Il tesoriere del Prc lascia il partito
12 ottobre 2010
Al segretario nazionale del Prc
Alla segreteria nazionale del Prc
Ai compagni e alle compagne del Comitato politico nazionale del Prc
Ai compagni e alle compagne della Direzione nazionale del Prc
Ai compagni e alle compagne di Rifondazione comunista
e p. c.
Alle lavoratrici e ai lavoratori di Liberazione
Care compagne e cari compagni,
ho deciso di lasciare il nostro partito e quindi di conseguenza rassegno le dimissioni da tesoriere del Partito della Rifondazione comunista.
Sento il dovere di comunicarvelo per rispetto del nostro Partito, nel quale sono cresciuto, umanamente prima ancora che politicamente, moltissimo. Nel corso di questi anni ho sempre sentito le responsabilità che mi avete affidato come un impegno etico e politico verso l’organizzazione che, insieme a tante altre e altri, abbiamo generosamente provato a costruire. Per me è sempre stato un onore poter essere utile al partito che, ancora diciottenne, scelsi per la mia militanza politica. Nel corso degli anni ho dato tutto me stesso per corrispondere alla fiducia che mi avevate accordato, in particolare negli anni in cui ho svolto il ruolo di tesoriere del partito. Dopo la sconfitta del 2008 e la conseguente uscita dal Parlamento delle nostre rappresentanze, ho moltiplicato ogni sforzo per far vivere, non solo sopravvivere, la nostra organizzazione autonomamente, come è necessario e giusto che viva un’organizzazione di comuniste e comunisti. Ogni mia scelta, sempre operata di concerto con i gruppi dirigenti, ha avuto come unica finalità quella di rendere più autonoma e forte la voce di Rifondazione comunista. Ho trovato la generosità antica di chi condivide un vincolo forte di appartenenza e, quindi, il mio primo ringraziamento e saluto va a tutte e tutti quelli che lavorano quotidianamente per far funzionare il partito. Un saluto particolare lo riservo a chi, con me, ha condiviso la fatica e lo stress di trovare le risorse umane ed economiche per continuare. Per la pazienza con la quale hanno dovuto sopportare anche i miei ritmi, va a Licia e a Mauro – per me fonti inesuribili di confronto e arricchimento di idee – ad Alessandra e a Alberto – che con pazienza hanno spesso sopportato le mie intemperanze – a Lucia e a Marco dell’amministrazione del giornale che ho purtroppo conosciuto tardi, tutto l’affetto e la riconoscenza per un lavoro che non avrei potuto altrimenti realizzare. C’è un saluto che non posso più fare, quello alla carissima e dolcissima Barbara Giadresco, che fu insostituibile motore del nostro collettivo, forte nella sua fragilità, capace di infondere in tutti noi una fiducia nel futuro che spero mi accompagni tutta la vita.
È proprio il grande legame che ho conservato verso le donne e gli uomini del nostro partito che mi ha fatto scegliere di continuare la militanza pur quando non condividevo alcune scelte del gruppo dirigente. E non ho mai sentito come impedente, né per la mia militanza né per la mia responsabilità di tesoriere, l’avere opinioni anche radicalmente difformi dalla linea maggioritaria legittimamente sostenuta dal segreteria nazionale. Ho, piuttosto, sempre interpretato la delicatezza del mio ruolo come un punto di esposizione forte, sia internamente che esternamente, dal quale non potesse mai venire una propensione partigiana. Ogni volta che effettuavo una scelta, la mia unica preoccupazione è stata quella di garantire il bene del partito, e attraverso questo la garanzia che ogni sua parte, sia stata un territorio o piuttosto un’articolazione politica interna, se ne sentisse garantita. Posso dirvi, in tutta coscienza, che è sempre stato così. Anche, nella delicatissima responsabilità di amministratore unico di Liberazione, tendendo ad un risanamento che tenesse conto delle professionalità presenti nel giornale e del diritto dei lettori a poter avere una fonte di informazione non omologata, nonostante le politiche di taglio di fondi pubblici, liberticide quante altre mai, decise dal governo più antisociale della storia repubblicana del nostro paese.
