Preoccupante attacco di Uribe al Venezuela
Uribe, a due settimane dalla fine del suo mandato presidenziale, ha lanciato pesanti accuse al Venezuela, costringendo Hugo Chávez a una drammatizzazione dello scontro: ha interrotto immediatamente le relazioni diplomatiche con la Colombia.
L’accusa mossa da Uribe non è nuova e sicuramente è per lo meno molto esagerata: ci sarebbero migliaia di combattenti delle FARC e anche dell’ELN in Venezuela. In un solo accampamento ci sarebbero addirittura 1.500 guerriglieri. Probabilmente alcuni militanti delle FARC, che hanno conosciuto negli ultimi tempi alcune pesanti sconfitte, si sono rifugiati oltre confine per sfuggire a una politica di accerchiamento e di sterminio.
L’11 luglio ad esempio aerei della Forza Aerea colombiana hanno bombardato prima dell’alba un accampamento delle FARC vicino al municipio di Planadas, nella provincia di Tolima, uccidendo tutti e 12 i guerriglieri, praticamente quanto rimaneva della Colonna mobile “Eroi di Marquetalia”, alla testa della quale era Angie Marin, nome di battaglia Mayerly, una combattente molto vicina all’attuale capo delle FARC, Alfonso Cano. Era l’ultima di 7 comandanti (su 11) uccisi negli ultimi otto mesi. Il governo ha annunciato però che in tutto solo un centinaio di membri delle FARC sono caduti in combattimento (o piuttosto sterminati da bombardamenti aerei molto efficaci, anche perché guidati a volte da consiglieri israeliani).
Solo un centinaio! Un numero irrisorio rispetto a quelli annunciati in un recente passato, che però spacciavano spesso per guerriglieri dei ragazzi catturati a caso e rivestiti con una uniforme prima di assassinarli per intascare i cospicui premi previsti dal governo per questi “successi” (lo scandalo suscitato da mogli e madri coraggiose ha bloccato per ora questa turpe e criminale mistificazione). Un numero che rende però a maggior ragione inverosimile quello denunciato da Uribe.
Per giunta è ben noto che i rapporti tra Chávez e la FARC non erano mai stati molto buoni, ed erano peggiorati quando il presidente venezuelano aveva chiesto loro non solo di rinunciare ai rapimenti e alla cattura di ostaggi, ma anche di deporre le armi (cosa assai rischiosa in un paese in cui ogni accordo con organizzazioni guerrigliere si è concluso con centinaia di assassinii nel giro di pochissimo tempo). Per giunta tanto le FARC che l’ELN sono in lotta dal lontano 1964, quando Chávez era appena un bambino. Queste organizzazioni hanno fatto errori, ma hanno un radicamento reale e non sono mai state manovrate dall’esterno.
Giustamente Chávez si è preoccupato per la falsa accusa di Uribe, e ha mobilitato una parte dell’esercito alla frontiera tra i due paesi. Un esercito, comunque, che non è mai stato molto ben disposto verso le FARC, e che aveva a suo tempo lasciato rapire dai servizi colombiani uno dei dirigenti guerriglieri che si trovava per sondaggi e relazioni pubbliche a Caracas; analogamente l’esercito ecuadoriano aveva avuto un ruolo ambiguo al momento dell’incursione colombiana che aveva ucciso in territorio ecuadoriano (appena a 1800 metri dalla frontiera) Raúl Reyes, “ministro degli esteri” e numero due delle FARC, insieme ad alcuni giornalisti e ricercatori messicani.
Questa crisi è apparsa preoccupante per molte ragioni: prima di tutto è diminuito da tempo il pericolo delle FARC, che resistono e non scompaiono, ma sono in forte difficoltà momentanea; inoltre tutti conoscono le polemiche aperte con le FARC fatte da Chávez ma anche dal presunto suo “cattivo maestro” Fidel Castro.
