La banca della Lega, la tela di Bersani, l’astensione dimenticata
Il sentimento prevalente, ascoltando commenti di amici, compagni e parenti, o magari facendo un giro su facebook, è che in fondo conviene espatriare. Berlusconi, nel giro di un anno e mezzo, ha avuto solo scandali, ha portato le prostitute a palazzo Chigi, fatto affari tramite la Protezione civile, massacrato la Rai e, soprattutto, non ha fatto nulla per tamponare la crisi economica eppure…Eppure stasera può ergersi a vincitore, diramare un comunicato-beffa in cui scrivere «l’amore vince sull’odio», prepararsi a una nuova fase politica con il timone saldamente in mano. Anche se ha vinto solo per difetto dell’avversario.
L’astensione colpisce anche la Lega
I dati reali, infatti, parlano di una flessione del Pdl solo parzialmente compensata dalla Lega – ovviamente facendo un paragone con le due ultime elezioni e lasciando sullo sfondo l’ormai lontanissima campagna elettorale del 2005 (basti pensare che allora c’era una Rifondazione unita e piuttosto forte). L’astensione colpisce a destra, anche la grande vincitrice politica della tornata elettorale, la Lega nord. Che lascia in Piemonte più di 60 mila voti e circa 150 mila nelle varie regioni del Nord (solo in Emilia avanza di 10 mila voti). Insomma, in giro non ci sono più elettori leghisti, ma meno; e non ci sono più elettori berlusconiani ma meno, molti meno. E infatti il Pdl ottiene una media del 26% di pochissimi decimali superiore a quella del Pd e la Lega, con il suo 12,9% avanza rispetto alle europee “solo” dello 0,9%. Poca cosa, appunto. Ma che diventa molto se paragonata alle perdite degli altri. L’Istituto di sondaggi Swg, infatti, calcola che se il centrodestra ha mantenuto, rispetto all’astensione, solo il 64% dei voti delle europee la percentuale per il centrosinistra scende al 60% anche se questo si rivela più capace di riprendersi voti astenutisi l’anno scorso. In realtà, il povero Bersani ha ragione quando dice che il Pd ha invertito la tendenza perché rispetto al 26% nazionale ottenuto l’anno scorso il 26% ottenuto nelle tredici regioni in cui si è votato, ad esempio con l’esclusione di regioni sfavorevoli come la Sicilia, è un piccolo successo. Ma non sufficiente a invertire davvero la tendenza. Tutti perdono voti ma le varie sinistre ne perdono di più della Lega che con la sua “tenuta” – «siamo stati fortunati» ha detto Bossi l’altra sera a caldo – compensa l’arretramento del Pdl. Che comunque c’è stato e darà vita a una “resa dei conti” interna. La prima vittima è il ministro Fitto, dimessosi dopo la sconfitta pugliese data la sua caparbietà a insistere su un candidato debole come Palese (ma le dimissioni del centrodestra rientrano nel giro di qualche ora). C’è poi la vittima eccellente Brunetta, sconfitto di brutto a Venezia con “goduria” di tanti “fannulloni” ma anche del suo collega Tremonti che si bea della rinnovata centralità nordica del centrodestra e della sua collocazione di cerniera tra Lega e Pdl. La centralità del Carroccio, tra l’altro, sbarca anche nel mondo economico-finanziario se addirittura un manager come Profumo, di Unicredit, è costretto a diramare un comunicato per precisare che il voto non avrà ricadute sulla propria banca. Il riferimento è al peso che la Lega avrà d’ora in poi proprio sulle due principali azioniste di Unicredit, la fondazione Crt, che è piemontese, e Carimonte, che dipende dal Veneto, le due regioni appena conquistate dal Carroccio.
Lo statista Berlusconi?