So di averci messo, da amministratore del partito, il massimo impegno fino all’ultimo giorno, con tutti i miei limiti, provando sempre a dare una risposta ai problemi e alle questioni delle compagne, dei compagni e dei territori. Ho poi scelto di non indugiare oltre nella riflessione e di dare seguito ai miei intendimenti oggi, senza ulteriori rinvii, anche per tutelare il partito, che tra breve avrà un Cpn: la sede statutaria dove potere eleggere il nuovo tesoriere, al quale sin d’ora porto i miei auguri di buon lavoro e per il quale mi rendo disponibile in ogni momento al passaggio di consegne.
E’ l’onestà intellettuale ad impormi le dimissioni. Se infatti non condivido più nulla del partito non posso più continuare a svolgere serenamente il mio ruolo. Specularmene lo stesso vale per il partito che non può consentirsi di far rivestire un ruolo chiave come il mio a chi non sia più convinto della sua utilità politica.
Il deficit di linea politica è dovuto senza dubbio alcuno al frazionismo. Non più soltanto un fenomeno della vita politica del nostro partito, ma addirittura come metodo della sua gestione, “dal centro alla periferia”. Dopo un gran parlare di “gestione unitaria”, dopo l’allargamento della segreteria oltre la maggioranza congressuale di Chianciano, dopo ancora le relazioni e i documenti sul superamento delle aree, ancora il partito non è condotto da una linea unitaria, ma da un delicato quanto nauseante equilibrio interno. E dato che ormai tante compagne e tanti compagni lo sostengono candidamente dietro al triste motto “primum vivere deinde filosofare”, penso che sia davvero la morte (della politica) pensare che è importante “eleggere una truppa di parlamentari e poi si vedrà”, che “l’obiettivo è il 2,1%”, una ben misera prospettiva. E’ forse proprio questa tenue speranza che tiene in piedi quell’equilibrio, forse la speranza che sia il gruppo dirigente a riempire quelle caselle. Non posso che augurare a chi la pensa così buona fortuna, esattamente come la si augura a chi gioca al lotto.
Anche se non credo che quel poco di partito che ancora vive – e si affatica – sui territori consentirà la meccanica autopromozione di chi ha grandi responsabilità nell’aver devastato una delle più grandi esperienze politiche della sinistra degli ultimi quindici anni.
Alle compagne e ai compagni convinti che rimanendo nel partito sia possibile fare una battaglia politica e cambiare le cose, rispondo che non ne ho voglia. Per me politica significa battaglia di idee per cambiare la società. Se devo usare le mie energie preferisco farlo per una esperienza politica tesa a modificare qualcosa di più che il gruppo dirigente di un partito smarrito. Il gruppo dirigente si è dimostrato completamente inadeguato nella gestione del partito. La modalità assunta di concentrare e sottoporre al controllo minuzioso da parte della segreteria nazionale ogni aspetto della vita interna del partito, è soltanto il segno dell’incapacità di fare e proporre iniziativa politica come leva del rafforzamento e della costruzione del partito stesso. Se ciò produce risultati neutri il più delle volte, con l’unica frustrazione dell’autonomia e della responsabilità di ciascuno verso il proprio incarico, in un caso ha prodotto e produrrà risultati disastrosi che metteranno in gravissima difficoltà – nonostante gli sforzi fatti in questi anni di contenimento assoluto della spesa – il partito stesso. Sto parlando della vicenda Liberazione.
Complice anche la Direzione nazionale che non ha voluto guardare i numeri, la gravità è stata nella superbia e nell’approccio così superficiale tenuti in una situazione economica tanto delicata, anzi disastrosa per il partito, a tutti nota dopo la sconfitta del 2008. Se prima si è trattato di un errore, dopo i risultati delle elezioni europee e poi ancora di quelle regionali è stato diabolico perseverare.
