Piccola editoria, grande follia
«Io penso che i piccoli editori siano dei matti». Con questa frase in bella mostra in quarta di copertina, si presenta subito aggressivo Federico Di Vita con il suo Pazzi scatenati. Usi e abusi dell’editoria italiana (Effequ, 192 pag., 14,00 euro). Il giovane autore, già da qualche anno impelagato in tragicomiche esperienze di “lavoro” in piccole case editrici, fa un affresco impietoso del mondo dell’editoria italiana. Compresi i piccoli editori, spesso dilettanti allo sbaraglio.
In effetti, mettendo insieme i numeri presenti nel testo, è difficile non essere pessimisti sulla tenuta dei piccoli editori, e in generale sulla crescente mediocrità dei libri prodotti.
Ogni anno in Italia vengono pubblicati 59mila novità (164 al giorno), e i titoli “commercialmente vivi” nel 2009 risultavano 647mila. Di Vita si fa una semplice domanda, e si dà una categorica risposta: «Tutti questi libri di tutti questi editori hanno la possibilità di rendersi visibili su un mercato limitato come quello italiano? Queste imprese riescono a produrre un reddito capace di sostenerle e retribuire il lavoro di chi quei libri li ha fatti? La risposta a queste domande è quasi sempre no».
Il fatturato complessivo del settore nel 2010 è pari a circa 2 miliardi di euro, ma i cinque grandi gruppi editoriali (in ordine Mondadori, Rcs, Gems, Feltrinelli e Giunti) si sono accaparrati il 60,1% delle vendite, gli editori medio-grandi il 26,7, i piccoli il 13,2%. E guardando i 431 piccoli editori presenti alla fiera Più libri più liberi di Roma scopriamo che tra quest’ultimi ci sono anche Sellerio, E/O, Minimum Fax, Castelvecchi, Fanucci, Elliot, Isbn e altri che tanto piccoli poi non sono. Eppure in Italia nel 2010 risultano attive 7.009 case editrici. Dei pazzi, appunto.
Il sistema in realtà si regge coscientemente su una grande bolla finanziaria, che l’autore spiega con dovizia di particolari. Schematicamente: se vanno in distribuzione mille copie di un libro l’editore viene pagato per quelle mille, ma ovviamente non tutte saranno vendute, e circa sei mesi dopo ne vedrà tornare indietro 6-700. A questo punto però, anziché rimborsare il distributore, l’editore manda in distribuzione altri libri per coprire quel debito e, da imprenditore, ne manda anche altri per guadagnare due soldi. Sei mesi dopo però il distributore gli restituirà più libri della volta precedente, «ad libitum. Ad libitum fino ad un certo punto, ad libitum fino al fallimento (dell’editore)». Un vortice finanziario che spinge ad un’iperproduzione.
Ovviamente la quantità influisce sulla qualità, sul lavoro di selezione dei testi, sulla loro cura, correzione, promozione. Ma la qualità è erosa soprattutto dalla crisi delle librerie indipendenti, che Di Vita descrive attraverso alcune interviste a librai, promotori e distributori. Le librerie in Italia sono circa 2.200, di cui ancora la metà indipendenti. La loro progressiva chiusura o affiliazione alle catene continua però a crescere: «Una volta affiliate le librerie, Mondadori le fornirà dei suoi libri, ne gestirà il magazzino e la rotazione sugli scaffali, consentirà di poter proporre delle campagne di sconti prima impensabili […] ma da questo punto in poi il libraio farà un altro mestiere». I libri sul bancone, sulla cassa e in vetrina verranno decisi in base ad algoritmi, grafici e convenienze “altre” da manager che non hanno mai visto in faccia né il libraio né i clienti. Ogni grande gruppo editoriale del resto controlla parzialmente o totalmente librerie e servizi di distribuzione (Mondadori, Rcs e Giunti hanno la loro distribuzione, Gems ha Messaggerie e Fetrinelli ha Pde). Insomma: «I grandi gruppi fanno il possibile per arrivare a controllare in maniera quanto più capillare e dettagliata tutta la filiera distributiva, fino alla vendita. Vogliono consegnarvi i libri in mano, i libri loro. Questo spiega perché in libreria non è facile trovare volumi di piccole case editrici».
Lo strumento principale con cui le catene sbaragliano la concorrenza delle piccole librerie sono gli sconti. Ottenendo dai distributori – che spesso sono della stessa proprietà – i libri a prezzi più bassi, possono rivenderli con promozioni che le piccole librerie non possono nemmeno immaginare. Da qui nasce la battaglia per la legge sugli sconti, che è arrivata solo su pressione dei grandi gruppi minacciati dal colosso Amazon. La nuova norma sul tetto massimo di sconto del 15%, che può arrivare al 25% per singole promozioni, è davvero poco per favorire realmente le librerie indipendenti e la bibliodiversità: in Francia lo sconto massimo è del 5%, in Spagna del 3 in Germania 0. Senza il richiamo dei prezzi più convenienti il lettore tenderebbe a scegliere il punto vendita con il miglior assortimento e i migliori servizi, e ciò aumenterebbe l’assortimento di ogni libreria. E «con la scomparsa del loro habitat – le librerie indipendenti – scompariranno quei libri e quegli editori che lì trovavano spazio, i piccoli e medi».
Un incubo a cui si aggiunge quello per gli ebook, altro meccanismo che rischia di accelerare il fallimento delle piccole librerie. Certo gli ebook possono diventare anche un’opportunità per i piccoli editori, specie quando caleranno molto il loro prezzo (oggi ancora mediamente inferiore solo del 30% rispetto al prezzo di copertina), perché, con bassi costi, potrebbero convincere anche chi oggi non se la sente a comprare autori ed editori sconosciuti. Ma c’è un punto interrogativo sulla qualità, perché la selezione e la cura di qualcosa che deve essere stampato non sarà mai pari a quella di ciò che viene pubblicato in rete, come si vede già oggi nei quotidiani online.
L’autore alla fine abbozza qualche proposta di coordinamento tra piccoli editori, con l’idea di metterne insieme 20-30 in grado di avere un fatturato tale da costringere le grandi catene a scendere a patti. Ma ancora non si vedono i soggetti in grado di metterla in piedi.
Tante delle vicende narrate in questo libro, come Alegre le subiamo direttamente. E in particolare per chi, come noi, prova a far vivere una piccola casa editrice in controtendenza con le culture dominanti, ce ne sarebbe abbastanza per rinunciare. Ma per noi è irrinunciabile contribuire a costruire un pensiero forte. Roba da pazzi? Forse, ma esiste anche la lucida follia.