Berlusconi per ora ha l’interesse a non strafare e a non scontentare nessuno anche se qualche sassolino dalle scarpe con Gianfranco Fini se lo toglierà. Per il momento sembra prevalere l’invito a fare le riforme provando a recuperare il profilo da statista che nessuno riesce a ricordare di avergli mai visto addosso. Una mano gliel’ha data il presidente della Repubblica con il suo invito a «riforme condivise» che sembra una polpetta avvelenata per un Pd in cerca di un suo equilibrio. Bersani ha detto oggi di essere «pronto» a sedersi a un tavolo che sia comprensibile agli italiani e che si occupi dei loro problemi. E questa è una posizione che troverà diversi sostenitori nel Pd, l’ala più moderata e istituzionale che secondo alcuni commentatori potrebbe anche pensare a una scissione. Ma non appena si sarà seduto al tavolo di Berlusconi avrà chiuso i ponti con Di Pietro e con parte della sinistra. Quindi ha bisogno di stare molto attento. Anche perché all’interno del Pd è partito il tiro al piccione. Franceschini finora non ha parlato ma parlerà al coordinamento politico che si tiene nella serata di martedì. Come al solito ha attaccato Parisi ma anche Ignazio Marini e le agenzie hanno fatto a gara a battere il post lanciato via Facebook dalla figlia di Veltroni: «Voglio vedere se c’è qualcuno che ora si dimette…». Insomma, sembra che il gioco preferito del Partito democratico, spararsi l’un l’altro, sia già ripreso.
La grande alleanza di Bersani
Eppure Bersani sta cercando di realizzare l’unica strategia che quel partito ha a disposizione e che il segretario Pd ha cercato di riassumere con il “modello Liguria”: un’alleanza che comprenda, sulla destra, l’Udc e a sinistra anche Rifondazione.
Cosa farà Casini è tutto da vedere. La sua linea “centrista”, al di là di un po’ di propaganda, non ha pagato: il partito non è cresciuto e se entra in qualche giunta è solo in posizione subordinata vuoi del Pdl – Campania – o del Pd – Marche o la stessa Liguria. Per come si sono messe le cose la sua collocazione più “redditizia” potrebbe essere al fianco di Bersani ma non è escluso che dal centrodestra, per esempio da Fini, possano arrivare offerte di contrappeso politico allo strapotere nordista.
Chi si prepara a questa nuova alleanza con una certa determinazione è l’Idv di Di Pietro ma anche lo stesso Vendola, forte di un successo personale molto netto. Entrambi hanno voluto insistere sulla «sconfitta» del centrosinistra per rimarcarne le necessità di rinnovamento e l’esigenza di ridefinirne gli equilibri interni. Vendola è un possibile candidato alla leadership – «non abbiamo preclusioni ha ammesso Bersani – ma è difficile che questo possa essere lo sbocco. Sinistra e Libertà, del resto, non ha beneficiato più di tanto dell’effetto Vendola che non travalica la Puglia. Qui Sel ottiene 11 consiglieri regionali, più di quanti ne ottenga nel resto d’Italia.
Dal canto suo, chi non scioglie un’ambiguità di fondo che potrebbe falcidiarla è la Federazione della Sinistra. Con il 2,7% nazionale – che con il peso di regioni sfavorevoli come la Sicilia, il Molise, l’Abruzzo, il Friuli, potrebbe ridursi al 2% – elegge 12 consiglieri regionali. Non elegge in Lombardia, in Campania, in Puglia e in Basilicata ma soprattutto vede premiata solo la linea dell’alleanza con il Pd se si fa eccezione delle Marche dove la corsa solitaria è stata condotta insieme a Sel (e che quindi costituisce, appunto, un’eccezione). La spinta a stare dentro l’alleanza si farà sentire ed è abbastanza prevedibile che la FdS farà parte dell’alleanza che Bersani proverà a disegnare a meno di veti opposti da partiti come l’Udc. Ed è ance probabile che lo scenario sia tutto sommato accettato all’interno del Prc che di questa Federazione è l’unica forza viva. Allo stesso tempo, la spinta a ricercare una nuova unità con SeL sembra già avviata e sarà al centro del dibattito nei prossimi mesi (il manifesto si è già preparato a essere il luogo di questo confronto).
Quanto tutto questo proverà a capire il significato di questa astensione ma anche di segnali come quelli dati dal successo dei “grillini” – che superano il 20% in Val di Susa e sfondano davvero nella “rossa” Emilia – non è dato sapere anche se non è difficile prevedere che l’astensione sarà dimenticata presto. Eppure è lì dentro che oggi affoga il senso dominante di questo paese, una disillusione diffusa, una perdita di prospettive e una speranza dimenticata. Chi riuscirà, anche solo parzialmente, a offrire una risposta a questo sentimento potrà dire di aver avviato un processo di ricostruzione politica.