Il Piemonte alla Lega ma vince Grillo
Il Piemonte passa alla Lega. Per la formazione xenofoba e razzista si tratta di un successo storico, la cui portata non va sottovalutata. Tuttavia, attraverso l’analisi attenta dei voti assoluti si scopre che in realtà il centrodestra non è riuscito ad accrescere il proprio consenso rispetto alle elezioni europee, anche se è riuscito a contenere il calo dei voti. In particolare, la Lega che è riuscita a diluire la perdita dei propri voti facendo leva anche sul suo messaggio razzista, pur non riuscendo a sfondare nel capoluogo, Torino, dove ha ottenuto buoni risultati, ma nettamente inferiori rispetto al resto della regione e soprattutto al di sotto del 15%. La Lega, infatti, perde ben 59.718 voti ( alle europee del 2009 aveva conquistato 376.783 voti; mentre alle regionali ne ha presi 317.065); il Pdl, invece, perde, invece ben 300.000 voti. Occorre notare comunque che molti sono confluiti solo al candidato Cota e non alle liste.
Così non è avvenuto nel centrosinistra, colpito in misura maggiore dall’astensionismo. La Bresso, infatti, non è riuscita a compensare il forte calo del Pd, che ha perso ben 125.923 rispetto alle europee. Vano è stato, inoltre, il tentativo di sperimentare un’alleanza allargata che vedeva assieme Udc e sinistra radicale, in forte calo di voti.
La presidente uscente e il Pd sono, quindi, i veri sconfitti di queste elezioni. Pagano, in particolare, il loro appoggio incondizionato al Tav e l’accentuazione dello scontro con il movimento val susino, ma anche l’incapacità o piuttosto la non volontà di guardare alla crisi che sta assumendo contorni sempre più drammatici: secondo i dati Istat il Piemonte ha raggiunto il triste primato della regione settentrionale con il più alto tasso di di disoccupazione.
L’assenza di una proposta alternativa di fronte all’acutezza della crisi, il profilo filo padronale di entrambi gli schieramenti, la crociata bipartisan contro il Tav, hanno senz’altro contribuito al forte astensionismo: il 36% degli aventi diritto al voto non si è recato alle urne. Se è sempre difficile fare un’analisi complessiva delle astensioni, è evidente che stavolta, più che in altre occasioni, i due candidati sono stati percepiti come uguali e il voto, quindi, inutile.
In questo contesto, va inquadrato il successo del movimento 5 stelle che ottiene ben 2 consiglieri regionali con il 3,66% di voti. Sulla lista di grillo sono convogliati gran parte degli elettori NoTav della val di Susa. I dati sono chiari, a tal proposito. I grillini conquistano, infatti, il 28,68% a Bussoleno; il 29,80 a Venaus; il 26,47 a San Giorio; il 23,79 a Bruzolo; il 18,69 a Borgone; il 17,39 a Sant’Antonino. Il movimento di Grillo, tuttavia, riesce a raggiungere ottimi risultati anche nella cintura torinese, nel cuneese dove elegge un consigliere; ma anche nell’astigiano dove raggiunge quasi il 4%. Nelle altre province ruota invece ad un ottimo 3%. La composizione del voto al candidato grillino, Davide Bono, agli onori delle cronache dei giornali nazionali per essere stato direttamente accusato da Bersani di essere il fautore della sconfitta della Bresso, è senz’altro eterogenea. Non è solo frutto del voto disgiunto degli elettori della sinistra radicale o dell’Idv delusi dalla Bressa, come hanno sostenuto molti analisti del centrosinistra. La differenza tra i voti di lista e i voti del candidato alla presidenza è, infatti minima. Si tratta di 20.000 voti, molti dei quali attribuiti al solo candidato. Un fattore fisiologico dal momento che al candidato era associato solo la sua lista. Sul candidato grillino Davide Bono, e sulla sua lista sono convogliati invece i voti di ampi settori del movimento ecologista e dei diversi movimenti territoriali (a Rivalta dove è presente uno dei principali comitati contro l’inceneritore prende il 7%), anche sulla spinta del sostegno di alcuni dei principali esponenti del movimento NoTav come Perino e Cancelli; pezzi consistenti del popolo viola (resistenza viola in Piemonte) che alla vigilia della campagna sono riusciti ad organizzare una manifestazione contro il Tav nel capoluogo alla quale hanno partecipato circa 3000 persone (reali); elettori della sinistra radicale contrari alla Bresso; settori giovanili disillusi dalla sinistra governista; elettori delusi dall’Idv, ma anche moltissimi voti di protesta che senza la lista grillina si sarebbero riversati nell’astensionismo.
Il movimento 5 stelle è così riuscito a ricoprire oggettivamente quello spazio politico, lasciato vuoto dalla crisi della sinistra radicale, alternativo al centrodestra e al centrosinistra, anche se oggettivamente presenta non pochi problemi e qualche ambiguità. Se effettivamente, infatti, la struttura portante del movimento grillino interviene nei comitati a difesa del territorio e dei beni comuni svolgendo un ruolo propulsivo, forte è la componente “anticomunista” e comunque avversa ad una prospettiva di sinistra, abbinata semplicemente a quella governista e “affarista”. Certo è che in mancanza di una componente di classe, i grillini hanno ottenuto per la loro coerenza e onestà un discreto successo anche nell’elettorato tradizionalmente di sinistra. Non a caso in alcuni comuni della cosiddetta rossa cintura torinese, Bono riesce a superare o ad avvicinare il 5% come a Grugliasco, Orbassano, Nichelino e Rivoli.
Al successo del movimento 5 stelle fa da contraltare, non a caso, il risultato negativo e poco confortante della sinistra radicale. La Fds ha senz’altro pagato i 5 anni di complicità con la gestione neoliberale della Bresso. A parole contro il Tav, inoltre ha nei fatti votato in consiglio regionale ogni provvedimento in favore dell’alta velocità. I risultati si vedono. La Fds (2,64) perde circa 25.000 voti rispetto alle europee e ottiene solo un consigliere regionale (ne aveva ben 6), mentre Sel (1,43%), sempre più appiattita sulle posizioni del Pd, riesce ad ottenere sul filo di lana un consigliere regionale.
La vittoria della Lega si spiega, quindi, soprattutto per l’arroganza di un centrosinistra fortemente distante dai bisogni e gli interessi delle classi popolari e la pochezza di una sinistra radicale priva di una progettualità politica, ambigua nei confronti dei movimenti, incapace di rimettersi in gioco e costruire una reale alternativa alla crisi capitalista.