Messico, l’odore dei brogli
di Maria Benciolini e Gregorio Serafino
Lo scorso 1 luglio in Messico sono stati eletti il nuovo presidente della repubblica, la metà dei deputati e senatori membri del congresso, il governatore di città del Messico e di alcuni altri stati della repubblica e molte cariche amministrative minori. Senza dubbio l’elezione più importante è stata quella del presidente della repubblica, non solo per le conseguenze che avrà sulle vite dei cittadini messicani ma anche perché offre l’immagine più interessante della situazione politica del paese. Dopo 12 anni il Partido Revolucionario Institucional tornerà al governo del Messico. Anche se i risultati ufficiali arriveranno solamente il 4 luglio, dai dati del Programma di Risultati Elettorali Preliminari (Prep), con il 98.95 per cento dei seggi già verificati, risulta ormai evidente che Enrique Peña Nieto e il Partido Revolucionario Institucional (PRI) sono i vincitori.
Le elezioni si sono svolte in un clima di grande tensione, ma hanno anche evidenziato una forte capacità di mobilitazione da parte di varie organizzazioni civili impegnate nell’osservazione elettorale e nella denuncia di frodi. Nonostante le affermazioni dell’Instituto Federal Electoral, che ha dichiarato che questo è stato il procedimento elettorale più equo della storia del Messico, risulta infatti evidente che, fedeli a una triste tradizione messicana, i partiti politici, specialmente il Pri, hanno adottato le più svariate strategie per influenzare o cooptare il voto dei cittadini. Il presidente in carica Felipe Calderón ha fatto i suoi complimenti per la vittoria a Enrique Peña Nieto quando lo spoglio elettorale era a meno della metà dei seggi, lo stesso ha fatto Josefina Vázquez Mota, la candidata del Pan, che si è affrettata a riconoscere la propria sconfitta dopo solo qualche ora dalla chiusura delle elezioni. Singoli cittadini e organizzazioni civili hanno denunciato centinaia di questi atti. Si va dalla classica offerta di cibo e altri beni in cambio del voto, alla minaccia, al furto di interi seggi elettorali, alla presenza intimidatoria di agenti di polizia corrotti; nello stato di Guerrero sono stati sequestrati i funzionari di un seggio, nel municipio di Chalco (Estado de México) sono state trovate schede bruciate, nello stesso stato la polizia ha arrestato degli studenti membri del movimento yo soy 132 e si è resa complice delle intimidazioni dei militanti del Pri, il presidente di un seggio della Baja California si è allontanato portando con sé le urne elettorali.
Coscienti del fatto che la frode del 2006 non si è verificata solamente attraverso i metodi classici, ma anche grazie a una “falla del sistema” del conteggio computerizzato dei voti, molte organizzazioni hanno invitato gli elettori a fotografare i risultati preliminari che sono stati esposti nei distinti seggi elettorali per poi pubblicare le fotografie su diverse pagine internet e procedere a un conteggio indipendente (al momento di scrivere questo articolo i conteggi che indipendenti che hanno pubblicato i proprio risultati danno come vincitore López Obrador).
Nonostante tutte le denunce e i conteggi indipendenti, la cosa più probabile è che il 4 luglio l’Instituo Federal Electoral confermerà i risultati elettorali pubblicati fino ad ora dai canali ufficiali. Peña Nieto vince le elezioni con il 38 per cento dei voti, a sei punti di distanza si trova López Obrador, della coalizione Partido de la Revolución Democrática e Partido del Trabajo con poco meno del 32 per cento, dopo di lui Josefina Vázquez Mota del Partido de Acción Nacional con il 25 per cento e per ultimo Gabriel Quadri del Panal con il 2. Risulta evidente che il primo grande sconfitto di queste elezioni è il Pan che in 12 anni di governo non è riuscito a distinguersi dal Pri, e ne ha piuttosto ripreso le pratiche corrotte e autoritarie fatte di clientelismi, corruzione e violenza. Gli anni del primo governo panista di Vicente Fox sono stati, per riprendere le sue stesse parole, “un governo di impresari e per impresari” mentre i sei anni di Felipe Calderón si sono caratterizzati da una guerra contro il narcotraffico condotta esclusivamente sul piano militare e che ha gettato il paese in una spirale di violenza dilagante e incontrollata.
López Obrador, il candidato della sinistra, era al suo secondo tentativo nella corsa presidenziale, dopo l’evidente frode del 2006, è riuscito nonostante tutto a tenere unite le forze che lo appoggiavano e per la prima volta dopo molto tempo i partiti di sinistra si sono presentati uniti alle elezioni. La campagna elettorale di AMLO è stata efficace, il candidato è riuscito ad essere convincente per una buona fetta della classe media, per la maggior parte degli intellettuali e anche per moltissimi contadini e indigeni, questo però non è bastato per vincere le elezioni. Se in queste ultime campagne elettorali non si è vista una “guerra sucia” (guerra sporca) come quella del 2006, è comunque evidente che i grandi mezzi di comunicazione e i gruppi imprenditoriali erano contro AMLO e insinuavano più o meno apertamente che sarebbe stato un “nuovo Chávez” e che avrebbe portato il paese verso il comunismo. È bastato questo per spaventare la maggior parte degli elettori indecisi.
