Oakland, il movimento non va in vacanza
da Oakland
Si può sicuramente dire, senza timore di smentita, che la Bay Area di San Francisco conferma una delle più famose analisi di Marx: il capitalismo per riprodursi deve continuamente rivoluzionare se stesso. Qui si concentrano le grandi Internet Company, l’industria dell’elettronica, delle biotecnologie, le società di ingegneria genetica, i grandi porti e grandi Università come Berkeley e Stanford. Nel raggio di poche decine di kilometri, senza soluzione di continuità, si passa da San Francisco alla Silicon Valley e da questa al grande porto di Oakland. Un territorio che, negli ultimi decenni , ha visto la rivolta dell’Università di Berkeley, la controcultura di San Francisco, la nascita delle Pantere Nere e le lotte dei portuali a Oakland, l’orgoglio gay del quartiere Castro. E nell’ultimo anno una delle esperienze più interessanti del recente movimento americano: Occupy Oakland.
Sarebbe interessante capire oggi quali nessi esistono tra le forme più avanzate del capitalismo contemporaneo e le espressioni più dinamiche e radicali dei movimenti sociali. La Bay Area di San Francisco è certamente un buon banco di prova. L’atmosfera più rilassata e permissiva, in confronto al resto degli Stati Uniti, delle relazioni sociali e di potere in realtà è direttamente funzionale alla velocità ed alla profondità della riproduzione allargata dei rapporti capitalistici. Emerge quasi con sistematicità la contraddizione lacerante tra la possibilità di non irreggimentare le forme di socializzazione “informale” della produzione, delle conoscenze, dei saperi e la necessità dell’appropriazione privata degli stessi. La Apple, Google, Facebook, Linkedin, Symantec – per citare solo i casi più noti della Silicon valley – ne sono gli esempi eclatanti: un’immagine e un ambiente molto accattivanti e “friendly” e un’organizzazione del lavoro basata su una strutturale precarietà dei lavoratori e un feroce “taylorismo digitale”. Sotto la superficie apparente si celano una rigida gerarchia aziendale e uno scontro senza esclusione di colpi tra le migliaia di start-up, piccole società che nascono e muoiono a velocità impressionante, per accaparrarsi contratti e commesse dalle multinazionali del software e del Web 2.0.
Occupy Oakland è nato in questo contesto. Fin da quasi subito, cioè dalla metà di ottobre dello scorso anno, è stato il luogo di espressione e di lotta di un’interessante composizione sociale. Lavoratori portuali, insegnanti, giovani precari, studenti universitari, militanti antirazzisti, attivisti della sinistra radicale di San Francisco e Berkeley hanno visto in Occupy Oakland l’apertura di uno spazio politico innovativo al di fuori delle soffocanti istituzioni – democratiche o repubblicane poco cambia – e una concreta possibilità di lotta contro le politiche che progressivamente riducono diritti e welfare. Lo sciopero generale del 6 novembre scorso a Oakland, dopo 65 anni dall’ultimo, sfidando una legislazione (e un potere ) che lo vieta, il blocco dei porti di molte città della West Coast del 12 dicembre, la giornata del 1° maggio con blocchi in vari punti della città sono stati i momenti principali di un movimento che ha messo in crisi sia riti burocratici dei grandi sindacati che i miti di organizzazioni della sinistra troppo ripiegate su se stesse e su un passato congelato. Nonostante il periodo estivo Occupy Oakland riesce a fare due assemblee generali alla settimana e i vari gruppi di lavoro a mettere in campo un discreto numero di iniziative.
Ad esempio nell’assemblea generale di questa domenica di fine luglio si è fatto il punto sulla mobilitazione contro gli sfratti e i pignoramenti di case, si è deciso il sostegno e la partecipazione alla lotta appena iniziata di lavoratori non sindacalizzati di una società di trasporti, si è organizzato un presidio davanti al municipio contro la continua repressione da parte della polizia locale, si è organizzata una festa del movimento per metà agosto e si è discusso della tre giorni di convegni, seminari, concerti in cui i vari Occupy della West Coast si ritroveranno a Oakland – a metà settembre- anche per riflettere sulle prospettive del movimento. Una simile iniziativa con workshop, convegni, concerti si terrà dal 15 al 17 settembre a New York promossa da Occupy Wall Street e coinvolgerà il movimento della costa est. Il tutto avviene in modo autorganizzato e autofinanziato, privilegiando le modalità decisionali che si basano sulla democrazia diretta. I movimenti e i loro modi di funzionamento non sono esportabili. I contesti, la memoria e l’interpretazione di esperienze passate, la composizione sociale incidono molto sulla loro politicizzazione e sul tipo di radicamento sociale. Però aprono spazi di riflessione e alimentano analisi sulla composizione di classe. E forse, da questo punto di vista, qualcuno ha decretato troppo velocemente, e in modo alquanto interessato, la morte del movimento Occupy negli Stati Uniti. E’ certamente diminuito l’impatto mediatico e i rapporti con i gruppi dirigenti sindacali sono a dir poco piuttosto tesi, ma ciò diventa inevitabile quando ci si colloca sul terreno di un’autorganizzazione che diventa anche un processo che produce nuove soggettività e ridefinisce quelle “vecchie”.
Occupy Oakland è l’insieme di tutte queste cose: movimento sociale, soggetto politico, strumento di socializzazione, amplificatore del conflitto di classe. Sarà un caso ma attualmente la mostra più importante allestita al Museo di Oakland riguarda gli aspetti sociali, politici e culturali del ’68 americano.