Nel migliore dei casi, Uribe cerca di mettere in difficoltà Chávez e il PSUV a pochi mesi dalle difficili elezioni di settembre: infatti il Venezuela, dove già si registrano inquietanti aumenti dei prezzi che generano inevitabili malcontenti, dipende dalla Colombia per la maggior parte dei generi alimentari importati. È vero che la Colombia ha a sua volta bisogno del petrolio venezuelano, ma non ha scadenze elettorali imminenti e potrebbe trovare momentaneamente anche altri fornitori, grazie alla protezione degli Stati Uniti.
In sostanza la provocazione di Uribe, oltre a lasciare un fatto compiuto al successore Juan Manuel Santos, che entrerà in carica il 7 agosto, potrebbe servire a creare gravi problemi al Venezuela, anche senza arrivare per ora a incursioni militari concordate con gli Stati Uniti, come temuto da vari esponenti politici di Caracas, che pensano a un aggressione come quella di Israele a Gaza prima dell’insediamento del nuovo presidente.
Particolare sospetto desta poi l’inserimento del Costa Rica nel progetto degli Stati Uniti di estendere ad altri paesi il Plan Colombia col pretesto della “lotta al narcotraffico”. Dal 1° luglio il governo del Costa Rica ha autorizzato l’entrata di 46 navi da guerra e di 7.000 marines sul suo territorio. A caccia di narcotrafficanti con le navi da guerra? Chi può crederci? È evidente che il Venezuela si sente minacciato.
A questo ha risposto efficacemente Noam Chomsky, che nonostante i suoi 81 anni si è recato nella Valle colombiana del Cauca per incontrarsi con la popolazione locale, che ha voluto ribattezzare col nome di Carolina (la moglie di Chomsky, morta di recente) il monte El Bosque. In Colombia molti conoscevano Chomsky anche grazie al lavoro di sua figlia, impegnata nella lotta contro le compagnie minerarie.
Dopo aver espresso nuovamente un severo giudizio su Obama, che considera molto simile a George W. Bush, tranne che per la retorica, il grande linguista e combattente antimperialista ha denunciato che la Colombia detiene oggi, grazie all’interventismo statunitense, il record delle violazioni dei diritti umani, e ha poi detto seccamente che il narcotraffico non è tanto un problema della Colombia, quanto degli Stati Uniti: “immaginatevi che la Colombia decida di fumigare la Carolina del Nord o il Kentucky, dove si coltiva il tabacco, che provoca più morti della cocaina”…, ha concluso col suo solito spirito provocatorio.
Gli Stati Uniti, per il momento, hanno “deplorato” la rottura tra i due paesi (tanto più che formalmente è stato il Venezuela a prendere l’iniziativa), e così ha fatto il presidente dell’Uruguay (ex tupamaro pentito) José “Pepe” Mujica. In ogni caso si sono mossi anche Lula e l’ex presidente argentino Néstor Kirchner, segretario generale dell’UNASUR, l’organizzazione dell’America Latina contrapposta all’OSA, che hanno chiamato Chávez.
Il quale, per ora, continua a sfidare tutti i nemici, aprendo un fronte anche con la Chiesa cattolica con un pesante attacco al cardinale Jorge Urosa Savino, arcivescovo di Caracas, definito troglodita per le sue idee anticomuniste, e di cui ha chiesto l’allontanamento al Nunzio apostolico Pietro Parolin…
Ma sulla scena ci sono anche altri protagonisti, come il vicepresidente eletto a fianco di Santos, Angelino Garzón, che veniva accreditato per il suo passato di sinistra come un possibile negoziatore con le FARC, che ha fatto però solo una blanda dichiarazione genericamente distensiva.
Si sono invece mossi anche esponenti del padronato venezuelano, preoccupati per le conseguenze della rottura tra i due paesi: da quando sono cominciate le tensioni, si sono già persi molti posti di lavoro nelle regioni confinanti, come lo Stato venezuelano di Tachira (25.000) e il dipartimento colombiano Norte de Santander (35.000). Ma più in generale il commercio bilaterale si è ridotto nell’ultimo anno da 7 miliardi di dollari a 1 miliardo e 200 milioni.
Non è difficile immaginare che questa vicenda sarà al centro della campagna elettorale che culminerà il 26 settembre, tra due mesi, con l’elezione dell’Asamblea Nacional.