Grecia, speculazione e rating
La Grecia sembra essere messa al bando d’Europa. Il paese è additato come nemico della stabilità finanziaria, sull’orlo della bancarotta, spesso bugiardo e responsbile di aver truccato i conti. C’è ovviamente del vero in alcune di queste affermazioni. Ma c’è anche la sensazione che la vicenda sia esplosa non solo per ragioni tecniche e strutturali – il deficit greco venuto fuori all’improvviso -ma anche per il peso della speculazione internazionale.
E’ vero che la Grecia ha imbrogliato i suoi conti e, ad esempio, grazie a meccanismi finanziari come gli swap ha ridotto di oltre 2 miliardi di euro il proprio debito pubblico per entrare così nella zona euro. Ma la Grecia non è sola, e altri paesi della zona euro hanno spregiudicatamente manipolato i conti. Nel 1996 l’Italia ha ridotto artificialmente il suo deficit grazie a uno swap con la banca J.P.Morgan, mentre la Francia ha lanciato vari prestiti, inserendo in bilancio il rimborso degl’interessi alla fine dei 14 anni di durata. Nel 2004, Goldman Sachs e Deutsche Bank hanno realizzato per conto della Germania una costruzione finanziaria (Aries Vermoegensverwaltungs), grazie alla quale il paese ha raccolto prestiti a un tasso nettamente superiore a quelli di mercato evitando di far apparire il debito nei conti pubblici (dati questi tratti dal settimanale della Confindustria francese Expansion).
Il rapporto debito pubblico/Pil della Grecia è del 115%, ma quello dell’Italia è già al 116% (per ora) e anche se il rapporto deficit/Pil di Atene è schizzato al 15% è anche vero che la media dei paesi più avanzati (Usa compresi) è intorno al 9%. Il Pil della Grecia, inoltre, è di circa 250 miliardi di euro, solo il 2% di quello dell’Unione europea: può una realtà così piccola mettere tutto in pericolo?
E poi, cosa ha fatto la Commissione europea in questi anni, perché non si è accorta di nulla? E la stessa Germania, solo ora ha deciso di dedicarsi al debito greco? Eppure i segnali non mancavano: bastava, ad esempio, guardare al moltiplicarsi dei costi e alle spese pazze fatte per i Giochi olimpici per verificare le anomalie. La Commissione non poteva ignorare la situazione reale, ma in effetti non ha voluto denunciarla;. La Grecia è utile a quel nocciolo franco-tedesco le cui banche possiedono l’80% del debito greco.
Ma un ruolo nevralgico lo giocano le agenzie di rating. Non dimentichiamo che sono state queste a fornire la tripla A a società finanziarie imbottite di mutui subprime e nonostante la crisi globale fanno il bello e il cattivo tempo sui mercati internazionali. Sono loro ad aver abbassato la valutazione sui titoli greci così come ora fanno con quelli spagnoli. Proprio in questo momento? Non è una scelta dei tempi del tutto imbarazzante, come notava ieri il Corriere della Sera? E allora il sospetto che tutto ciò serva alla speculazione si fa molto più corposo.
Del resto, la decisione di Angela Merkel di concedere gli aiuti alla Grecia se fosse stata presa con risoluzione qualche settimana fa avrebbe comportato un costo assai più ridotto per le casse di quello Stato e dell’Europa intera. Si calcola che dai 45 miliardi di aiuti complessivi ipotizzati a febbraio le necessità ora saliranno a 100-120 miliardi. Costo che ovviamente finirà per aumentare considerevolmente i profitti degli investitori in titoli pubblici greci, cioè le banche o gli hedge fund.
Le agenzie di valutazione fanno così il loro gioco. Il segretario del più grande sindacato francese, la Cgt, ha definito questi istituti alla stregua di «milizie private». La loro origine data dal 1975, quando la Sec statunitense volle introdurre organismi al di sopra delle imprese e degli Stati in grado di emettere certificati di garanzia sui loro bilanci. Delle sette iniziali oggi ne sono rimaste fondamentalmente tre: Standar&Poor’s, Moodys e Fitch. Sono tutte agenzie private che quindi non rispondono a nessuno. Seconda la giurisprudenza statunitense, infatti, le loro valutazioni sono considerate solo delle libere opinioni che gli investitori possono più o meno seguire. E infatti non hanno mai pagato per i loro “errori”: su Enron i giudizi favorevoli furono mutati solo 5 giorni prima del crack; sui subprime è bene stendere un velo pietoso visto che le triple A sono state assegnate a titoli che in due anni hanno perduto il 97% del loro valore. Senza poi contare gli scandali. E’ stato l’economista Paul Krugman a denunciare gli scambi di mail interne a Standard & Poor’s in cui si discuteva dei rating da assegnare in virtù delle commesse eo dei guadagni che la società ne avrebbe potuto ottenere.
Lo schema, del resto, è sotto gli occhi di tutti. Quando le agenzie di rating riducono le loro valutazioni la speculazione internazionale trova conferma ai propri comportamenti e prosegue su quella strada. Lo abbiamo già visto nel 1992 nel caso della Lira e della Sterlina e oggi lo vediamo nel caso della Grecia e, da domani, in quello della Spagna. I tassi di interesse sui titoli di quei paesi schizzano in alto e gli investitori guadagneranno moltissimo; i prezzi dei titoli si detereriorano e chi ha scomesso al ribasso guadagna ancora di più.
Ma al di là della speculazione occorre capire meglio se non sia in atto una partita ancora più grande che riguarda l’euro e il suo rapporto con il dollaro. La crisi greca ha portato la moneta europea al limite di 1,30 sul dollaro, una quotazione tra le più basse degli ultimi anni. L’indebolimento non potrà che continuare in presenza di difficoltà per la Spagna e il Portogallo. E in questa situazione l’Ue ha dimostrato di non sapere e di non avere gli strumenti per reagire. Una fase si è chiusa anche per l’Europa e non è detto che quella che si apre sia migliore.