Il disgelo e la primavera
Il governo finalmente vara la misura più cara a Silvio Berlusconi, la riforma della Giustizia. Una riforma epocale, come ha detto il presidente del Consiglio, che dovrebbe mettere a posto il nostro Paese. Avete presente la crisi economica? l’impennata della cassa integrazione, l’inflazione che ritorna, i salari che dormono da anni, il lavoro che non si trova, i giovani che non si iscrivono all’università, il tempo pieno per la scuola che scompare e tutte quelle cose lì? Bene, fate finta di niente, è la Giustizia la “madre di tutte le riforme”, il Belpaese si appresta a diventare il regno di Bengodi, quasi un “paese normale”. Il bello è che c’è chi, a sinistra, spiega che, tutto sommato, questa riforma non è poi così male. Settori consistenti del Pd, il “terzo polo”, intellettuali. Addirittura, Piero Sansonetti sul sito degli Altri invita la sinistra “a non buttare” la riforma di Berlusconi. Come se un serial killer potesse riformare il diritto penale o un pedofilo potesse mettere le mani sulla scuola materna. Come se, davvero, Berlusconi avesse a cuore il funzionamento della Giustizia e non la resa dei conti con la magistratura o, meglio, la creazione di un clima serrato di contrapposizione, l’unico che gli consente di dare fondo alla propaganda. L’unica cosa che gli riesce bene. Se veramente qualcuno vuole discutere del merito, non avremmo problemi a schierarci con un’ipotesi garantista e con un assetto della magistratura in grado di offrire maggiori tutele a cittadini e cittadine ma finché Berlusconi imperversa questa discussione non si può fare, non si deve fare, è drogata e viziata.
Movimenti e politica
La discussione da fare, invece – e che non si fa – è come si costruisce un percorso efficace per liberarsi di una cancrena che soffoca il paese da quasi venti anni. Di come ci si libera di una cultura politica che si è estesa a tutta la politica italiana, inquinando larghe fette della stessa sinistra (basta vedere la voglia di leaderismo che imperversa, gli atteggiamenti di personaggi come il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, etc.). Ma questa discussione o è rimossa oppure vede agire dei meccanismi automatici che ripropongono vizi ed errori conosciuti da decenni.
La Cgil proclama, dopo una pressione costante della sua sinistra interna e dei movimenti al suo fianco, uno sciopero generale importante. Però lo convoca fra due mesi e solo di quattro ore, evitando di costruire una escalation sociale in grado di farne uno strumento che cacci il governo.
Gli studenti universitari dei collettivi lanciano una proposta interessante, mettere insieme tutte le opposizioni sociali per costruire una grande manifestazione nazionale che, anche recependo il vento che soffia dal Mediterraneo e dal Nordafrica, si ponga l’obiettivo delle dimissioni del governo. Ma la proposta fa fatica ad affermarsi, movimenti, opposizioni e le tante strutture interessate a modificare il quadro sociale e politico preferiscono rintanarsi nel proprio ristretto circuito evitando, ancora una volta, di alimentare una dinamica unitaria di tipo nuovo. E dando così vita a tante manifestazioni diversificate fra loro, tutte giuste, tutte utili, tutte importanti ma che non cercano una convergenza.
Il Nordafrica esplode, dittature decennali tracollano oppure vengono profondamente incrinate e sono prossime alla resa e, ancora, nella sinistra italiana, quella più estrema, in alcuni casi, residuale, scattano riflessi condizionati da una storia sbagliata che spingono addirittura a schierarsi con personaggi indecenti come Gheddafi.
Segni di rivolta
Eppure la fase non induce necessariamente a una visione pessimista. C’è un vento di rivolta che soffia nel mondo intero. Qualche giorno fa abbiamo pubblicato un articolo di Valerio Evangelisti che spiegava molto efficacemente come ci siano dei “proletari” in movimento dal Wisconsin (Usa) all’Egitto, l’Europa ha visto alcune scosse importanti negli ultimi mesi, in Gran Bretagna, Francia, in Italia il 14 dicembre. Ci sono potenzialità importanti e restiamo convinti che un tappo stia per saltare. Il bicchiere inizia a essere mezzo pieno. Ma proprio per questo occorre sapersi disporre al nuovo utilizzando il meglio del vecchio.
Berlusconi e il suo governo non si caccerà via per effetto di una sentenza della magistratura o di una foto compromettente. Servirà un movimento di massa, forte e strutturato, socialmente orientato, giovane e scattante. E anche questo non si improvviserà, servirà mettere mano a vecchi vizi e virtù mai frequentate.
Serviranno idee nuove che facciano i conti con i fallimenti del capitalismo e con la necessità di una idea dell’economia e della società in grado di prospettare un futuro al pianeta. Un’idea di società alternativa. Come casa editrice, nel nostro piccolo, ci impegniamo in questa direzione con libri come “L’impossibile capitalismo verde” o come il “Capitalismo tossico” che uscirà nei prossimi mesi. E anche la decisione di dare vita a una collana letteraria, Scritture resistenti, punta a offrire nuovi materiali della cultura e dell’immaginario per un progetto di trasformazione. Ma oltre alle idee servono le gambe. E servono nuove e buone pratiche democratiche.
Una piazza delle piazze?
Nel nostro paese ci sono forme di lotta che non hanno mai avuto cittadinanza, come la democrazia e l’autorganizzazione. Le grandi lotte e i grandi movimenti sono sempre stati strozzati da apparati importanti o da logiche di scontro tra gruppi contrapposti. Non c’è mai stata quella spinta all’autodeterminazione che, ad esempio, ha caratterizzato i movimenti francesi e che ha cercato di farsi strada durante la stagione del movimento “no global”. La difficoltà a costruire una larga convergenza di movimenti è anche frutto di queste logiche perché se discutessimo dell’ipotesi di una “Piazza delle piazze”, un luogo di convergenza e unità, una piazza Tahrir italiana, ovviamente diversa da quella del Cairo, in un ipotetico sondaggio i Sì sommergerebbero i No. E quindi c’è bisogno di lavorare in questa direzione, con pazienza e determinazione, un passo alla volta.
E poi, ovviamente, c’è la politica. Nel 2011 non si vota, questa verità è abbastanza condivisa. C’è il tempo di lavorare per costruire ipotesi nuove che facciano i conti con l’irriformabilità di un partito, come il Pd, che non costituisce una chance per il cambiamento ma un freno. Abbiamo avuto già modo di parlare della “Coalizione che manca”, della necessità di costruire un’altra prospettiva politica. Purtroppo, le forze della sinistra che potrebbero contribuire a questa ipotesi si consegnano alla logica del centrosinistra ripercorrendo strade già battute e già sconfitte. Vendola, efficace e combattivo, si presenta però come una variante del Pd. Il tempo per dare vita a una fluidificazione delle forze e costruire un progetto alternativo a sinistra oggi c’è. Le forze intenzionate a cimentarsi con il compito, un po’ meno. Sarà compito dei movimenti costruire un terreno nuovo e più favorevole. Da questa realtà non si scappa.