Quel che insegna la crisi greca
In queste ultime settimane si sono dette molte cose sulla crisi greca, dalle più indigeribili [1] alle più confuse. Il risultato è una serie di argomenti buoni per ogni occasione. I media si sono fatti eco della versione ufficiale, riassumibile in cinque punti:
1) la Grecia ha imbrogliato per nascondere un debito pubblico “insostenibile”;
2) come altri paesi della zona euro, la Grecia sta per sospendere i pagamenti;
3) l’Unione europea si rende conto della situazione, ma non può fare altro che incoraggiare il ricorso a misure rigorose e chiedere che il paese venga messo sotto tutela;
4) la Grecia deve adottare misure d’austerità che le permettano di ridurre il debito pubblico;
5) per i paesi sviluppati, uscire dalla crisi significa adottare piani d’austerità comuni.
È opportuno decodificare il messaggio, destinato in effetti a tutti i paesi nordeuropei
1) la Grecia ha imbrogliato per nascondere un debito pubblico “insostenibile”
È vero, ed è una prova che lo Stato è pervaso dalla corruzione e dall’abitudine ad aggiustarsi le cose tra amici. Sembra accertato che, grazie a complessi meccanismi finanziari (swap e cambi) e a un prestito mascherato, la banca statunitense Goldman Sachs abbia permesso al governo greco di ridurre fittiziamente di oltre 2 miliardi di euro il proprio debito pubblico [2] e di entrare così nella zona euro.
Ed è chiaro che i governi al potere dopo il 2001 hanno chiuso gli occhi su questa falsificazione dei conti. Ma la Grecia non è sola, e altri paesi della zona euro hanno spregiudicatamente manipolato i conti. Nel 1996 l’Italia ha ridotto artificialmente il suo deficit grazie a uno swap con la banca J.P.Morgan, e in seguito Berlusconi ha ceduto a una società finanziaria i diritti di entrata ai musei nazionali in cambio di 10 miliardi di euro, rimborsando 1,5 miliardi all’anno per 10 anni. Dal suo canto, nel 2000 la Francia ha lanciato vari prestiti, inserendo in bilancio il rimborso degl’interessi alla fine dei 14 anni di durata. Nel 2004, Goldman Sachs e Deutsche Bank hanno realizzato per conto della Germania una costruzione finanziaria (Aries Vermoegensverwaltungs), grazie alla quale il paese ha raccolto prestiti a un tasso nettamente superiore a quelli di mercato evitando di far apparire il debito nei conti pubblici [3].
Relativizzare il “pozzo senza fine” della Grecia
La Grecia avrebbe in effetti un deficit del 12,7% e non del 6%, come aveva annunciato il precedente governo, e un debito pubblico pari al 115%. Se facciamo il confronto con altri paesi non è il caso di strapparsi i capelli. Nel 1993 il costo del debito rappresentava il 14% del Pil, oggigiorno solo il 6%! I conti dello stato greco sono ben lungi dall’equilibrio, ma sono meno degradati rispetto ad altri paesi nordeuropei. (Tabella 1 )
La Commissione europea non può dare lezioni alla Grecia
Già nel 2001 la Commissione europea non poteva ignorare la scarsa affidabilità dei conti presentati dalla Grecia; sarebbe bastato gettare uno sguardo ai conti delle amministrazioni centrali del paese per conoscere con buona approssimazione il deficit permanente dello stato, osservare il moltiplicarsi degli acquisti di armi e il costo dei Giochi olimpici 2004 e confrontarne il costo con le disponibilità di bilancio e le riserve della Banca centrale greca per capire che il debito ufficiale (manipolato per poter entrare nella zona euro) non era certo quello dichiarato. La Commissione non poteva ignorare la situazione reale, ma in effetti non voleva denunciarla; per motivi politici e geostrategici aveva bisogno d’integrare il paese nella zona euro. Nel 2001, i più accesi sostenitori della Grecia sono stati la Francia (secondo fornitore di armi in ordine d’importanza) e la Germania; le banche dei due paesi possiedono oggi l’80% del debito ellenico.
Nemmeno Eurostat ha il diritto di dare lezioni
Secondo Bloomberg, Eurostat era perfettamente al corrente dell’operazione. In nome di regole contabili molto “comode”, l’istituto statistico dell’Ue non tiene conto nel calcolo del debito pubblico dei miliardi di euro offerti alle banche senza garanzie, nel quadro dei piani di salvataggio (decisione Sec del giugno 2009), e le sottoscrizioni lanciate dagli stati (“grandi prestiti” francesi, prestiti greci e portoghesi).
