Le inquietanti decisioni di Chavez
Viva sensazione per la decisione di Chávez di consegnare Joaquín Pérez Becerra, un giornalista svedese di origine colombiana, al presidente Santos che lo accusava di essere un terrorista: molti amici della “rivoluzione bolivariana” in Venezuela e nel mondo hanno espresso stupore e preoccupazione in una Lettera aperta a Chávez. La Colombia infatti è un paese in cui spadroneggiano ancora i paramilitari responsabili di migliaia di assassinii, e Juan Manuel Santos era il ministro della Difesa di Uribe. In questa veste Santos ha gestito quella politica criminale che è venuta alla luce per il coraggio di alcune madri e mogli, e che è stata ribattezzata dei “falsos positivos”: l’uccisione di giovani rastrellati a caso dall’esercito, e rivestiti con uniformi da guerriglieri prima di ucciderli. Serviva per incassare le altissime taglie poste sulla testa dei veri combattenti delle FARC e dell’ELN (cosa già ignobile) e per vantare successi inesistenti. Ma non è neppure questione del ruolo personale dell’attuale presidente: a più riprese una parte dei movimenti guerriglieri che esistono da quasi mezzo secolo, non per scelta, ma per reazione e risposta alla barbarie della vita politica colombiana, avevano accettato di cedere le armi e partecipare alle elezioni, e sono stati sterminati in pochi mesi. Lo stesso Joaquín Pérez Becerra era un sopravvissuto alle stragi che decimarono i quadri della Unión Patriótica UP: 4.000 morti, tra cui la stessa moglie di Pérez Becerra, che per questo lasciò l’incarico di consigliere municipale di Corinto, nella Valle del Cauca, rifugiandosi in Svezia. Altrettanto era accaduto al movimento M19 che aveva costituito la Alianza democrática.
Questa decisione di Chávez, che viola principi morali fondamentali e accetta la menzogna di Santos che attribuisce all’Interpol la responsabilità dell’arresto del giornalista (se fosse stato vero avrebbero dovuto arrestarlo in Svezia o nella efficientissima Germania da cui era partito), non può essere giustificata, ma ha purtroppo dei precedenti. Nel 2008 c’era stata una rottura dei rapporti diplomatici tra i due paesi e il rallentamento di quelli commerciali, preziosi in misura diversa per entrambi i paesi (la Colombia esporta con profitto molti alimentari in un Venezuela afflitto spesso da una penuria di generi indispensabili che suscita malcontento nella stessa base chavista). La causa della crisi era stato l’assassinio in territorio ecuadoriano di Raúl Reyes, “ministro degli Esteri” delle FARC, che doveva incontrarsi con emissari francesi per la liberazione della Betancourt. Chávez era stato al fianco del presidente ecuadoriano Correa ed anzi aveva minacciato di mobilitare l’esercito. Ma le conseguenze della rottura erano più gravi per il Venezuela che per la Colombia, e poco tempo dopo erano cominciati cauti sondaggi per un riavvicinamento. Mediato dall’ex presidente argentino Néstor Kirchner in qualità di segretario dell’UNASUR, e nell’ombra da Lula, nell’estate 2008 c’era stato non solo un dialogo diretto, ma un primo dato inquietante: Chávez, accusato dal presidente uscente Uribe di ospitare guerriglieri, rispondeva dichiarandosi a favore della rinuncia delle FARC alla lotta armata. Si veda la ricostruzione fatta già allora sul mio sito in Colombia e Venezuela: pace?, che non nascondeva la preoccupazione per un’ingerenza inopportuna nelle vicende di un paese vicino con una storia tanto diversa dal Venezuela. Non a caso Fidel Castro era stato allora molto più prudente.
Poco dopo erano cominciate le consegne alla Colombia di militanti delle due principali formazioni guerrigliere, l’ELN e le FARC, rifugiatisi in territorio venezuelano per curarsi o per sfuggire alla cattura e alla morte, e sono tornati i dubbi sulla possibile partecipazione di settori dell’esercito venezuelano al rapimento a Caracas nel 2005 di Rodrigo Granda, esponente delle FARC anche lui impegnato in trattative per la liberazione della Betancourt. In quel caso l’esito della consegna non fu mortale, per il clamore sollevato e soprattutto perché due anni dopo Granda fu liberato su richiesta del neoeletto Sarkozy in visita alla Colombia.