Ed ora veniamo a Enrique Peña Nieto, il vincitore, che prima di candidarsi alla presidenza della repubblica è stato governatore dell’Estado de México dal 2005 al 2011. Il suo governo si è caratterizzato per essere uno dei più corrotti e meno trasparenti tra i governi statali, durante il suo mandato non solo si sono esasperati i conflitti sociali, ma il suo stato è arrivato al secondo posto (dopo Chichuahua) per numero di femminicidi in tutta la repubblica. Peña Nieto è anche membro del cosiddetto “grupo Atlacomulco” un insieme mai ufficialmente riconosciuto di politici del Pri tutti originari dell’Estado de México che si sono organizzati per scambiare favori politici ed economici. Il nuovo presidente ha fondato la sua immagine pubblica sul suo aspetto fisico e sul suo matrimonio con Angelica Rivera, una delle “stelle” delle telenovele messicane. Televisa, la principale impresa di telecomunicazioni messicana ne ha fatto il suo campione e lo ha reso popolare in tutto il paese. È probabile che Peña Nieto governerà il paese come ha fatto con l’Estado de Mexico: unendo repressione dei movimenti sociali, corruzione, e il grande circo mediatico che sempre si muove intorno alla sua immagine. Il problema che lo preoccupa di più, forse, è la guerra contro il narco che eredita dall’amministrazione di Felipe Calderón. Il Pri ha sempre offerto tacita tolleranza, se non complicità, ai grandi capi dei cartelli del narcotraffico. Questa relazione però non può più mantenersi come negli anni passati, soprattutto a causa delle pressioni statunitensi, ed è per questo che Peña Nieto ha deciso di contrattare come consulente esterno per la lotta contro il narco traffico il generale colombiano Óscar Naranjo Trujillo che gode dell’approvazione della Dea e della Cia. L’esperimento di cambiamento (molto più formale che reale) del Pan è concluso e questo ritorno del Pri alla presidenza della repubblica rappresenta una grave regressione per il paese, che potrà solo vedere rafforzate quelle dinamiche di corruzione, violenza e autoritarismo che hanno caratterizzato una grandissima parte della vita politica messicana moderna.
Per concludere, vale la pena segnalare che queste elezioni mostrano una volta di più, se mai ce ne fosse il bisogno, le profonde differenze politiche e culturali che separano città del Messico dal resto del paese. Nella capitale infatti Miguel Angel Mancera, candidato della coalizione di sinistra (PRD-PT) è diventato governatore con più del 60% delle preferenze. Nel 1997 una riforma politica permise le prime elezioni democratiche a Cittá del Messico (che prima non era riconosciuta come uno stato della repubblica ed era governata da un reggente nominato direttamente dal Presidente della Repubblica). Da allora la città è governata da un “Jefe de Gobierno” che ha funzioni a metà tra quelle di sindaco e di governatore di uno stato. Da quelle prime elezioni fino ad oggi, i “Capi di Governo” di città del Messico sono sempre appartenuti al Partido de la Revolución Democrática che, nonostante alcuni alti e bassi, ha comunque portato un grande miglioramento nella vita dei cittadini, soprattutto negli ultimi 12 anni con i mandati di Andrés Manuel López Obrador prima (2001-2005), e di Marcelo Ebrard dopo (2006-2012). I due sindaci si sono impegnati, ciascuno a suo modo, nel miglioramento dei trasporti pubblici, nella difesa ambientale e la lotta contro la discriminazione, hanno portato avanti programmi mirati a ridurre le disuguaglianze sociali e di genere, a snellire la burocrazia e a ripulire i corpi di polizia dagli elementi corrotti e pericolosi.
I risultati di queste politiche si vedono non solo nella vita quotidiana degli abitanti di città del Messico, ma anche nella partecipazione politica attiva di una larga fetta della popolazione. Città del Messico rimane certamente una metropoli disordinata e a volte difficile eppure è anche la dimostrazione che con un’amministrazione intelligente e attenta ai bisogni dei cittadini e dell’ambiente è possibile migliorare la qualità di vita della città più grande del mondo.
Dall’altra parte, quello che succede nel resto del paese, è invece, e ancora una volta, la dimostrazione della debolezza delle istituzioni democratiche messicane e dello strapotere dei media e delle grandi imprese che sono riusciti, di nuovo, ad imporre un candidato che farà i loro interessi invece di quelli dei cittadini.