Ma i contribuenti (quelli che non possono profittare delle riduzioni fiscali accordate alle classi ricche) saranno obbligati a coprire, in un modo o nell’altro, le somme erogate.
Fino a che punto fidarsi delle agenzie di rating?
C’è poco da fidarsi di istituzioni che davano il massimo punteggio a Lehman Brothers tre giorni prima che fallisse e una triplice A ai subprime! Eppure queste agenzie “cosi preveggenti” fanno il bello e il cattivo tempo nei mercati finanziari, anche in quelli non regolamentati (gli Otc, Over The Counter: ad esempio i mercati dei Cds, i Credits Default Swaps) e sono strettamente legate alle banche anglosassoni (in particolare Goldman Sachs e Citibank).
Le agenzie non usano sfere di cristallo ma dati forniti da chi emette il prestito analizzato o da chi lo distribuisce sui mercati. Nel caso di cui ci occupiamo, hanno abbassato la valutazione dei prestiti dello stato greco solo dopo che il nuovo governo aveva loro fornito dati aggiornati.
2) Come altri paesi della zona euro, la Grecia sta per sospendere i pagamenti
Il messaggio ha soprattutto uno scopo: far aumentare i tassi d’interesse (premio di rischio), e dunque i profitti, dei prestatori (tra cui Goldman Sachs e gli hedge fund). Il prestito greco è stato così negoziato al 6,40%, il doppio di quello che un prestatore avrebbe potuto sperare. E si noti che al momento dell’asta le richieste sono state il triplo di quanto previsto inizialmente [4] . Una bella smentita per un paese considerato “sul punto di sospendere i pagamenti”. L’ideologia dominante tende a confrontare la situazione del bilancio statale con quello di una famiglia o di un’azienda, il che non ha alcun senso. Uno Stato, a differenza di una famiglia o di un’azienda, può sempre aumentare le entrate grazie a nuove tasse. Si tratta di una differenza fondamentale che rende assurdo un paragone del genere. Lo stato americano esiste da 221 anni, e sta aumentando il suo debito dal 1837, cioè da 173 anni di seguito [5].
Il secondo obiettivo del ragionamento è quello di preparare l’opinione pubblica ad accettare una cura a base di regressione sociale e austerità. Il governo ellenico ha efficaci strumenti per procedere a una radicale riforma della fiscalità, abolire i regali fiscali e sociali fatti alle classi ricche e alle società, imporre tasse sui capitali e i redditi; in poche parole, per aumentare le sue entrate e ripianare il deficit di bilancio. Si tratta di una scelta squisitamente politica che il Pasok (il partito socialista locale) preferisce non fare perché è fondamentalmente d’accordo con i principi del neoliberalismo: il mondo greco è e deve restare un’economia di mercato neoliberale! Le politiche pubbliche adottate da oramai molti anni dai successivi governi ellenici hanno aumentato il deficit pubblico e la massa del debito pubblico. L’ingresso nella zona euro (2001) non ha fatto che ampliare il fenomeno (cfr. tabelle 2, 3 e 4 ).
3) L’Unione europea si rende conto della situazione, ma non può fare altro che incoraggiare il ricorso a misure rigorose e chiedere che il paese venga messo sotto tutela
La Banca centrale europea (Bce) non ha il diritto di concedere prestiti agli Stati membri!
Nel 2008/2009, la Banca centrale europea ha concesso prestiti massicci alle banche private per salvarle dal fallimento, ma non è autorizzata a intervenire a favore dei poteri pubblici degli Stati membri. È il colmo!
L’articolo 123 del Trattato di Lisbona interdice alla Bce e alle banche centrali degli Stati membri la concessione «di scoperti di conto o di altre facilitazioni creditizie a …amministrazioni statali, altri organismi di diritto pubblico o a imprese pubbliche degli Stati membri così come l’acquisto diretto di titoli di debito… ».
Dunque, nessuna acquisizione “diretta” (non aiuti di stato) , ma prestiti preferenziali alle banche, che concedono in garanzia… titoli obbligazionari degli Stati (tra cui la Grecia).
Che bel meccanismo ipocrita, quello previsto dal Trattato di Lisbona!
Nemmeno la Banca europea per gl’investimenti, il cui comportamento immorale verso i paesi in via di sviluppo è ben noto [6], può finanziare il deficit greco. In teoria è così, ma in realtà finanzia investimenti molto discutibili che approfondiscono il deficit e aumentano il debito pubblico, come ad esempio i Giochi olimpici 2004, il cui costo totale è ancora ignoto (lo si stima tra i 20 e i 30 miliardi di euro).