Il caso di Joaquín Pérez Becerra appare più grave per varie ragioni. Molti commentatori hanno obiettato alle dichiarazioni di Chávez che prendevano per buone le accuse di Santos al giornalista, che anche il presidente venezuelano è vittima da sempre di campagne di accuse calunniose, tra cui quella di essere l’ispiratore di una guerriglia che è cominciata quando lui era appena un bambino, mossagli proprio dal predecessore di Santos, Alvaro Uribe… Per convalidare le sue tesi Uribe, assistito da “specialisti” della disinformazione israeliani e statunitensi, aveva sostenuto di aver trovato le “prove” di questo legame nei computer “miracolosamente” scampati al bombardamento dell’accampamento di Sucumbios in cui era stato ucciso Reyes con molti altri. Quindi non c’è spiegazione per l’accettazione della menzogna che attribuisce un ruolo di “terrorista” a un giornalista che dà fastidio solo perché il suo sito svedese è il più visitato in Colombia…
Ma c’è un’altra novità che dovrebbe preoccupare tutti coloro che come noi sostengono la rivoluzione bolivariana: il 9 aprile (poche settimane prima di quel 23 aprile in cui Joaquín Pérez Becerra è stato “catturato” all’aeroporto di Maiquetia) Hugo Chávez si era recato a Cartagena in Colombia per incontrare Juan Manuel Santos e firmare 16 accordi bilaterali tra i due governi, ma poche ore prima dell’incontro Santos aveva annunciato che alla riunione avrebbe partecipato anche il presidente honduregno Porfirio Lobo (eletto dopo il golpe), allo scopo di “migliorare le relazioni tra Honduras e Venezuela”; quelle con la Colombia, alleata privilegiata degli Stati Uniti, sono ovviamente già ottime. L’Honduras era stato espulso da tutti gli organismi internazionali del continente dopo il golpe che aveva destituito il moderatissimo Manuel Zelaya. Le perplessità sono nate dalla notizia che i tre presidenti hanno discusso per ore, e che Zelaya (che non ha né la tempra del combattente, né la formazione per reggere allo scontro che è costato già migliaia di morti, compresi molti giornalisti) era stato informato e si è incontrato il 15 aprile a Caracas con Chávez. Il risultato probabile è una divisione nel FNRP che ha sostenuto finora il peso della lotta contro i golpisti. Il vice coordinatore del FNRP Juan Barahona appoggia Zelaya, intenzionato a tornare in patria in cambio di alcune promesse e della possibilità di partecipare ad elezioni sotto controllo dei golpisti, mentre è poco probabile che sia d’accordo quella parte di popolazione che ha sofferto di più per la repressione e che si colloca molto più a sinistra di Zelaya (non è difficile…). Quelli che sono fiduciosi sulla possibilità di ottenere garanzie reali dai golpisti, ritengono che Lobo potrebbe essere interessato a darle per due ragioni fondamentali: economicamente, ha interesse a ristabilire le relazioni con Chávez per far rientrare l’Honduras nel Petrocaribe, che assicurava petrolio a prezzi molto più bassi di quelli internazionali; politicamente l’appoggio del Venezuela, paese leader, consentirebbe il ritorno nell’ALBA e poi nel Mercosur, per ottenere quindi automaticamente il rientro nell’OSA da cui l’Honduras era stato escluso dopo il golpe. Ma che garanzie potrebbe dare, in cambio?
In America Latina si discute se l’incontro con Lobo era stato una trappola di Santos per Chávez, se il rinvio del suo viaggio a Cartagena, previsto inizialmente per il 1° aprile, fosse dovuto davvero a un guasto all’aereo presidenziale o fosse finalizzato a una migliore preparazione dell’incontro triangolare. Ma non è questo il problema. Se il Venezuela accetta le regole tradizionali della diplomazia segreta alle spalle dei popoli (nel caso specifico di chi in Honduras ha lottato contro il golpe a rischio della propria vita), la forza di attrazione della “rivoluzione bolivariana” si indebolirà nettamente, in un momento in cui l’aggressività dell’imperialismo si manifesta di nuovo senza troppi infingimenti.
Altre informazioni sul sito di Antonio Moscato, http://antoniomoscato.altervista.org/