Ma che bel governo….
La nomina dei sottosegretari e viceministri del governo Monti non fa che confermare il profilo di fondo dell’esecutivo: un governo tecnocratico al servizio degli interessi più forti condito di un po’ di sottobosco politico e di spartizione clientelare. I profili dei sottosegretari sono esplicativi di questa fisionomia e descrivono una filosofia politica che sta per essere confermata dalle prime misure economiche. Misure che saranno decise con uno spruzzo di “lotta alla casta” come dimostra il modo con cui si è condita la nomina di Vittorio Grilli a viceministro dell’Economia (in grado di ridursi del 70 per cento lo stipendio…!). In realtà stiamo parlando di un grand commis dello Stato che si è distinto per la guida del ministero dell’Economia e per essere un uomo fidato di Giulio Tremonti. Tanto che l’ex ministero dell’Economia voleva piazzarlo a tutti i costi alla guida della Banca d’Italia. Oggi viene premiato con un incarico più che rilevante visto che il ministro è lo stesso Monti, cioè il presidente del Consiglio, e quindi sarà Grilli a gestire la macchina del ministero. Una politica di continuità con il recente passato che viene mascherata dalla lotta ai privilegi.
Altra nomina politica è quella di Michel Martone, sottosegretario al Welfare. Nel vivo del dibattito sulla manovra estiva, in cui il governo Berlusconi stava per inserire il famigerato articolo 8, sul suo blog il professore della Luiss dichiarava tutto il suo sostegno a quella riforma e la sua visione politica relativa al dimagrimento dello Stato per diminuire il debito pubblico.
Poi ci sono veri e propri scandali come la nomina di Mario Ciaccia alle Infrastrutture già manager di Banca Intesa, la stessa banca diretta dal ministro Corrado Passera. Il management di una banca privata mette così le mani su un pezzo del governo, tra l’altro un pezzo decisivo.
Il profilo politico è ben rappresentato da questi tre nomi, relativi ai tre ministeri (Economia, Sviluppo economico e Welfare) che rappresentano il cuore dell’attuale governo, non a caso quelli i cui responsabili (Monti-Grilli, Passera e Fornero) sono stati indicati come la “cabina di regia” politica del’esecutivo.
Per il resto si può passare dall’indignazione al folklore. Molti, ad esempio, avranno notato che Maurizio Gasparri, capogruppo Pdl al Senato, ha subito sparato a zero contro le nomine “politiche”, in particolare quella di Giampaolo D’Andrea (ex sottosegretario del governo Prodi e, va detto, piuttosto abile nel gestire i lavoro parlamentari) ai Rapporti con il Parlamento. Però a zittirlo ci ha pensato il suo “collega” La Russa e la ragione è semplice: come sottosegretario alla Difesa viene nominato Filippo Milone che di La Russa è stato capo della segreteria politica e che è stato implicato anche nell’inchiesta in corso su Finmeccanica. Gasparri poi fa finta di non sapere che l’altro sottosegretario ai Rapporti con il Parlamento è il tecnico del Senato, Antonio Malaschini, fedelissimo di Renato Schifani o che come sottosegretario alla Salute è stato nominato Elio Cardinali marito di Anna Palma capo segreteria politica del presidente del Senato. Poi va segnalato Carlo Malinconico, il presidente della Fieg, la “confindustria” degli editori che assume la direzione del Dipartimento dell’Editoria, cioè un controllato che diventa controllore mentre il delicato dossier delle Comunicazioni viene assegnato al nome più quirinalizio di tutti, Paolo Peluffo, già portavoce del governo Ciampi nel 1993.
Insomma, un po’ di tecnocrazia più o meno liberista, molto apparato dello Stato – agli Interni vanno, Giovanni Ferrara, capo della Procura della Repubblica di Roma, “il porto delle nebbie” e Carlo De Stefano, capo dell’Ucigos grande esperto di anti-terrorismo – tanta continuità con le linee guida degli ultimi venti anni e un’omogeneità di fondo – si pensi ai due sottosegretari agli Esteri, Marta Dessù, fedele a Massimo D’Alema, e Steffan De Mistura, navigato uomo dell’Onu – l’ossequio alla politica dell’austerità, alla filosofia dello smantellamento dello Stato sociale e alla compressione dei diritti dei lavoratori. In una parola, il governo Monti.