One Billion Rising, un’occasione persa
Il 14 febbraio 2013 migliaia di donne in Italia e in tutto il mondo hanno accolto l’invito della scrittrice Eve Ensler e sono scese in piazza contro la violenza sulle donne. Milioni di persone hanno ballato sulle note di “Break the chain” (canzone scritta per l’occorrenza dall’autrice dei “Monologhi della Vagina”), hanno indossato un indumento rosso per denunciare che la prima causa di morte per una donna è la violenza domestica, quella perpetuata dal coniuge, dal padre, dal fratello, dal ex, da un famigliare che si sente arrogato del diritto di picchiare, stuprare e uccidere la propria moglie, figlia, sorella, fidanzata, compagna, amica. I dati della giornata di ieri sono altissimi e incoraggianti: in oltre 200 paesi nel mondo, più di 5000 associazioni, hanno partecipato al flash mob One Billion Rising, gridando Ora basta!
Nel nostro paese il principale promotore dell’evento è stato “Se non ora quando”, il cartello di donne nato per la manifestazione del 13 febbraio 2011, indignato per il modello di donna promosso dalle azioni dell’allora presidente del consiglio Silvio Berlusconi. Se due anni fa ci eravamo opposte alla logica di Snoq che, in nome dell’antiberlusconismo, proponeva una retorica di divisione delle donne in sante e puttane, in brave mogli e figlie e complici, e avevamo creato spezzoni di cortei radicalmente antipatriarcali, anche questo 14 febbraio non ci ha convinto, per il modo in cui si è realizzato.
Il One Billion Rising, in Italia, è caduto a 10 giorni dalle elezioni politiche e, purtroppo, spesso non è stata altro che una delle tante tappe della campagna elettorale. Tanti sono stati i politici presenti nelle piazze del flash mob il 14 febbraio e chi non c’era si è preoccupato di fare dichiarazioni su quanto fosse importante il tema nel loro programma, impegnandosi, quando verrà eletto, a promuovere un processo culturale in grado di combattere la violenza degli uomini sulle donne. Ma cosa hanno fatto negli ultimi anni per promuovere politiche che andassero in questa direzione?
Quelli che oggi si scontrano in campagna elettorale, ieri, in modo unanime, hanno votato politiche che andavano nella direzione opposta alle dichiarazioni elettorali: nel 2011 è stato varato un taglio di 18 milioni di euro ai centri antiviolenza; nel 2012 la “Spending Review” ha tagliato 26 miliardi di euro alla Pubblica Amministrazione, comportando un blocco nelle assunzioni in un settore dove il 63% del personale è al femminile e tagli a gli enti locali, principali erogatori di servizi; sempre nello scorso anno il Fondo Nazionale per le Politiche Sociali è stato di fatto cancellato, finanziato con soli 44,6 milioni di euro, una riduzione di ben 884,7 milioni in due anni, mentre nel 2011 era già stato abolito il Fondo Nazionale per la non Autosufficienza. Oltre alle manovre strettamente economiche l’occupazione femminile si arresta al 46,8% e, invece di promuove una politica volta al superamento del gap di genere esistente, le linee vigenti propongono un modello di donna sospesa tra il mercato del lavoro e la cura: il Piano Italia 2020 incentiva il lavoro part time per le giovani così da permettere loro di contribuire all’economia famigliare e reggere sulle loro spalle tutto il lavoro di cura, ove non bastasse ci sono sempre le badanti.
Le scelte fatte in nome della salvaguardia dell’economia nazionale colpiscono le donne e la loro capacità di emancipazione economica e sociale e non permettono a una donna vittima di violenza di poter costruire un futuro autonomo dal suo aguzzino, perchè è da lui che dipende economicamente. Se si volesse realmente combattere la violenza contro le donne e costruire una cultura differente si dovrebbe partire dal finanziamento alla scuola e non dalla sua distruzione come è accaduto negli ultimi anni; dalla promozione di un modello di welfare basato sulla persona e non sulla famiglia, dando per scontato che ci sia sempre qualcuna disposta a farlo al posto dello Stato; dal ripensamento di una politica del lavoro in grado di tutelare la lavoratrice dai continui ricatti a cui oggi è sottoposta e non attaccando diritti e promuovendo precarietà, come accade oggi.
Il 14 febbraio 2013 si è persa un’occasione in Italia, la rabbia e la voglia di far sentire la propria voce di tante donne è stata venduta alla logica mediatica della campagna elettorale. Le protagoniste di quella giornata sono state oscurate dai soliti volti noti che hanno detto loro: scendete in piazza, manifestate e poi andate a votare chi, però, non è mai stato dalla parte delle donne, ieri come domani.