Il “post-fascismo” in Europa: un processo di trasformazione politica di cui si ignora l’esito
Il successo delle destre radicali in Europa suscita in maniera notevole dei riferimenti al fascismo storico. Lei ha espresso delle reticenze rispetto a questo gioco di analogie. Perché?
Le destre radicali che crescono oggi in Europa – in certi paesi, come la Francia, una crescita spettacolare – si alimentano grazie alla crisi economica proprio come le loro antenate degli anni venti e trenta. Ma questa crisi è molto diversa rispetto a quella di allora, il contesto è profondamente cambiato e anche le destre estreme non sono più le stesse. Durante gli anni 30 il capitalismo sembrava subire la minaccia di crollare. Da una parte a causa della recessione internazionale e dall’altra a causa dell’esistenza dell’Urss, che si presentava come un’alternativa credibile ad un sistema socio-economico che tutto il mondo considerava storicamente esaurito. La crisi di questi ultimi anni, invece, è stata innanzitutto una crisi finanziaria, e successivamente si è assestata nell’eurozona come una crisi del debito pubblico. Oggi il capitalismo sta molto bene e non sembra esserci un’alternativa in vista, nonostante approfondisca le disparità sociali non smette di estendere il suo dominio a livello planetario.
Come si colloca oggi il capitalismo rispetto ai movimenti di estrema destra?
Durante gli anni 30 le élite non si sottraevano alla spirale del nazionalismo scatenata dalla Grande Guerra e vedevano nel fascismo una possibile opzione politica (prima in Italia, poi in Germania, in Austria, in Spagna, in Europa centrale, ecc.). Senza questo sostegno i fascismi non avrebbero potuto trasformarsi da movimenti “plebei” in regimi politici. Oggi, invece, il capitalismo globalizzato non appoggia i movimenti di estrema destra, gli è sufficiente la Troika (la Commissione Europea, la Bce e il Fmi). Negli anni 30 i fascismi esprimevano una tendenza diffusa verso il rafforzamento degli stati, interpretata da molti analisti come l’avvento di uno stato “totale” ancora prima dell’arrivo di Hitler al potere in Germania (rafforzamento dell’esecutivo, intervento statale nell’economia, militarizzazione, nazionalismo, ecc.). Lo “stato di eccezione” che si attua oggi non è fascista o fascistizzante ma neoliberista: trasforma le autorità politiche in semplici esecutori delle scelte dei poteri finanziari che dominano l’economia globale. Questo fenomeno non rappresenta uno stato forte ma uno stato sottomesso, che ha trasferito ai mercati gran parte della propria sovranità.
Lei ha proposto di usare il concetto di “post-fascista” per indicare la destra radicale dei giorni nostri. Allo stesso tempo riconosce i limiti di questa nozione. Può spiegarsi meglio?
Il concetto di “post-fascismo” indica una transizione in corso di cui non si conosce ancora l’esito. Le destre radicali restano influenzate dalle loro origini fasciste (in Europa centrale rivendicano addirittura questa continuità storica) ma tentano di emanciparsi da questa pesante eredità e cambiarsi d’abito, modificando profondamente la loro cultura e la loro ideologia. La loro filiazione dal fascismo classico diventa sempre più problematica. Il caso francese è particolarmente emblematico di questa mutazione, illustrata dal conflitto tra Jean-Marie e Marine Le Pen: una leadership dinastica nella quale il padre incarna l’anima del fascismo originale e la figlia una nuova anima che vorrebbe far trasmigrare i vecchi valori (nazionalismo, xenofobia, razzismo, autoritarismo, protezionismo economico) all’interno di un quadro repubblicano e liberal-democratico.
Si possono comprendere gli effetti di questa trasformazione “post-fascista”?
Questa mutazione rischia di far esplodere il quadro politico. Quando, dopo gli attentati di gennaio ma soprattutto di novembre, è l’insieme della classe politica francese (dal Parti Socialiste alla destra) ad allinearsi sulle posizioni del Front National, lottare contro quest’ultimo in nome della Repubblica diventa quasi incomprensibile. Il Front National non è una forza “antirepubblicana” come poteva esserla l’Action française durante III Repubblica. La sua mutazione rivela piuttosto le contraddizioni intrinseche del nazional-repubblicanesimo. Non si tratta, salvo eccezioni, di una trasformazione del fascismo verso la democrazia, ma verso qualcosa di inedito, ancora sconosciuto, che rimette profondamente in questione le democrazie realmente esistenti. Non più il fascismo classico ma non ancora qualcos’altro: è in questo senso che parlo di “post-fascismo”.
Nell’universo mentale del “post-fascismo” l’odio verso i musulmani ha preso il posto di quello verso gli ebrei, senza che venga meno il vecchio antisemitismo. Come funziona questo meccanismo?
Storicamente l’antisemitismo è stato uno dei pilastri dei nazionalismi europei, in particolare in Francia e in Germania. Si trattava di un codice culturale intorno cui costruire un’idea di “identità nazionale”: l’ebreo era “l’anti-Francia”, un corpo estraneo che rodeva e indeboliva la nazione dall’interno. L’epilogo genocida del nazismo tende a far percepire come unico l’odio verso gli ebrei risalente a quell’epoca, e a offuscare così le profonde analogie esistenti tra l’antisemitismo europeo di prima della seconda guerra mondiale e l’islamofobia contemporanea. Come l’ebreo di una volta, oggi è il musulmano ad essere diventato il nemico interno: inassimilabile, portatore di una religione e di una cultura estranee ai valori occidentali, virus corruttore dei costumi e minaccia permanente all’ordine sociale… L’ebreo anarchico o bolscevico è stato sostituito dal musulmano jihadista, il naso adunco dalla barba, il cosmopolitismo ebraico dalla jihad internazionale.
Il parallelo si prolunga sotto altri aspetti?
Vi sono in effetti altre analogie: lo spettacolo deplorevole dei nostri capi di stato che si rinviano la palla per non accogliere i rifugiati che fuggono dalle regioni devastate dalle nostre “guerre umanitarie” ricorda da vicino la conferenza di Evian del 1938, durante la quale le grandi potenze occidentali non riuscirono a trovare un accordo per accogliere gli ebrei che lasciavano la Germania e l’Austria nazificate. Parallelamente a questa mutazione ve ne sono delle altre: la fobia del velo islamico ha sostituito la misoginia e l’omofobia dei fascismi classici. Oggi in vari paesi dell’Europa occidentale i movimenti post-fascisti predicano l’esclusione e l’odio in nome dei diritti e delle libertà individuali. Certo, si tratta di un processo contradditorio, poiché i vecchi pregiudizi non sono di certo scomparsi nell’elettorato di questi movimenti, però la tendenza è chiara. Risulta che non possiamo combattere la xenofobia contemporanea con gli argomenti dell’antifascismo tradizionale.
*http://www.europe-solidaire.org/spip.php?article36642 Traduzione di Nadia De Mond per communianet.org