4) La Grecia deve adottare misure d’austerità che le permettano di ridurre il debito pubblico
Ecco dove vogliono arrivare i responsabili del capitalismo economico e finanziario! Prendendo come scusa un debito pubblico considerato “insostenibile”, il governo impone alla popolazione, in nome del risanamento finanziario, una cura di austerità senza precedenti: niente misure di rilancio, congelamento dei salari dei funzionari nel 2010, riduzione del 10% dei premi e del 30% delle ore supplementari nella funzione pubblica, del 10% delle spese pubbliche (tra l’altro 100 milioni di euro per l’insegnamento), riduzione delle spese sanitarie, prolungamento di 2 anni dell’età di pensionamento che arriva così a 63 anni), blocco delle assunzioni, riduzione dei Ctd nella funzione pubblica, aumento delle tasse sui carburanti, il tabacco e i gsm, aumento di 2 punti dell’Iva…
E l’Ue chiede di più, ed esige riforme strutturali che toccano l’insieme delle amministrazioni, la liberalizzazione del mercato interno, la flessibilità lavorativa, la riforma radicale delle pensioni e del sistema sanitario…
Per dirla tutta, secondo le previsioni della Deutsche Bank il popolo greco deve attendersi a beve termine un tasso di disoccupazione di almeno il 15% e una riduzione del Pil del 7,5%.
Eppure esistono alternative di bilancio interne!
Il risparmio che si spera di ottenere con il piano d’austerità ammonta a circa 5 miliardi di euro. Ma esistono varie alternative! Ad esempio, con 9,642 miliardi di dollari (nel 2006) [7] la percentuale del Pil destinata alle spese militari è la più alta tra i paesi dell’Ue. Nel 2008 il paese era al primo posto in Europa, con il 2,8% del Pil destinato all’acquisto di armi (e la cifra non include tutte le spese militari [8]); si tratta di un peso considerevole per il bilancio statale che va ad esclusivo vantaggio delle industrie belliche statunitensi ed europee. Inoltre la flotta commerciale greca, al primo posto al mondo con oltre 4000 navi, sottrae ogni anno allo stato circa 6 miliardi d’euro in Iva, grazie a una serie di vantaggiosi meccanismi finanziari.
La maggioranza delle grandi società ha trasferito gli attivi in società off-shore cipriote (dove il tasso d’imposizione fiscale è del 10%). La chiesa greco-ortodossa è esentata dal pagamento delle imposte, anche se è tra i maggiori proprietari immobiliari del paese.
Le banche hanno ricevuto 28 miliardi di euro di fondi pubblici nel quadro del piano di salvataggio, senza alcuna contropartita, e adesso speculano impunemente contro il debito pubblico.
Esistono dunque i mezzi per agire in modo diverso, mezzi che richiederebbero una riforma totale del sistema fiscale; il governo Pasok, al servizio dei capitalisti, ha però scelto di lasciare le cose come sono e far pagare ai poveri per restare nella zona euro, peraltro fonte di deregolamentazione e perdita di sovranità nazionale, in nome della “concorrenza libera e non falsata”.
5) Per i paesi sviluppati, uscire dalla crisi significa adottare piani d’austerità comuni.
In tutti i paesi sviluppati governo e media ripetono lo stesso messaggio: in Portogallo, dove il governo ha lanciato un vasto programma di privatizzazione dei servizi pubblici, in Spagna, invischiata nella crisi immobiliare e con un tasso di disoccupazione che sfiora il 20%, in Irlanda, il cui deficit di bilancio si avvicina a quello greco, in Italia, che con un debito pubblico pari al 127% del Pil vanta il primato in Europa, o ancora nel Regno Unito, il cui deficit supera oramai il 14,5%.
E anche gli altri paesi devono aspettarsi di subire la stessa sorte. I progetti di riforma dei regimi pensionistici, dei sistemi sanitari e dei regimi di protezione sociale sono già all’opera un poco dappertutto.
Una cosa è sicura: i fondi pubblici, che le grandi banche hanno ottenuto a tassi esigui dalla Banca centrale europea, non andranno alle famiglie o alle imprese; nel 2009, i crediti sono crollati dappertutto in Europa. I soldi vanno e continueranno ad andare alla speculazione del “rischio sovrano”, il debito pubblico. Oggi la Grecia; domani il Portogallo, la Spagna, l’Italia, l’Irlanda; dopodomani il Belgio e la Francia… La zona euro è a pezzi e mostra il suo vero volto: un sistema costruito per le economie più ricche a spesa di quelle più povere.
