, sociale, morale» (p. 3), che però intuisce sarà anche la loro. Battuti, tutti, due volte dato che abbiamo visto scomparire due idee: uguaglianza e pensiero critico. Da tale presa d’atto parte il suo ragionamento.
Gallino è stato uno studioso che macinava una grande produzione letteraria, e ogni volta la sua critica mi pare si facesse sempre più profonda nei confronti del sistema in cui viviamo. Mi verrebbe da affermare che quest’ultimo libro per la radicalità che esprime lo assoldi nel campo “anticapitalista”. La critica dell’esistente, infatti, è senza appello. Si parte dalle spiegazioni strutturali della crisi, da una finanziarizzazione del sistema che trova origine nel mancato funzionamento dell’economia reale, la quale ha un deficit di realizzazione (utilizza proprio il termine marxiano), per arrivare ad affermare che non si tratta di avere nostalgia per i periodi in cui si è riusciti a domare il capitalismo, cioè il periodo roosveltiano e il secondo dopoguerra, in quanto in entrambi i casi si è trattato «di sentieri tracciati in una direzione rivelatasi presto sbagliata. Infatti, essi lasciavano aperta la possibilità di tornare indietro entro pochi lustri» (p. 162). Quindi spiega la funzione di strumenti di dominio della moneta e del debito nell’economia contemporanea, ma soprattutto spiega come il capitalismo sia dentro una doppia crisi, quella economica e quella ecologica. Come entrambe trovino alimento nella medesima logica, anzi come alla crisi ecologica e alla cosiddetta impronta ecologica, la quale misura la sproporzione tra attività umana distruttrice e capacità rigeneratrice della terra, si sia fatto fronte attraverso i metodi della finanziarizzazione. Un’enorme impalcatura chiamata «finanza del carbonio» fa sì che il mercato da causa dell’inquinamento incontrollato divenga rimedio attraverso un meccanismo di vendita di quote di inquinamento in giro per il mondo. Il commercio dei certificati di emissione, così, consente di poter inquinare di più per conto di altri, in quanto alle grandi multinazionali dell’inquinamento è possibile acquistare titoli (in questo caso davvero) tossici da soggetti terzi che non riescono a inquinare come sarebbe a loro concesso. Il mercato dell’inquinamento permette, in definitiva, di inquinare più anziché meno di prima. Qui Gallino usa toni da Naomi Klein e inoltre rimprovera persino ai marxisti di aver «un serio limite quanto a trattazione delle componenti ecologiche della crisi» (p. 17). Ma in questo libro non si limita alla critica, ma avanza proposte interessanti come quella di «togliere alle banche il potere di creare denaro» (pp.164-172), nella quale riprende un articolato dibattito sulle differenti modalità di attuazione di tale principio.
Torno a dire che al di la dei contenuti di indubbio interesse, l’aspetto più interessante di Gallino è la sua parabola intellettuale, da riformista della metà del novecento a anima insofferente del nuovo secolo. Non perché sia rimasto fermo sulle sue posizioni, mentre la realtà gli scivolava (come dice una canzone di Gaber a proposito della mamma democristiana che finiva per votare Democrazia Proletaria), ma in quanto figura che costantemente si misurava con la realtà, rimanendone insoddisfatto, lasciando magari dei vuoti nell’elaborazione, consapevole dei propri limiti, ma sempre teso al cambiamento. Per storia e cultura sembra non riuscire a dire esplicitamente che si debba abbandonare il capitalismo, ma prende in considerazione l’ipotesi in modo serio, da studioso: «I problemi elencati sopra sono da ultimo risolvibili dal capitalismo, sia pure trasformato e incivilito, oppure si deve ammettere che soltanto la crisi finale del capitalismo – che tali problemi ha creato a causa della sua doppia crisi – e la sua sostituzione con un sistema economico alternativo renderebbero realistico il compito di farvi fronte? A un simile interrogativo è impossibile rispondere se non con personali illazioni sul futuro prossimo o remoto. Tuttavia non si dovrebbe fare a meno, nel formulare tali illazioni, di tenere conto che i difetti strutturali del sistema finanziario, appunto quelli che lo rendono inservibile comestrumento per affrontare la doppia crisi, sono vere bombe a tempo in attesa di esplodere» (p. 75).
Un vecchio, a modo suo, ribelle, che può essere un esempio per molti giovani, nipoti o meno che siano.
*Fonte: http://www.communianet.org/rivolta-il-debito/gallino-da-riformista-feroce-critico-del-capitalismo