Il giro del mondo dalla Sicilia e ritorno
Antonio Mazzeo (audio), autore di numerose inchieste sull’interesse suscitato dal ponte in Cosa Nostra, nel libro “I padrini del ponte” (Edizioni Alegre), mostra un intreccio di personaggi malavitosi e società con capitali poco puliti all’ombra dello Stretto di Messina. Un vero e proprio giro del mondo che inizia e si conclude in Sicilia e che svela come il problema delle infiltrazioni mafiose non riguarda più solo il Sud o l’Italia: ha raggiunto livelli internazionali. «La mafia e la ‘Ndrangheta – spiega Mazzeo – , pur mantendo modelli arcaici di controllo violento del territorio, si sono modernizzate e oggi sono in grado di operare sui grossi sistemi finanziari».
Il Ponte sullo Stretto di Messina è un’opera controversa. La sua realizzazione è molto criticata, soprattutto per la paura di infiltrazioni mafiose nel processo di costruzione. Ne “I padrini del ponte” Antonio Mazzeo analizza con scrupolo indagini in corso, atti giudiziari e documenti di commissioni parlamentari che rivelano tutto un sottobosco mafioso interessato dai profitti a cui potrebbe portare la costruzione del ponte. Non è fantapolitica, né ipotesi: si tratta di fatti, persone e situazioni che sono state già sottoposte a indagini della magistratura e per le quali in alcuni casi si è già giunti a una sentenza definitiva.
Un affare internazionale
L’avvio di questa sorta di giro del mondo di denaro, alleanze, prestanomi parte proprio dalla Sicilia. Come è noto dalla Trinacria provengono le famiglie mafiose più ricche e potenti: Cuntrera, Caruana, Rizzuto. Mentre le prime due si espandono e trafficano con il Sudamerica (specialmente in Venezuela), la terza si stabilisce in Canada. Nel cammino di ritorno, un fiume di denaro di provenienza illecita si incontra con petrodollari arabi e capitali giapponesi. Com’è possibile? La risposta, apparentemente semplice ma illuminante, è che il denaro sporco non viene ripulito occultamente ma alla luce del sole, servendosi di tutte le regole e le possibilità “legali” offerte dall’alta finanza. Paradossalmente oggi vale il detto “pecunia non olet”, il “denaro non puzza”. Un’affermazione più che mai vera quando i soldi sporchi vengono offerti a soci puliti, per realizzare opere che portino a ulteriori grossi guadagni. In certi ambiti nessuno si preoccupa di chiedere la provenienza del denaro, seppur sia possibile sollevare qualche dubbio. Viene da domandarsi: ci avviamo o siamo già in una nuova era con una diversa etica, o meglio, una “non-etica”? Riprendendo il famoso “Il fine giustifica i mezzi”, finiremo per considerare lecito finanziare un’opera pubblica, anche se realizzata con capitali privati, con denaro non proprio pulito, purché venga realizzata? A prescindere dall’essere favorevoli o contrari al ponte sullo Stretto di Messina, si può rinunciare a una grande infrastruttura, perché si temono le infiltrazioni mafiose? È come quando si dice che i voti dei mafiosi hanno contribuito a far eleggere dei politici: fino a quando i componenti o parenti o alleati delle “famiglie” avranno il diritto di voto, come è possibile distinguerli o controllarli? Chi darà una patente di mafioso a chi, anche per la giustizia, è pulito?
Personaggi insospettabili al servizio della criminalità organizzata
Ancora più difficile da risolvere è il problema della provenienza del denaro. È chiaro ed è giusto che si controlli tutto: ma è sempre possibile farlo, soprattutto preventivamente? Quante volte negli ultimi tempi si è scoperto, dopo che anche l’amministrazione statale ha stipulato contratti e appaltato opere, che alcune società si sono rivelate manovrate dalla criminalità organizzata? Molto spesso i prestanome sono degli insospettabili: anziani ingegneri che si presentano come general contractor, o ex attori televisivi che si propongono quali mediatori di un’offerta sicuramente allettante per la costruzione del ponte (costi inferiori del 50%) da parte di una società italo-arabo-canadese e nella compravendita di terreni di proprietà di politici o di loro familiari. Tanto per fare qualche nome, il governo Berlusconi è sceso direttamente in campo a fianco di Impregilo, che aveva una sovraesposizione bancaria di 1,3 miliardi di euro. Nonostante un’indagine in corso per falso in bilancio, sempre il Governo ha chiesto a un pool di banche un prestito di 550 milioni di euro, ricordando l’importanza della società di costruzioni nella realizzazione di grandi opere tra cui, appunto, il ponte sullo Stretto. «Un altro miracolo all’ombra del ponte», come afferma Mazzeo.
La modernizzazione della mafia
Ritornando a Cosa Nostra, è stato rivelato che già da tempo ci sono stati contatti con i calabresi in vista dell’avvio dei lavori sullo Stretto. Il ministero dei lavori pubblici è già al corrente dell’«impatto criminale» del ponte sin dal 2000, attraverso uno studio ordinato per valutare la fattibilità dell’opera. Secondo l’autore è stata sottovalutata la possibilità di infiltrazioni malavitose, perché l’approfondimento non tiene conto della mancanza di coordinamento tra le procure siciliane e calabresi, per le indagini necessarie. D’altra parte l’eventuale ricorso all’esercito, che dovrebbe garantire la sicurezza dei cantieri, non è ritenuta una misura utile. Basti considerare che la criminalità organizzata dà la scalata alle holding dall’interno, acquistandone cospicui pacchetti azionari. Un modus operandi che, però, non viene utilizzato solo nel Sud: vedi il gruppo Ferruzzi o le recenti collusioni emerse tra la Calcestruzzi S.p.A. di Bergamo con la mafia. Il problema, quindi, non è più solo meridionale né tanto meno italiano: ha raggiunto livelli internazionali.
(antonino marsala)