Conclusioni provvisorie e sei proposte
L’Unione europea ha fallito sul piano politico: con una moneta comune ma una concorrenza fiscale e sociale tra gli Stati membri, con un mercato comune senza meccanismi di trasferimento delle risorse dai ricchi verso i poveri, con un dogma neoliberalista che schiaccia i popoli, è incapace di dare una risposta alla crisi che imperversa.
La gente comincia invece a organizzare una risposta e si mobilita. I due massicci scioperi generali e ravvicinati in Grecia, le manifestazioni oceaniche nella maggior parte delle grandi città, il rifiuto (al 93%) degl’islandesi di pagare i debiti privati previsti dalla legge Icesave [9], le impressionanti manifestazioni in Portogallo, e quelle del 23 marzo in Francia che marcano l’inizio di un 3° turno sociale: l’opposizione alza la testa in Europa e diffonde il rifiuto dei salariati, dei pensionati e dei poveri di pagare il conto della crisi. Quel che manca, oltre al superamento della compartimentazione delle manifestazioni, è una proposta che leghi la risposta sociale e quelle politica. I movimenti sociali hanno bisogno di proporre elementi di programma alternativi per rispondere alla crisi del sistema, difendendo e allargando i diritti collettivi contro la logica della valorizzazione del capitale.
Il punto centrale sottolineato da queste “crisi-pretesto” sul debito pubblico al Nord concerne una diversa ripartizione delle ricchezze, e a tal fine bisogna agire su due fronti: aumentare i salari con prelievi sui dividendi e operare una riforma fiscale di grande portata.
Un aumento dei salari ridurrebbe l’indebitamento delle famiglie e aprirebbe nuovi sbocchi alla produzione di beni e servizi.
Bisogna anche ridurre radicalmente i tempi di lavoro a parità di salario, e procedere a reclutamenti supplementari. In tal modo si rimedierebbe al problema della disoccupazione, a quello del finanziamento dell’assistenza sociale e alla scarsità di attività ludiche per chi lavora.
Una riforma fiscale armonizzata a livello europeo permetterebbe di annullare i numerosi rifugi fiscali, ristabilire una fiscalità progressiva per tutti i redditi (imposte sui redditi e sulle società), ridurre o sopprimere le imposte indirette, che colpiscono soprattutto i più poveri (Iva e tasse sui prodotti petroliferi), creare un’imposta eccezionale sui redditi finanziari e sui patrimoni dei creditori, senza dimenticare la tassazione degli altri redditi da capitale e immobiliari.
Una politica di bilancio sana dovrebbe anche annullare le numerose esenzioni al pagamento degli oneri sociali concesse alle aziende e aumentare i contributi dei datori di lavoro, garantendo in questo modo lo sviluppo della protezione sociale per tutti e un corretto livello delle pensioni.
Per finire, il sistema finanziario ha ben dimostrato la sua nocività sociale. Bisogna espropriare le banche e gli altri organismi finanziari, trasferirli nell’area pubblica e farle controllare dai cittadini, procedendo anche a un audit del debito pubblico per valutarne la legittimità (cosa è stato finanziato?).
Cominciamo un dibattito sulle proposte per stabilire una lista di rivendicazioni.
vicepresidente del CADTM (Francia)
[2] «Con la complicità di Godman Sachs, ha abbellito la presentazione dei conti, ed è questo che le si rimprovera. Eppure si tratta di una manovra marginale. Le transazioni del 2001 incriminate avrebbero ridotto il debito greco di 2.367 miliardi di euro, facendolo passare da 105,3% al 103,7% del PIL” http://www.irefeurope.org/content/le-masque-grec
[3] http://www.lexpansion.com/Services/imprimer.asp?idc=226849&pg=0
[4] Comunicato dell’Afp del 4 marzo 2010
[5] «Smettiamola di paragonare il bilancio del governo a quello delle famiglie», di Randall Wray, http://contreinfo.info/article.php3?id_article=2976
[6] Sul sito Amici della terra: http://www.amisdelaterre.org/-Banque-europeenne-d-investissement.html
[7] Spese militari globali: www.julg7.com
[8] Fonte Nato: http://www.nato.int/docu/pr/2009/p09-009.pdf
[9] Cfr. Olivier Bonfond, Jérôme Duval, Damien Millet « Ouf ! les Islandais ont dit massivement ‘non’ » http://www.cadtm.org/Ouf-les-Islandais-ont-dit