La Tv dell’Ayatollah
Chissà se in Iran l’Ayatollah Khamenei o il presidente Ahmadinejad utilizzano gli stessi metodi di Silvio Berlusconi. Che poi sono i metodi tradizionali del capo azienda piuttosto autoritario e prepotente. Le telefonate, intercettate casualmente dalla Guardia di Finanza in relazione a un’indagine disposta dalla magistratura di Trani sui tassi di interesse usurai delle carte di credito American Express, sono nette e inequivocabili. Si ascolta un presidente del Consiglio che chiede insistentemente, anzi ordina prepotentemente, al membro dell’Autorità garante delle Comunicazione (Agcom), Giancarlo Innocenzi di sospendere la trasmissione di Santoro, Annozero. Che arriva addirittura a prendersela con “Parla con me” di Serena Dandini per avere invitato in studio nientedimeno che Eugenio Scalfari e Ezio Mauro. Insomma, un vero e proprio Re che chiede la testa degli oppositori, emanda ordini ai propri scherani, si indigna se il proprio nome viene associato a qualsiasi critica. E ovviamente le risposte sono supine, non accennano alla minima obiezione. Anzi, Minzolini si agita per costruire la difesa d’ufficio del Capo e gli preconfeziona un’arringa su misura contro “le balle” di Spatuzza. Chissà quante altre ne sta preparando in questi giorni, dopo la recente “assoluzione di Mills” strillata nei titoli di testa. Innocenzi non fa che cercare di eseguire alla lettera gli ordini e solo il Direttore generale della Rai, Masi, sembra obiettare: “queste cose non succedono nemmeno nello Zimbabwe” (povero Zimbabwe). Uno scatto di dignità che probabilmente gli costerà caro.
Sono parole – pubblicate oggi da Il Fatto quotidiano – che contribuiscono a rafforzare l’immagine che Berlusconi si è costruito in questi anni – arrogante, dispotica e tutto sommato penosa – a dispetto dei ridicoli riferimenti al “partito dell’amore”. Sono parole che allo stesso tempo non stupiscono. Chi poteva avere dei dubbi sull’attitudine servile del direttore del Tg1, miracolato alla guida del più importante telegiornale italiano dopo una vita di giornalismo “da marciapiede”? C’era forse qualcuno che immaginva Minzolini intento a costruire una nuova scuola di giornalismo di inchiesta, di critica mordace al potere e di servizi al vetriolo sulle inefficienze della classe politica?
Chi si stupisce se Giancarlo Innocenzi, ex dirigente Mediaset, poi Sottosegretario per le Comunicazioni e infine membro dell’Autorità garante delle Comunicazioni, non riesce ad articolare niente di più che un “signorsì”. Chi l’ha portato al ruolo che occupa, chi l’ha fatto ingrassare, chi gli ha dato da mangiare? E’ il sistema berlusconiano, lo stesso che sempre più spesso si riscontra in altri ambienti, altri partiti, altri gruppi di potere. E in cui Berlusconi, però, primeggia. Perché è quello che ha più soldi, più potere, più interessi da difendere.Se non fosse indecoroso lo spettacolo offerto dalle nuove intercettazioni fa anche un po’ pena. Si, c’è un Berlusconi che passa le serate al telefono, gonfio di bile mentre osserva Annozero intento a strigliare il sottoposto di turno e a gridare “fatelo smettere! fatelo smettere”. Un capo di governo che deve passare alla storia, leader del “popolo” della libertà, padrone di un consenso assoluto che si dispera per il divano rosso di Serena Dandini o per le furbate di Michele Santoro.
E allora è vero che tutto sommato dietro la facciata c’è solo fuffa. La vicenda di oggi, i cui sviluppi sono da chiarire perché ravvisano anche l’iscrizione nel registro degli indagati di Berlusconi stesso e dei fidati Minzolini e Innocenzi – non a caso Di Pietro chiede le immediate dimissioni degli ultimi due – conclude un ciclo di sfortune e infortuni che ormai costellano l’intera attività del governo. Le firme di Roma lasciate a guardia del panino di Milioni, il ministro La Russa che si fa riconoscere da tutta la stampa internazionale per il piglio da picchiatore, e ora le intercettazioni di Berlusconi che si fa scoprire anche lui con le mani nel sacco. E’ un fortino assediato, quello in cui è rifugiato il premier, da cui non esce nemmeno fisicamente, che descrive una debolezza organica. Un governo che non ha risolto nemmeno mezzo dei problemi che diceva di saper risolvere. Che ancora deve andare avanti con il ricordo della spazzatura di Napoli o con l’intervento all’Aquila, peraltro già messo ampiamente in discussione. E che assiste alla crisi senza sapere che pesci prendere se non mettere in cassaforte i forzieri degli amici evasori.
A un governo in queste condizioni occorrerebbe dare una spallata. Ma per riuscirci, e non cadere nella trappola delle contrapposizioni urlate, servirebbe una politica sociale ed economica alternative, la capacità di ricostruire una fiducia popolare e tra i lavoratori, una idea di società interessante per chi oggi pensa che non ha più nulla da aspettarsi. Tutto questo non riescono a offrirlo Bersani, Di Pietro o i pezzi sparsi di sinistra che domani, sabato 13 marzo, sfileranno sul palco in piazza del Popolo a Roma. Tutt’al più riusciranno a dire quanto è brutto e cattivo Berlusconi. Ma questo lo vedono ormai tutti. Basta leggere il giornale giusto.