Le larghe intese di super-Merkel
Super-Merkel si appresta a dominare ancora l’Europa. In modo anche più incisivo rispetto agli ultimi quattro anni visto il successo che ha caratterizzato la sua vittoria alle elezioni politiche tedesche. Circa 9 punti percentuali guadagnati dalla Cdu-Csu, la coalizione che l’ha candidata di nuovo alla Cancelleria, quasi quattro milioni di voti in più. Una distanza di sedici punti caratterizza il risultato dell’opposizione guidata dalla Spd, la socialdemocrazia tedesca che, sebbene guadagni il 2,5% rispetto al 2009, appare come la grande sconfitta. Peggio di lei fanno solo i liberali, che restano fuori dal parlamento tedesco, il Bundestag, non essendo riusciti a superare la soglia di sbarramento del 5%. Si fermano al 4,8 e perdono quasi dieci punti rispetto al 14,6% ottenuto quattro anni fa. Una disfatta provocata dal proprio stesso alleato, la Cdu, che si staglia come l’unica formazione conservatrice di Germania. Nemmeno la neo-nata formazione anti-euro, l’Afd, supera lo sbarramento elettorale anche se il suo 4,7%, ottenuto in soli otto mesi di vita, è indicativo degli umori che circolano nel più grande e potente paese europeo. Per via del sistema elettorale che taglia fuori formazioni dal consenso significativo – Fdp e Afd mettono insieme circa 4 milioni di voti – Angela Merkel non gode della maggioranza assoluta al Bundestag sia pure per soli cinque seggi. Sembra probabile, quindi, che dovrà ricorrere all’aiuto della Spd per formare il governo rispolverando la formula della “Grosse koalition” che tanta fortuna sta riscuotendo in Europa. La scelta, però, sarà tutta nelle mani della cancelliera democristiana che, volendo, potrebbe anche tentare di formare un governo di minoranza. In ogni caso si muoverà con un’indubbia forza alle spalle e la userà senza riserve. La Spd, del resto, è più che disponibile a governare con il proprio rivale di sempre con cui condivide la sostanza delle politiche economiche. Tutti gli osservatori europei, infatti, hanno sottolineato nelle scorse settimane che il “miracolo tedesco”, cioè la sua supremazia economica del paese più importante d’Europa, dipende dalle riforme avviate a suo tempo dall’ex cancelliere Spd, Gherard Schroeder, e poi realizzate ancora dai governi di unità nazionale tra Cdu e socialdemocratici. La crescita smisurata dei “minijob”, posti di lavoro da 4-500 euro al mese che riguardano ormai 7,5 milioni di persone; l’estensione del lavoro a tempo; la disoccupazione battuta solo grazie alla precarietà: sono questi i fattori che spiegano la potenza economica tedesca, una compressione mai realizzata prima del mercato del lavoro, piegato, con l’avallo di partiti e sindacati, alle leggi della competizione e della produttività. Con queste premesse, non stupisce che la Spd abbia ottenuto un risultato più che modesto. Ma con la Spd vanno male anche gli altri partiti della sinistra. Solo una propaganda miope, come quella condotta da alcuni settori della sinistra italiana, può sbandierare come un successo l’8,5% ottenuto dalla Linke, la sinistra alternativa di Oskar Lafontaine e Gregor Gysi. La flessione di questo partito rispetto alle scorse elezioni, in realtà, è di quasi 3,5 punti percentuali e questo mentre l’affluenza al voto da parte è cresciuta dal 70 al 72%, La sinistra radicale, in una fase di crescita delle tensioni, dopo la crisi greca e nel pieno dell’offensiva liberista, perde circa 1,3 milioni di voti in valore assoluto. Anche i Verdi cedono circa 900 mila voti. Che non vanno tutti alla Spd in funzione di un teutonico “voto utile”. La socialdemocrazia, infatti, in termini assoluti cresce “solo” di 1,5 milioni di voto. Nemmeno vanno al Partito Pirata che fallisce il proprio tentativo di affermarsi come la novità tedesca. Quei voti, presumibilmente, vanno agli anti-europeisti che, pur non riuscendo a entrare nel Bundestag, si affermano come una spia del malcontento sociale dai connotati nazionalisti. L’ipotesi che, a fronte del risultato di Angela Merkel, esisterebbe una possibile alternativa “rosso-verde” con l’alleanza di Spd-Linke e Verdi è quindi del tutto astratta. Non ha basi nella storia politica della Germania, dove esiste ancora la “conventio ad excludendum” nei confronti della Linke, in parte erede del vecchio partito di Stato della Germania dell’Est, e non esiste nella politica attuale. Tutto spinge verso l’ipotesi di “larghe intese” perché è questo che domina a livello europeo ed è questa la formula con cui le classi dominanti dell’Europa intera puntano a gestire la crisi. Larghe intese in cui, per definizione, a dominare sono le pulsioni più moderate e conservatrici. Nei cui confronti, ancora una volta, si dimostra che non bastano vecchie formule o progetti ambigui per costruire alternative.