Ilva, il risveglio amaro
Nel corso della vita dello stabilimento siderurgico di Taranto se ne sono viste di tutti i colori. Quello che è accaduto negli ultimi cinque mesi è sconcertante. A distanza di 4 mesi, dopo vari tentativi di costringere Riva a fermare gli impianti per metterli a norma, la Procura e il Gip hanno sequestrato le merci e i semi-lavorati destinati ad altri stabilimenti del gruppo, perché frutto di illecito. Questo ha determinato la fermata degli impianti: tubifici, laminatoi, coils e zincatura, con la conseguente messa in libertà di 5.000 operai. I sette arresti sono Emilio Riva e l’altro figlio, vice presidente dell’Ilva, Fabio (Nicola Riva è già agli arresti domiciliari dal 26 luglio u.s.); altri arresti sono scattati per Girolamo Archinà che fu beccato mentre passava, in un’area di servizio, una busta con 10.000 €uro a Lorenzo Liberti, ex consulente della procura. Questi arresti sono frutto di un’altra inchiesta chiamata “Environment Sold Out” (ambiente svenduto). Fino a ora erano stati coinvolti solo i Riva e loro collaboratori più stretti. Con questa seconda inchiesta sono stati coinvolti un po’ tutti, dai politici locali ai sindacalisti di cui ancora non si conoscono tutti i nomi; e poi, tecnici e vari personaggi delle amministrazioni locale e regionale.
Gli operai sono stati colti di sorpresa, non dai provvedimenti dei Gip, quanto dal fatto che non si aspettavano la sospensione dal lavoro da parte dell’Ilva (successivamente l’azienda ha comunicato di voler mettere in ferie coloro che le hanno accumulate), la quale ha manipolato gli operai in varie iniziative di finti scioperi (retribuiti) contro la magistratura. Per molti operai è stato un vero e proprio tradimento da parte di Riva e Ferrante. Finalmente i Riva e i massimi dirigenti aziendali hanno gettato la maschera da “bravi padroni”, che difendono i posti di lavoro e hanno a cuore la sorte degli operai. Questo deve essere chiaro: la responsabilità è solo e soltanto della famiglia Riva che non ha sborsato un centesimo per mettere a norma gli impianti.
Le organizzazioni sindacali, prima l’Usb e successivamente Fim, Fiom e Uilm, hanno indetto lo sciopero di 24 ore e lanciata la proposta di andare tutti a Roma (gli operai di tutto il gruppo), in concomitanza dell’incontro che ci sarà col governo il 29 novembre.
In mattinata, dopo qualche resistenza da parte della direzione gli operai sono riusciti a entrare in fabbrica ed hanno fatto una assemblea infuocata. La rabbia sprizzava da ogni parte. Numerose le interruzioni dei discorsi dei sindacalisti. Poi c’è stato il colpo di teatro: il nuovo direttore, Adolfo Buffo, ha preso la parola per rassicurare gli operai che l’azienda pagherà i salari almeno fino al riesame del provvedimento di sequestro delle merci. Le contestazioni sono state immediate. Un componente del “Comitato cittadini e lavoratori liberi e pensanti” è intervenuto sostenendo che Riva non ha nessun rispetto ne per la città nè per i lavoratori. Certo è stata una giornata piena di tensione, ma nonostante tutto non c’è stata una piena presa di coscienza di quello che sta accadendo. Dopo l’intervento del direttore Buffo, molti operai si sentivano più rassicurati e, ci sembra molto azzardato parlare di occupazione della fabbrica come hanno scritto i quotidiani. Si dovrebbe parlare, più che altro, di presidi che si sono, mano a mano, assottigliati.
La situazione è destinata ad evolvere ulteriormente. Potrebbero scattare altri arresti; potrebbero esserci altri risvolti drammatici perché l’Ilva non vuole chiedere la Cassa Integrazione.
Bisognerà seguire con attenzione l’evolversi della situazione, per ampliare la mobilitazione e riconquistarsi il lavoro in un ambiente che dovrà essere risanato