Quello che serve contro la manovra
La manovra economica varata dal governo italiano è stata commentata e discussa da tutti. Dalla Banca centrale che l’ha ordinata e quindi approvata – salvo poi intervenire di nuovo non appena i titoli di Stato saranno di nuovo sotto attacco. Dalla Confindustria, che vorrebbe di più ma intanto si è accontentata di quello che passa il convento. Da Cisl e Uil che nonostante qualche critica si sono dette soddisfatte. Dalla Cgil, che disapprova ma che ha dato, con la firma dell’accordo del 28 giugno, una mano al governo per insidiare l’articolo 18. E’ stata poi osteggiata dal Pd che ha preparato un piano alternativo che tanto alternativo non è.
L’unico soggetto che non si è ancora pronunciato con una forza pari agli altri attori in campo o che lo ha fatto in forma parziale, divisa e, quindi, invisibile, è il molteplice mondo dell’anticapitalismo con le sue diverse gradazioni e collocazioni. Certo, si tratta di un insieme piuttosto indebolito, privo di un soggetto politico di riferimento, senza una struttura sindacale adeguata, con pochi mezzi e poche voci. Ma il silenzio di cui parliamo è sovradimensionato rispetto alle possibilità e costituisce, in fondo, una cartina al tornasole della difficoltà attuale e della necessità più immediata. L’urgenza dello scontro in atto – la manovra appena varata subito dopo quella di giugno è la peggiore mai vista – non lascia spazio a tentennamenti: di fronte a un attacco così potente ai diritti e alle condizioni di vita di tanti giovani, donne, lavoratori e lavoratrici, anziani e pensionati, la resistenza o è una cosa seria oppure non produrrà risultati. E oggi di serio ci sarebbe solo un vero e proprio “patto” politico e sociale siglato dalle mille anime che affollano lo spazio di un anticapitalismo più o meno dichiarato. Le forze della sinistra di classe, tutte; il sindacalismo conflittuale, tutto; il movimento studentesco e quello delle donne, i movimenti ambientalisti e di difesa del territorio, l’associazionismo variamente collocato, la cittadinanza attiva, i comitati territoriali.
Abbiamo appena letto invece, della decisione della Fiom di “occupare” le piazze di Roma intorno al 5 e 6 settembre. Poco prima abbiamo saputo che una parte del “movimento viola” occuperà piazza San Giovanni il 10 e 11 settembre. L’Usb ha già proclamato uno sciopero per il 9 settembre. Altre scadenze saranno certamente comunicate dai giornali o dalla rete. Ognuno si muove obbedendo al proprio, legittimo, percorso. Eppure, solo qualche settimana fa, molte di queste realtà si sono viste a Genova, nel corso del decennale di luglio, in una assemblea conclusiva in cui, nonostante fosse chiara la portata della crisi e degli attacchi prevedibili, nessuno e nessuna ha fatto cenno di mobilitazioni unitarie. E tutti questi soggetti si conoscono e sono ben consapevoli della drammaticità della situazione.
In realtà, in questi giorni un fatto politico che darebbe risultati e produrrebbe un’iniziativa sarebbe poter vedere le varie realtà politiche, sindacali, sociali, riunirsi d’urgenza, sedersi attorno a un tavolo e siglare, né più né meno, un Patto d’azione: ribellarsi alla dittatura dei mercati e allo spirito bipartisan – dal Pdl al capo dello Stato passando ovviamente per il Pd – che gli si subordina, definire una piattaforma minima comune, di rivendicazioni, proporsi di coordinare, collettivamente e consensualmente, un’agenda di iniziative comuni. Senza la gara di chi occupa per primo la piazza o di chi la spara più grossa. Siccome non siamo del tutto ingenui sappiamo bene perché non si realizza: c’è chi aspetta lo sciopero della Cgil, chi le mosse del Pd e le conseguenti alleanze elettorali, chi pensa alla sopravvivenza della propria organizzazione. Un passo in una direzione giusta e utile è stato fatto dall’appello “Dobbiamo fermarli” che però ha convocato la propria assemblea il 1 ottobre, forse troppo in là rispetto all’emergenza in atto. Ma servirebbe qualcosa di più. Una iniziativa unitaria, per quanto difficile e improbabile, andrebbe tentata. Se non altro per poter giustificare tutto l’allarme che sentiamo in questi giorni.