Lacrime di coccodrillo
Mario Monti ha presentato le sue carte e ha buttato sul tavolo una manovra economica all’altezza delle aspettative. Quelle del rigore e dell’attacco ai più deboli. Come avevamo già capito la retorica dell’equità si è tradotta in una gigantesca truffa ai danni di lavoratori, lavoratrici e pensionati. Un indebito prelievo nelle tasche di chi ha già pagato, di chi ha poco da dare e di chi è la vera vittima designata di tutta l’operazione politica che porta alla nascita del governo Monti. Sì, perché la nascita del governo “tecnico” presenta la manovra più politica che si ricordi. L’attacco verso i lavoratori è spietato e chirurgico e prescinde dall’entità dell’intervento finanziario. Se davvero l’Italia è a rischio “default”, chi può pensare o credere che bastino 20 miliardi di misure aggiuntive per rimediare un debito pubblico che è di 1900 miliardi? E perché accanirsi sulle pensioni che, essendo il bilancio dell’Inps in pareggio, non pesano sui saldi complessivi?
Il punto è che si è voluto dare un preciso segnale ai “mercati”: questo paese punta a spremere tutto quello che è spremibile dai soggetti più deboli e non toccherà in nessun modo le rendite, i profitti, gli interessi che quei mercati presidiano e difendono. Non si spiega altrimenti il super-scalone Fornero, quell’aumento secco di cinque anni contributivi per ottenere la pensione di anzianità – oggi, con la quota 97 che scatta nel 2012, basterebbero 37 anni di contributi e 60 anni di età per ritirarsi anticipatamente dal lavoro mentre dal prossimo anno serviranno 42 anni agli uomini e 41 alle donne. Le lacrime della ministra, in genere abituata a cimentarsi con i numeri e non con le persone in carne e ossa, suonano come una beffa che su aggiunge al danno e ricordano da vicino le lacrime di coccodrillo.
Nella stessa direzione antipopolare si muove l’operazione super-recessiva di aumento dell’Iva e di blocco degli adeguamenti inflazionistici per le pensioni, con una riduzione secca dei consumi che sarà tangibile già dal prossimo Natale. Alla fine, dietro la pressione di sindacati e Pd, il blocco non riguarderà le pensioni fino a 960 euro ma comunque il segnale viene dato e, anche in questo caso, la spietatezza si palesa in quel misero 1,5 per cento a cui vengono sottoposti nuovamente i capitali scudati sotto il governo Berlusconi al 5 per cento. Si tratta dei capitali fatti rientrare dall’estero e che sarebbero dovuti essere tassati per lo meno al 12,5 o 20 per cento – almeno come le rendite finanziarie se non all’aliquota fiscale di riferimento – e invece vengono ancora “graziati”. Mentre le pensioni pagheranno.
Ancora, la stessa rotta è seguita dall’aumento indiscriminato dell’Ici-Imu e dall’assenza di una sia pur timida patrimoniale – sembra che in Italia non si possa fare, dice Monti, perché non c’è contezza dei patrimoni…ma va? – sostituita da un po’ di tassazione alle barche e alle auto di lusso. Anche la tracciabilità dei pagamenti con riduzione della quota contante a 1000 euro è ridicola. Di “lotta all’evasione fiscale” non si parla nemmeno se non con misure lievi e impercettbili.
E invece i messaggi sono espliciti per le imprese tanto che Corrado Passera, in conferenza stampa, chiama la ministra “Elsa” Fornero, “Emma”. Un lapsus rivelatore del partner con cui è stata scritta la manovra. E così il governo defiscalizza l’Irap, offre incentivi alla ricapitalizzazione delle imprese, liberalizza interi settori dei servizi, quindi nuovo attacco all’acqua pubblica ma anche ai trasporti locali – tanto che viene istituita un’Authority – rilancia le grandi opere come la Tav.
Il governo dà un messaggio esplicito del suo progetto e della sua natura: il salvataggio dell’euro significa un’austerità che tutti gli economisti minimamente onesti giudicano un errore clamoroso, un passaggio che peggiorerà la situazione. E la natura del governo, come abbiamo già avuto modo di dire, ha il volto delle banche e della finanza che hanno festeggiato il suo insediamento.
Difficile vedere le differenze con i governi Berlusconi se non in peggio. Perché, in un modo o nell’altro, il precedente governo si è trattenuto nell’affondare i colpi sui ceti più deboli – il blocco della perequazione automatica delle pensioni è micidiale – ma soprattutto perché questo governo si è presentato come “salvatore della Patria” e ha ricevuto benedizioni a destra e sinistra. La stessa Cgil, che ora schiuma rabbia, ha disdetto la manifestazione nazionale prevista per il 3 dicembre, alla vigilia della manovra, che, se fosse stata mantenuta, avrebbe garantito ben altra dialettica. E’ l’effetto dell’errore “storico” del Pd, quello di non aver voluto scegliere la strada delle elezioni e dell’operazione Napolitano, il caro e amato presidente della Repubblica le cui manovre vengono fatte pagare ai ceti meno abbienti. Uno scandalo evidente che grida indignazione e mobilitazione.
A sinistra, nel mondo dell’opposizione sociale e politica al governo Monti, è di nuovo gettonata la parola “unità” e la costruzione di un percorso comune, sociale e politico. Ne ha parlato il congresso di Rifondazione comunista, se ne discute nel sindacato, in altri settori, nei movimenti. Sarebbe il caso che si realizzasse un incontro immediato delle forze che non vogliono stare in silenzio e che non vogliono lasciare intentato uno scatto e una possibilità di reazione. Il 16 dicembre, ad esempio, scelto dalla Fiom per il suo sciopero contro la Fiat, potrebbe offrire un’ottima occasione per battere un colpo. Se non chiama lo sciopero generale una manovra come questa, cos’altro giustifica la mobilitazione totale?
Se non altro per mettere agli atti che in questo paese non viene dalla Lega l’unica opposizione.