Prima tra tutte la responsabilità è del Direttore e poi del Segretario nazionale che lo ha voluto assecondare in tutto e per tutto, quindi anche della segreteria che non ha saputo o voluto intervenire. Era già evidente alla fine del 2008 – e lo dissi – che non tenere strette le redini del bilancio di Liberazione, avrebbe significato condannare il Partito ad un lento, inesorabile dissanguamento economico. Assistere da tesoriere a questa idiozia è troppo, davvero. Soprattutto quando – in nome della continuità della rifondazione comunista – ci sono oltre 70 dipendenti del partito in cassa integrazione e si tagliano completamente le risorse per l’attività politica sui territori.
La motivazione del disastro economico fu una delle leve contro il precedente direttore e la precedente gestione, ma esattamente oggi come allora si fa ciò che si rimproverava agli altri. Esattamente, perché farsi vanto di una riduzione della perdita dovuta in grandissima parte al dimezzamento del costo del lavoro per mezzo degli ammortizzatori sociali, è un grave errore di prospettiva. Significa essere miopi. Peggio: ha significato sprecare per due anni l’occasione dello stato di crisi per avviare una profonda modificazione del giornale, per portarlo a dei livelli di compatibilità economica. Ribadire ancora che il generoso sforzo che in questi ultimi mesi hanno compiuto decine e decine di compagni in sostegno al giornale possa risollevare le sorti del giornale è il frutto di una manifesta incompetenza, per carità nella massima buona fede.
Anche la federazione della sinistra, se in un primo tempo aveva l’ambizione di rappresentare un processo verso la riunificazione della sinistra, oggi non è più che un mini cartello elettorale, un involucro protettivo (che però non produce neppure questo effetto per lo scarso interesse che suscita nel paese) che un luogo dove investire energie. Inoltre, la forma della federazione fa inevitabilmente contare di più i gruppi dirigenti delle singole parti che la base e gli iscritti, che mi paiono destinati ad assumere l’ingiusto ruolo di spettatori, in una fase che, al contrario, necessiterebbe la piena partecipazione di tutte e tutti. Divisioni, spaccature sono all’ordine del giorno, alla vigilia di un congresso che si annuncia ancora come un’altra falsa partenza. Il tempo è scaduto e continuare con riposizionamenti e giochetti tattici è dannoso oltre che senza alcun senso, se non quello di garantirsi un piccolo, quanto illusorio, spazio personale.
Mi piacerebbe approfondire qualche argomento di più squisita natura politica, politica “alta”, intendo, cosa che nelle mie vesti ho spesso tralasciato in luogo pubblico per occuparmi con maggiore impegno dei compiti che mi sono stati assegnati, e forse anche per un certo pudore, o per la consapevolezza dei miei limiti. E mi piacerebbe farlo anche in virtù del momento così delicato per tutta la sinistra, dove ogni scelta può determinarne la scomparsa definitiva per un lunghissimo periodo, o la sua incredibile (e forse persino insperata) rinascita.
Ma, come si sarà inteso, io di politica alta, dalle nostre parti, non ne vedo più. Anzi, faccio fatica a volte persino a scorgere la politica terra terra. Spero sia per mio difetto.
E’ invece impossibile nascondere, a me stesso per primo, l’enorme carico di emotività che ogni rottura porta con sé. Sono riuscito nel tempo a tenere distinto il giudizio politico da quello personale, e non sarà certo adesso che cambierò.
Per questo chiudo queste poche righe come ho cominciato, di nuovo salutando con sincero affetto tutte le compagne e i compagni coi quali ho lavorato fianco a fianco in Direzione nazionale, e quelli che ho incontrato nelle federazioni e nei circoli. A tutte e tutti loro, a partire da quelli di Palermo, con cui ho passato la parte più importante della mia vita politica, rimarrò sempre legato da un affetto che supera le diverse opinioni politiche. E’ tutto questo che soprattutto mi mancherà.
Con la speranza, essendo la politica fatta anche di corsi e ricorsi, di incontrarsi nuovamente.
Fraternamente,
Sergio Boccadutri