L’Audit in Francia, un successo dal basso
CADTM) [1] A partire dai primi anni ’80, i paesi del Terzo Mondo si sono confrontati con la crisi del debito e le sue conseguenze. Il Fondo Monetario Internazionale e i suoi creditori hanno imposto i cosiddetti piani di aggiustamento strutturale che non hanno fatto altro che sottomettere queste economie, provocare devastazioni sociali per le popolazioni ed aprire la strada ai profitti delle società transnazionali, le quali hanno potuto, senza intralci, saccheggiare parte del mercato delle imprese locali.
Questa logica è perdurata fino alla metà del decennio 2000. L’aumento dei prezzi delle materie prime a partire dal 2004-2005 ha permesso ai paesi esportatori di immagazzinare riserve di cambio che spesso sono state utilizzate per sbarazzarsi dell’ingombrante tutela dell’FMI: Brasile, Argentina, Uruguay, Filippine, Indonesia, tutti hanno rimborsato anticipatamente i loro debiti.
Inoltre nessun paese si è impegnato fino in fondo nella proposizione di un modello economico alternativo al capitalismo attuale, il quale dirige l’umanità verso un impasse, tanto sul piano sociale che ambientale, anche se, Argentina ed Ecuador hanno dato filo da torcere ai loro creditori.
Di fatti, dal dicembre 2001 al marzo 2005, l’Argentina ha sospeso il pagamento di 90 miliardi di dollari e ha tenuto testa ai creditori privati, i quali hanno accettato la perdita del 65% del valore dei crediti da loro detenuti. Nel 2008, a seguito di un audit costituito dal presidente Rafael Correa, l’Ecuador ha rifiutato di restituire il 70% del suo debito privato giudicato come illegittimo, che in seguito è stato riacquistato al 35% del suo valore: il governo in questo modo ha potuto risparmiare 7 miliardi di dollari poi rinvestiti in spesa sociale.
Dal 2007-2008 però, la crisi colpisce il Nord e in maniera particolare l’Europa. Le popolazioni europee dovrebbero trarre insegnamento dalle esperienze di sofferenza che il Sud ha tollerato per tre lunghi decenni. Al Nord come al Sud infatti, il discorso dominante colpevolizza i popoli, i quali, si sostiene, vivrebbero al di sopra delle loro possibilità. Partendo da questa constatazione, un’unica, terribile, soluzione viene proposta: austerità generalizzata, innumerevoli sacrifici, con la conseguente deteriorazione delle condizioni di vita, al solo scopo di garantire la restituzione del debito ai creditori.
Eppure, nella vita di tutti i giorni, i nostri pagamenti si fanno su presentazione di una fattura che attesta i prodotti acquistati o i servizi resi in cambio. Ma, nel caso del debito pubblico, dove è questa fattura? Se il debito esiste, esso è causato da tre fattori: l’aumento dei tassi di interesse all’inizio degli anni ’80, la contro riforma fiscale, che ha permesso di ridurre in maniera sostanziale la pressione fiscale sugli individui più ricchi e sui profitti delle società, e la crisi attuale, provocata dalle banche e dalle altre istituzioni finanziarie. I popoli dunque non hanno responsabilità in tutto ciò, né vivono al di sopra dei loro mezzi, dal momento che i diritti umani fondamentali spesso non vengono totalmente garantiti e la fattura che viene loro presentata non corrisponde a dei beni o dei servizi dei quali hanno beneficiato. Sono piuttosto i creditori che vivono al di sopra delle loro possibilità, non i popoli. Dovremmo forse pagare i loro debiti?
L’unico modo per avere una risposta è quello di interrogare nel dettaglio la storia di questo debito.
E lo strumento adeguato a questo scopo è l’audit cittadino; è a noi infatti che tocca comprendere l’origine di questo debito e indicare le diverse responsabilità. L’audit permetterà di determinare quella parte di debito pubblico illegittimo che i cittadini devono rifiutare di pagare e che converrebbe annullare.
A titolo di esempio, durante l’estate del 2011, in Francia, associazioni, sindacati e partiti politici hanno creato il Collettivo per l’audit cittadino del debito pubblico (CAC, vedere www.audit-citoyen.org). Un testo di riferimento è stato inoltre redatto e proposto per le firme. Questo appello per l’audit é stato firmato da più di 58.000 persone nei sei mesi successivi.
Lanciata a livello nazionale, la rivendicazione di quest’audit è stata velocemente portata avanti da numerosi cittadini provenienti da tutto territorio. Decine di comitati locali si sono spontaneamente messi all’opera senza che agisse nessuna “indicazione dall’alto”. Questo anche perché la volontà di lanciare un audit ha incontrato le preoccupazioni dei cittadini francesi e il loro bisogno di agire proprio nel momento in cui l’Unione Europea subiva delle raffiche di austerità giustificate in nome dell’indebitamento. Se si decide di pagare, si vuole sapere per cosa. Noi vogliamo poter decidere quello che accettiamo di pagare e quello che invece è inaccettabile pagare. E l’audit è un passaggio obbligato per questo fine.
Nel dicembre 2011, la doppia trasmissione radiofonica su France Inter “Là-bas si j’y suis” (in italiano “Laggiù se ci sono”) di Daniel Mermet, intitolata “La dette ou la vie” (“Il debito o la vita”), ha incontrato un grande successo. Nelle settimane successive poi, le richieste di informazioni e contatti sono state numerose. L’eco per la rivendicazione di un audit e l’illegittimità del debito si conferma insomma in maniera evidente.
Il 14 gennaio 2012, il CAC ha organizzato la sua prima giornata di attività a Parigi, avente come destinatari i comitati locali ansiosi di informazioni e piste d’azione da proporre. Erano attese una cinquantina di persone; ne sono arrivate più di 120. Tutto ciò ha confermato che qualcosa di promettente stava accadendo. Le sollecitazioni da parte di coloro che intervenivano, per il lancio, alla volta di tal comitato locale o di tale expertise da apportare, sono aumentate in maniera esponenziale. Il giorno seguente, all’iniziativa di Attac e di Mediapart a l’Espace Reuilly a Parigi, più di 1100 persone si sono riunite per discutere sul tema “Il loro debito, la nostra democrazia”. La conferenza è stata poi in realtà improvvisata sul marciapiede davanti a l’Espace Reuilly, dal momento che la sala poteva contenere soltanto 700 posti..
Una nuova tappa è stata scritta.
Solo ad inizio marzo 2012, si sono creati più di 110 collettivi locali. Per la maggiore essi sono composti da sottogruppi di lavoro, i quali permettono di approfondire l’argomento a partire da un’analisi globale o di intraprendere i lavori per un audit locale dei debiti detenuti dalle collettività territoriali, dagli ospedali e dalle associazioni per l’alloggio sociale.
Altri gruppi invece preparano azioni di strada o analizzano l’impatto delle politiche di austerità su scala locale. Dunque le energie si sono mobilizzate, la struttura è messa in pratica, l’offensiva è cominciata. Quest’ultima poi, essenziale per riappropriarsi democraticamente del potere decisionale confiscato dai creditori e dai mercati finanziari. E per rompere finalmente il tabù sulla questione del pagamento del debito pubblico.
Traduttore: Chiara Filoni
[1] Damien Millet è portavoce del CADTM Francia e coautore con Eric Toussaint del libro Debitocrazia. Come e perché non pagare il debito pubblico, Edizioni Alegre , 2011