Il nuovo numero della rivista Erre
E’ uscito il nuovo numero della rivista Erre. il 16 ottobre sarà diffuso in piazza durante la manifestazione della Fiom a Roma, nelle settimane successive arriverà agli abbonati e nelle migliori librerie.
Vi proponiamo l’editoriale di Piero Maestri, quanto mai attuale dopo la morte dei 4 alpini italiani in Afghanistan.
Editoriale n. 40 Erre
Vent’anni dopo, la guerra
Di Piero Maestri
Vent’anni fa l’invio delle navi militari nel Golfo Persico – “giustificate” in seguito alla sconsiderata invasione del Kuwait da parte dell’esercito iracheno di Saddam Hussein – inauguravano “sul campo” la strategia della “guerra globale permanente” che ci ha accompagnato in questi decenni a cavallo dei due secoli e che ancora oggi continua, costituendo l’altra faccia di un processo di “globalizazione” che ha significato una ricolonizzazione planetaria e una maggiore penetrazione capitalista.
Strategia che è passata in primo luogo attraverso operazioni di guerra combattuta in diverse aree del pianeta, in particolare in un’area che è stata chiamata del “grande medioriente”, con significativi e drammatici allargamenti all’Europa balcanica e a diverse regioni dell’Africa. Una vera e propria guerra mondiale, non solamente perché combattuta in così vaste aree, ma perché ha coinvolto i più importanti soggetti politico-militari.
Una strategia che Stati uniti e paesi alleati (dentro e fuori la Nato) non hanno abbandonato e che continua a provocare vittime e distruzioni, oltre a impedire l’autodeterminazione delle popolazioni di intere regioni. Il presidente Obama non rappresenta in alcun modo una controtendenza in questa direzione, ma solamente un diverso modo di condurre la stessa strategia: ritira le forze armate dalle strade irachene – mantenendo le basi militari (come avviene in molti paesi, visto che la presenza militare Usa e Nato non diminuisce) – e aumenta la capacità offensiva in Afghanistan, mentre di fatto sostiene la politica israeliana contro i palestinesi, pur chiedendo maggiore “moderazione”, e così via.
Nello stesso periodo sono profondamente cambiate in molti paesi, soprattutto in Europa, le forze armate e di “sicurezza”, che hanno sempre più assunto un ruolo di interventismo “fuori area” oltre che essere impegnate direttamente in compiti di “ordine pubblico” e di guerra alle migrazioni.
Anche in Italia abbiamo potuto osservare questa dinamica, con una crescente partecipazione delle forze armate alle operazioni di guerra – in violazione dell’articolo 11 della Costituzione, violazione perpetrata in maniera “bipartisan”, coinvolgendo anche quelli che oggi si stracciano le vesti di fronte alla natura “eversiva” del berlusconismo; con la trasformazione delle stesse in senso professionale e volontario; con il loro impiego nella “lotta all’immigrazione clandestina”; fino al loro spiegamento (piuttosto propagandistico, ma non meno grave) nelle metropoli e quello, decisamente più pericoloso, nella zona rossa de L’Aquila al servizio della “cricca” e delle sue politiche di “emergenza permanente”.
E oggi, a causa della crisi di “vocazioni” e della mai sopita speranza del ministro La Russa di far tornare le forze armate strumento di formazione alla disciplina e all’obbedienza, lo stesso ministro della guerra con la collega della distruzione pubblica Gelmini si sono inventati il progetti “allenati per la vita”, con l’obiettivo di «far vivere ai giovani delle scuole superiori esperienze di sport e giochi di squadra, ma anche introdurre corsi specifici e prove tecnico/pratiche… per vivere questo momento come stimolo per toccare con mano i valori della lealtà, dello spirito di corpo e di squadra, oltre ad acquisire senso di responsabilità e rispetto delle regole e dei principali valori della vita».
Questa strategia di guerra permanente ha provocato diverse resistenze, sia in senso più propriamente militare (resistenze che, al di là del giudizio sulle loro strategie e le loro scelte operative, hanno più volte messo in situazione di stallo le forze armate Usa/Nato) che da parte di un movimento contro la guerra che è stato per alcuni anni al centro della scena politica internazionale.
Oggi quel movimento – in particolare in Italia – è quasi invisibile, frammentato e inefficace, diviso tra chi ha scelto di cercare in tutti i modi di sedersi al tavolo della politica governativa (forse per questo si è voluta chiamare “Tavola della pace”), chi ha ripiegato su scelte locali di valorizzazione della “comunità” (come ha fatto il “No Dal Molin”, con l’obiettivo di rendere inoperante la scelta statunitense e italiana a partire da una mobilitazione permanente locale, che si è alla fine rivelata in realtà localistica e poco capace di aprirsi ad alleanze non istituzionali, anche perché in una fase di stallo del movimento e per le colpe di una sinistra di governo che ha sacrificato Vicenza sull’altare della governabilità) e chi ha provato a mantenere aperta una riflessione di opposizione globale alla guerra e alle politiche di guerra, non riuscendo ad andare molto oltre la testimonianza e pratiche poco inclusive e capaci di mobilitare.
Questa inefficacia e scarsa capacità di mobilitazione contro la guerra rende ancora più difficile provare a connettere la necessaria iniziativa contro decisivi aspetti della militarizzazione – come l’aumento delle spese militari, il mantenimento delle produzioni belliche, l’espropriazione territoriale a fini militari – alla lotta contro la gestione della crisi di governo e Confindustria. In questo senso le domande sono sempre le stesse: perché accettare il taglio dei servizi pubblici quando si aumentano le spese militari? Perché non si possono introdurre progetti di riconversione produttiva che permettano di sperimentare nuove dinamiche di tutela territoriale e ambientale al posto delle produzioni belliche?
Nel breve periodo non sarà probabilmente possibile un rilancio su larga scala di un movimento contro la guerra globale in Italia. Resta la possibilità, e la necessità, di mantenere aperta questa prospettiva attraverso una maggiore capacità di analisi sulla nuova fase internazionale, sul ruolo degli eserciti in questa fase e sulla permanenza e pericolosità delle alleanze politico-militari come la Nato, che continuano a rappresentare il necessario contraltare delle politiche liberiste e di chiusura delle frontiere alla circolazione di donne e uomini.
Le iniziative previste contro il vertice della Nato a Lisbona (con un controvertice il 19 e 20 novembre e una manifestazione il 21) possono rappresentare un’occasione per riallacciare i fili di un movimento europeo e per ridare fiato a iniziative contro la guerra anche in Italia. Sinistra Critica proverà a fare la sua parte in questa iniziativa, in sintonia con le altre forze della sinistra anticapitalista europea.