Potenza dello skyline
Che Daniel Libeskind, l’architetto incaricato nel 2003 di redigere il piano generale per la ricostruzione dell’area del World Trade Center dopo l’abbattimento delle Torri gemelle, volesse fare un’operazione ideologica, talmente smaccata da risultare persino ingenua, era chiaro a molti dopo le sue prime dichiarazioni. La Freedom Tower, il nuovo grattacielo con il maggior significato simbolico, sarebbe stato alto 1776 piedi (540 metri) come l’anno della Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti. Fino ad arrivare al punto di sostenere che il muro in cemento armato delle fondazioni delle Torri gemelle, che aveva resistito all’attacco, si poteva paragonare alla solidità dei principi di democrazia e libertà che sono alla base della Costituzione americana.
Ma Libeskind è un archi-star che fa della professione anche una fonte di spettacolo, cioè un architetto che combina i propri progetti architettonici con scenografie e atteggiamenti hollywoodiani, come del resto un’altra trentina di suoi simili ( Koolhaas, Eisenman, Zaha Hadid, Gehry, Nouvel, Renzo Piano ecc.) che vagano per il mondo disseminando costruzioni che si specchiano solo in se stesse. Infatti il suo piano originario è stato notevolmente cambiato e ridimensionato dal Consiglio Comunale di New York, da una serie di enti e istituti preposti alla gestione della città e del territorio, dall’intervento delle società che finanziano il progetto che hanno incaricato altri architetti per progettare i singoli grattacieli ed edifici. Libeskind aveva progettato una serie di grattacieli appuntiti e sfaccettati, di altezze diverse per dare il senso dell’ascesa verso l’alto, disposti a semicerchio attorno ai basamenti delle Torri gemelle a simboleggiare una nazione protetta e coesa in grado di proiettare l’immagine autoritaria della propria potenza il più in alto e lontano possibile. Il risultato finale esito dello scontro tra i vari attori in campo, che cambierà lo skyline della città, è che ci saranno 5 grattacieli, tra cui svetta la Freedom Tower – modificata nella forma mantenendo l’altezza di 1776 piedi – che “dialoga” con la Statua della Libertà nell’isoletta di fronte, un memoriale e un museo dedicati alla vittime, una stazione intermodale, un’area commerciale, una chiesa ortodossa, un’area verde con 400 alberi, due vasche d’acqua che hanno lo stesso perimetro delle Torri gemelle e ripristinando la griglia stradale esistente stravolta da Libeskind. Tutto questo sarà eco-friendly e costruito, gran parte è già terminato, all’insegna della sostenibilità ambientale, dell’efficienza energetica, dell’innovazione tecnologica e della sicurezza personale e collettiva. Così è scritto nella versione finale del Piano generale. Quasi un manifesto del “nuovo capitalismo verde” in cui vengono completamente oscurati i reali rapporti di committenza delle grandi società finanziarie, i prezzi inaccessibili delle unità commerciali e abitative, il capillare controllo poliziesco degli edifici e dell’intera area. Insomma un’area fortezza all’interno di una zona, il distretto finanziario di New York, tra le più controllate e video-sorvegliate del mondo.
Il nuovo World Trade Center è un dispositivo architettonico che non si limita a celebrare la potenza americana ma vuole anche segnare le relazioni spaziali all’interno della metropoli americana e tra questa e il resto del mondo. Rispetto ai propositi ideologici iniziali, un po’ naif, di Libeskind il risultato finale ha una carica simbolica e una capacità performativa tali da costituire un punto di riferimento per operazioni simili seppur con dimensioni minori. Infatti l’organizzazione degli spazi esterni e degli ambienti interni dell’intera area sono stati pensati e progettati come condizione e limite dei comportamenti individuali e collettivi nel momento stesso in cui si frequentano o si attraversano. Ci vogliono ordine, compostezza e soggezione al cospetto del “monumento” che contiene memoriali, grandi lapidi con i nomi delle vittime, banche, appartamenti extra lusso, sedi di società finanziarie e aziende multinazionali.
Durante la realizzazione del nuovo World Trade Center sono state sperimentate nuove tecnologie costruttive, nuovi assemblaggi di materiali e una “innovativa” organizzazione del lavoro. Si lavora giorno e notte a ciclo continuo con “isole di montaggio” degli edifici in cui gli operai edili sono soggetti a continui controlli di “qualità” ed efficienza sia da commissioni esterne che reciprocamente tra colleghi di lavoro. Con un sindacato che sceglie coloro che devono essere impiegati nel cantiere, quasi un premio di cui essere orgogliosi perché al servizio della nazione, che inalbera striscioni patriottici sulle palizzate e distribuisce caschi antinfortunistici con il logo sindacale e la scritta “Io lavoro al memoriale dell’ 11 settembre”.
E’ l’architettura che si fa ideologia materiale e al tempo stesso diventa un “oggetto trascurabile” perché diventa altro da sé, per citare uno storico dell’architettura ormai quasi dimenticato, Manfredo Tafuri. E’ l’organizzazione dello spazio sociale come strumento di controllo dei comportamenti e disciplina delle relazioni. L’anno scorso a poche decine di metri, nella piazza antistante, davanti ai grattacieli in costruzione ci sono state – per più di due mesi – alcune centinaia di tende con alcune migliaia di persone che praticavano un altro sistema di relazioni e un’altra organizzazione degli spazi collettivi. La contraddizione era stridente. E’ stato anche per questo che non poteva essere tollerato Occupy Wall Street a Zuccotti Park.