Il capitalismo è la causa del problema ambientale
Oggi parleremo di un libro che tratta i problemi del riscaldamento globale (che viene eufemisticamente chiamato “cambiamento climatico”). L’autore documenta (in modo esaustivo ma anche con grande chiarezza espositiva: molti esempi e nessuna formula astrusa per addetti ai lavori) lo stato dell’arte della ricerca scientifica su questi temi. Che ci dice questo: negli ultimi decenni si è registrata un’impennata delle concentrazioni di carbonio nell’atmosfera, che è oggi quasi due volte superiore a quella registrata nei periodi interglaciali degli ultimi 800 mila anni. Questo deriva dalla deforestazione e soprattutto dalla combustione di carbone, petrolio e gas naturale. I due fenomeni, sommati, comportano attualmente emissioni doppie di quanto piante verdi e oceani possano assorbire. Di qui surriscaldamento del globo e una serie di gravissime alterazioni dell’ecosistema, che il libro documenta dettagliatamente.
Per quanto riguarda le fonti dell’inquinamento atmosferico, esse – a dispetto di una leggenda metropolitana che sta affermandosi in questi ultimi anni – sono localizzate prevalentemente nei paesi sviluppati. Per intenderlo è sufficiente considerare tre aspetti: 1) motivi di ordine storico, 2) la diversa densità della popolazione (effettuando un calcolo pro capite, oggi un cinese emette 5 t di Co2/anno, uno statunitense 23,5), 3) molte imprese occidentali lavorano in paesi emergenti ma vendono le loro merci nei paesi sviluppati.
Che fare? Il capitalismo verde di cui ci ha parlato giorni fa Bill Clinton dalle colonne di Repubblica? Questa per Tanuro non è la soluzione, e tantomeno la nuova gallina dalle uova d’oro: è una presa in giro e una truffa. (Le pagine dedicate alla finanziarizzazione dell’aria attraverso il mercato dei diritti di emissione del carbonio, o quelle sull’agrobusiness, sono tra le migliori del libro.)
Per un motivo molto semplice: perché il capitalismo è la causa del problema ambientale. Come l’autore giustamente osserva, il cambiamento climatico non è genericamente “antropico”: nelle economie da caccia-raccolta o da agricoltura, le devastazioni ambientali derivavano dalla tendenza alla sottoproduzione; “nel mondo contemporaneo, invece, l’ambiente è messo a rischio soprattutto dalla tendenza alla sovrapproduzione di merci (e al sovraconsumo che ne consegue)”. E infatti il riscaldamento del globo data da 200 anni, ossia da quando il modo di produzione capitalistico ha cominciato ad estendersi sul pianeta. La “bulimia energetica del sistema” proviene infatti dalla concorrenza di capitali in lotta tra loro, dalla corsa al profitto e dalla logica di accumulazione illimitata proprie del capitalismo.
La soluzione? Decisioni democratiche, forti investimenti pubblici e pianificazione economica. Non c’è, insomma, soluzione possibile del problema ambientale senza socialismo. Ma vale anche il reciproco: “non esiste più alcun progetto di emancipazione che tenga senza prendere atto dei limiti e delle costrizioni naturali. Sfide sociali e ambientali sono ormai inscindibili”.
In ogni caso, oggi, “di fronte alla sfida climatica, esistono solo due logiche, contrapposte: quella di una transizione pilotata alla cieca dal profitto, che ci porta dritti a sbattere; e quella di una transizione pianificata consapevolmente e democraticamente in funzione dei bisogni sociali, indipendentemente dai costi, che regoli con razionalità e prudenza il ricambio organico con la natura”. Ma questo percorso alternativo, conclude l’autore, può essere intrapreso soltanto dai “produttori associati” a cui pensava Marx.