Maflow, la fabbrica salvata dai lavoratori
Ripartire, riutilizzare, riciclare, riappropriarsi. Sognando la rivincita. È la storia dei lavoratori della Maflow, ex multinazionale con fabbrica a Trezzano sul Naviglio, messi in cassa integrazione nel 2010. Dopo aver occupato terreni e capannoni oggi si sono riorganizzati in una cooperativa. L’hanno chiamata Ri-Maflow. Una vicenda che somiglia molto a quella della Innse di Lambrate e che mette insieme tutte le storture dell’economia moderna, in bilico tra lavoro e finanza; ma anche utopia e pragmatismo, perché di sfondo c’è l’ambizione di “riconquistare reddito e dignità dimostrando che la crisi può diventare un’opportunità per la socializzazione dei mezzi di produzione” spiega in termini un po’ marxiani Luigi Malabarba, uno dei nuovi soci della società di mutuo soccorso.
L’azienda nasce nel 1973, si chiama Murray e fornisce elementi per impianti di servosterzo e tubi di freni, frizione, benzina delle automobili. Sono gli anni dello shock petrolifero, ma il mercato è comunque in espansione. La Murray cresce e si evolve, così entra nel campo della progettazione e costruzione di componenti per il condizionamento auto. Nel 2004 il ramo d’azienda automotive viene scorporato e ceduto a un fondo di private equity. Con il nome Maflow nel 2007 raggiunge il top: è una multinazionale a capitale italiano e può vantare 23 stabilimenti tra Europa, America e Asia. Rifornisce soprattutto un colosso come la Bmw.
Ci sarebbe da stare tranquilli – e infatti i 320 lavoratori di Trezzano lo erano – quando invece nel 2009 il Tribunale di Milano dichiara Maflow in stato di insolvenza. Trecento milioni di debito, risultato di operazioni finanziarie finite male. La Borsa che si mangia il lavoro. Dal 30 luglio 2009 la società è commissariata. Dopo la fase di amministrazione straordinaria arrivano i polacchi della Boryszew a metterci una pezza, e invece la cura si rivela peggio della malattia: assumono solo 80 dipendenti e dopo due anni vissuti a singhiozzo chiudono lo stabilimento una volta per tutte. È la morte della Maflow. Ed è lì che comincia la seconda vita dell’azienda. Parola d’ordine: autogestione.
Quando ormai era chiaro che l’avventura polacca stava volgendo al termine i lavoratori si sono auto-organizzati ripensando le strategie aziendali: passare dalle auto al riciclo dei rifiuti tecnologici. Intervengono sia il Centro per l’impiego sia Regione Lombardia, formando i cassintegrati in vista della nuova specializzazione. I 30mila metri quadrati della ex Maflow di Trezzano, di cui 14mila al coperto, adesso sono occupati dai lavoratori. Anche se la proprietà resta della Virum, costola di Unicredit. “Conviene anche alla banca affidarceli in comodato, altrimenti finirebbero abbandonati” dicono i lavoratori. Sono coperti in parte dalla cassa integrazione, non hanno affitto da pagare: l’impresa di ricominciare sembra ora possibile.
La cooperativa è stata fondata ufficialmente venerdì scorso e i primi 20 lavoratori si sono riassunti, con la speranza di crescere rapidamente. “È risarcimento sociale, la proprietà spetta a chi ha prodotto la ricchezza” ragiona Malabarba. Un covo di pericolosi comunisti? Un operaio, Michele Morino, 43 anni e una figlia di 13, sorride: “Non ho mai frequentato ambienti rivoluzionari. Sono sempre stato un tipo mansueto e tra le righe. Qui di rivoluzionario c’è la normalità e la voglia di riprenderci il nostro futuro”.