La nostra vita, nei non luoghi
(Cannes) La Nostra Vita porta un titolo enigmatico.
In che cosa rassomiglia a tutti quanti noi, infatti, l’esistenza di un muratore che per superare il proprio dolore per la morte improvvisa della giovane moglie, decide di imbarcarsi in un lavoro più grande di lui, tra ricatti e menzogne, sconvolgendo la propria esistenza e quella dei tre figli piccoli?
Nulla. Oppure tanto. Chissà?
Ognuno può e deve fornire la propria risposta.
Il problema è semmai che la vita vissuta da questo personaggio interpretato con così grande talento da Elio Germano al punto da ricevere in Premio la Palma d’Oro per il migliore attore del Festival di Cannes, sembra assomigliare un po’ di più alla nostra.
Le somiglianze sono tante e ci riguardano tutti comunque: a dispetto della nostra età, condizione sociale, sesso, convinzione politica, educazione e professione.
Non è una questione di identità, bensì un problema legato alla tematica esistenziale di una trama ispirata alla cronaca e che, invece, grazie al talento del regista, la trascende, diventando qualcosa di più complesso e inquietante.
La Vita vissuta da Elio Germano e dagli altri protagonisti del film è un po’ anche la nostra: quella dove il denaro è diventata l’unica prospettiva sociale, nonché l’unico orizzonte attraverso il quale misurare la realtà che ci circonda.
Ambientato nella periferia di Roma, La Nostra Vita potrebbe raccontare qualsiasi non luogo dove il centro commerciale diventa il fulcro dell’esistenza di diverse famiglie, andandosi a sostituire idealmente al ruolo di baricentro sociale e politico che una volta era ricoperto da chiesi, comuni, sedi di partito.
E’ intorno al Centro Commerciale, nuova cattedrale del dio denaro e del consumismo, che ruota, infatti, l”intera azione del film.
E’ dove possiamo comprare quello che vogliamo / possiamo che possiamo anche provare a sopire il nostro dolore e a confessare le nostre pene.
Come nell’ultimo film di Todd Solondz, Perdona e dimentica intitolato in originale Life during Wartime, l’azione si svolge tutta tra i condomini della Florida, ristoranti e centri commerciali.
La Nostra Vita racconta, quindi, come i non luoghi siano diventati l’orizzonte urbano, ma anche emotivo di una nuova Italia che vorrebbe proporsi efficiente e pulita, ma che, invece, proprio come la palazzina che costruisce Elio Germano nel film, nasconde qualcosa di terribile e spaventoso.
Non è un caso, dunque, che il suo personaggio canti una canzone di Vasco Rossi per tirare fuori quel dolore che una società laica, ma senza radici non riesce a superare, né – tantomeno – a somatizzare.
Mancano le parole, per l’incapacità di esprimere sentimenti, ma soprattutto di essere preparati a qualcosa che vada oltre un eterno presente fatto di quotidianità.
Nessuna cultura, nessuna lettura, nessuna figura carismatica: solo una lotta per sopravvivere chiedendo aiuto alla propria famiglia nel momento di massimo bisogno.
L’ultimo baluardo dell’Italia che conosciamo è questo: la famiglia.
E’ davvero un bene? Oppure è, piuttosto, il segnale evidente di una società che non ha saputo emanciparsi e progredire verso la liberazione?
A ricordarci come eravamo o come saremmo dovuti diventare sono gli immigrati: il nostro specchio che il regista utilizza come la nostra cattiva coscienza.
Parlano di noi, delle nostre vite e ci ricordano, non senza una certa veemenza, il nostro avere abbandonato i nostri sogni e, soprattutto, avere dimenticato che la nostra umanità non è direttamente proporzionale al nostro conto in banca, bensì a valori che forse, oggi, nella quiete temperata dei lunghi corridoi dei centri commerciali non riusciamo più a ricordare.
In questo senso, La Nostra Vita è un film che ci riguarda tutti: nel suo raccontare una storia di padri e figli, in un mondo dove la calma apparente è scossa da questioni pratiche e di sopravvivenza in un contesto dove nulla è certo e nel quale l’assenza di istituzioni civili, sociali e religiose lascia spazio ad un vuoto colmato solo attraverso un potere d’acquisto tutt’altro che assoluto e, soprattutto, conquistato ad un prezzo molto alto: quello della propria moralità.
Qualsiasi cosa si voglia indicare con questo termine ogni giorno sempre più desueto in una società come la nostra, dove la corruzione sembra avere avuto la meglio su tutto il resto.