La Cgil sulla Siria: contro il regime, no alla guerra
Il 15 marzo del 2011, nella città della Siria meridionale di Dar’a, un gruppo di ragazzi, colpevole di aver scritto sui muri della scuola “il popolo vuole la caduta del regime” ed “è venuto il tuo turno, dottore” (riferendosi al presidente Bashar al Assad), viene prelevato e trattenuto dai servizi segreti. Tre giorni dopo, Il 18 marzo, la protesta si scatena a macchia d’olio, le piazze si riempiono di gente stanca della prepotenza del regime, che chiede maggiore partecipazione democratica e giustizia sociale. Accanto ad aperture di facciata, il governo Assad si mostra completamente chiuso ad ogni confronto con una protesta, per mesi, completamente pacifica, e scatena una durissima repressione.
Ad oggi più di 8.000 persone sono morte, 30.000 siriani si sono rifugiati nei vicini paesi (Libano, Giordania e Turchia) e circa 200.000 persone risultano essere sfollati interni, secondo i dati delle Nazioni Unite. Il paese è militarizzato, la protesta ha preso anche vie violente, settori dell’esercito hanno disertato, i cecchini di regime sparano sulla folla mentre si è costitutito un Esercito di Liberazione Siriano (ELS), sostenuto da una parte dell’opposizione della diaspora. E’ guerra civile.
Né le denunce dell’Alto Commissario ONU per i Diritti Umani sulle ripetute violazioni dei diritti umani e la mancanza di protezione e di sicurezza della popolazione siriana, che rimane alla mercé della violenza del regime, né l’embargo commerciale, il congelamento dei beni ed il divieto di espatrio alle persone vicine alla famiglia Assad sono state in grado di indurre il regime a cessare la repressione e a consentire l’accesso degli aiuti umanitari alla popolazione sotto assedio e sfollata. Il tardivo intervento di una missione di osservatori della Lega Araba e, ora, dell’inviato speciale dell’ONU, Kofi Annan, non sembra in grado di produrre un cessate il fuoco e l’avvio di una confronto tra il regime e le opposizioni.
E’ chiaro che ogni possibile soluzione interna è condizionata dagli interessi delle potenze regionali e dei paesi confinanti per Il ruolo strategico della Siria nello scacchiere medio orientale. Lo scenario di un nuovo intervento militare esterno, con il rischio sempre più vicino di una escalation di guerra regionale, con il coinvolgimento di Iran e di Israele, nel mezzo delle transizioni politiche che vivono Tunisia, Libia, Egitto, è lo spettro rievocato da più parti, ed il costo, iniquo e pesantissimo, che si vorrebbe far pagare alla popolazione. Le petromonarchie del Golfo (Arabia Saudita e Quatar, in primis), la Turchia, gli Stati Uniti vorrebbero approfittare della protesta popolare per liberarsi di un regime inviso non tanto per la repressione interna, quanto per la sua alleanza con Mosca e Teheran, che, a loro volta, insieme alla Cina, sostengono incondizionatamente Assad.
E non sarà certo il tentativo ultimo del regime di Assad Al Bashar di dar corso alle “riforme “con il referendum dello scorso febbraio, boicottato dalle opposizioni e realizzato in un clima di guerra civile, o le elezioni annunciate per il prossimo mese di maggio, con il paese dilaniato dalla violenza e dalla repressione, a ricostruire la convivenza.
L’unica soluzione per la Siria e per la regione è la via del dialogo tra le diverse realtà religiose, etniche e politiche, nel riconoscimento e nel rispetto delle diverse identità, nella riconciliazione, nella giustizia, nell’affermazione del principio universale del diritto di autodeterminazione e di libertà di ogni popolo. Troppo tempo è già andato perduto, speriamo
non irrimediabilmente.
La comunità internazionale, l’Italia e l’Europa – ancora drammaticamente divisa e inadeguata nel giocare un ruolo politico-diplomatico in un’area così importante e vicina – devono impegnarsi per il raggiungimento di questo obiettivo, tanto ambizioso quanto necessario, richiedendo con fermezza, in ogni sede che la sicurezza, la protezione e l’assistenza umanitaria della popolazione siriana siano garantite.
Il regime siriano, responsabile di crimini contro l’umanità, deve immediatamente adottare il cessate il fuoco, fermare la repressione, liberare i prigionieri politici. Le stesse forze di opposizione ed i gruppi armati all’interno del paese dovrebbero accettare una tregua e chiedere l’avvio di un processo di transizione democratica.
La priorità, la responsabilità e la coscienza di ogni persona deve essere rivolta a garantire l’accesso degli aiuti umanitari alla popolazione civile, al di là di qualsiasi calcolo politico.
La politica deve tornare al centro, sulla base dei principi del diritto internazionale e dei diritti umani universali, per la pace, la sicurezza ed il benessere per tutti.
L’appuntamento a Milano è previsto nel pomeriggio in Corso Sempione, davanti alla sede Rai. A promuoverlo una coalizione di forze e soggetti che ha dato vita all’appello “Con il popolo siriano fino alla vittoria di democrazia e libertà”