Rosarno, le ragioni dei migranti
AgenziAmi
Rosarno, 30 arresti per caporalato
Sono state le testimonianze raccolte dai funzionari dell’organizzazione internazionale per l’immigrazione (Oim) a dare una svolta importante all’indagine “Migrates” contro il caporalato a Rosarno. Il personale dell’Oim ha raccolto nei centri di accoglienza di Crotone e Bari le testimonianze degli immigrati ed ha poi riferito agli investigatori quanto appreso. Polizia, carabinieri e guardia di finanza hanno successivamente sviluppato le informazioni ricevute intensificando l’attività investigativa che stamani ha portato all’arresto di trenta persone. Gli agenti della squadra mobile di Reggio Calabria ha intanto rintracciato a Casal di Principe (Caserta) una delle nove persone destinatarie dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere. Si tratta di Brahim Bakar, di 22 anni, che è stato arrestato. Agli immigrati clandestini che hanno collaborato con gli investigatori per individuare la rete di caporali è stata concesso un permesso di soggiorno che gli consentirà di restare nel territorio italiano.
Lo sfruttamento dei braccianti
Dalla testimonianza di una quindicina di stranieri che lavoravano nella piana di Gioia Tauro è emerso finalmente come veniva reclutata e sfruttata la manodopera in agricoltura. I braccianti stranieri impiegati a Rosarno nella raccolta degli agrumi percepivano 22 euro al giorno per lavorare dalle 10 alle 14 ore. I datori di lavoro pagavano 1 euro a cassetta per la raccolta dei mandarini e 50 centesimi per le arance. I caporali, a loro volta, incassavano la somma di 10 euro su ogni lavoratore e tre euro da ogni immigrato per accompagnarli nei luoghi di lavoro. Gli immigrati che si ribellavano a queste condizioni venivano minacciati di morte e spesso anche aggrediti fisicamente.
La rivolta di gennaio a Rosarno
lo sfruttamento prolungato ha portato alla rivolta avvenuta nel gennaio scorso a Rosarno dove per giorni ci furono momenti di alta tensione tra immigrati e rosarnesi. Ad aggravare la situazione ci furono poi le condizioni disumane in cui vivevano gli immigrati. Fino all’inizio dell’anno, infatti, nella piana di Gioia Tauro vivevano 2.500 stranieri che avevano occupato i casolari abbandonati della zona ed una ex fabbrica di Rosarno. Dopo la rivolta la gran parte degli stranieri è stata trasferita nei centri di accoglienza di Bari e Crotone ed altri volontariamente si allontanarono da Crotone.
Intercettazioni ambientali
Dall’inizio delle indagini gli investigatori hanno compiuto numerose intercettazioni ambientali e telefoniche che hanno portato a ricostruire una fitta rete di persone, molte delle quali straniere, che si occupavano del collocamento illegale della manodopera. Dalle indagini patrimoniali nei confronti degli imprenditori agricoli sono state scoperte anche truffe ai danni degli enti previdenziali. E proprio per questo motivo che il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Palmi ha disposto il sequestro di venti aziende e duecento terreni per un valore complessivo di circa 10 milioni di euro.
Il 1° maggio 2010 a Rosarno
L’operazione contro il caporalato arriva a pochi giorni di distanza dalla festa del primo maggio che quest’anno sarà celebrata a Rosarno proprio perchè Cgil, Cisl e Uil hanno deciso di lanciare un messaggio in favore della legalità. Ed è il segretario della Cgil, Guglielmo Epifani, a ricordare che la decisione di far svolgere la manifestazione a Rosarno è stata presa proprio per «affermare il principio di rispetto per chi lavora spesso in condizioni di schiavitù».
Il Fatto quotidiano
Lazio: Polverini e Cetica, storia di un patto inconfessabile
di Marco Lillo
Ci sono carriere costruite sui discorsi fatti e altre che si basano sulle cose mai dette. È difficile capire a quale categoria appartenga il neo-assessore laziale Stefano Cetica fino a quando – insieme alla sua presidente Renata Polverini – non spiegherà all’opinione pubblica una vecchia storia di biancheria intima, informatica e sindacato. Il presidente della Regione ha preteso per l’ex compagno dell’Ugl il ruolo più delicato della Giunta ma proprio la vecchia militanza sindacale rischia di gettare un’ombra sulla scelta. Dal 1999 al 2006, Stefano Cetica era il leader del sindacato di destra. Renata scalpitava ma solo nel 2006, Cetica le ha lasciato strada rimanendo come presidente. Prima della staffetta tra i due c’era stata una lotta senza esclusione di colpi. Un anno dopo l’insediamento, Cetica si trova di fronte un’agguerrita fronda interna che punta sulla giovane Polverini per scalzarlo. Lui reagisce brandendo la questione morale.
Nel documento si punta il dito contro Renata Polverini e il suo amico Rolando Vicari, segretario dei forestali. Ecco cosa scriveva Cetica: “Esiste nell’Ugl una questione morale? Esiste o è esistita una gestione paternalistica, discrezionale, talora sconsiderata delle risorse del sindacato? Dobbiamo rispondere a queste domande prima di arrivare alla scadenza congressuale”. Poi Cetica entra nel vivo: “faccio alcuni esempi. Se solo nel 1997 il Caaf dell’Ugl ha conferito un appalto di 240 milioni di lire alla società Tavani Srl per forniture presumibilmente di servizi informatici, credo sia mio dovere capire fino in fondo le ragioni di questo importante rapporto economico. Anche perché la Tavani Srl è l’evoluzione della Alisan Srl, amministrata dalla signora Giovanna Sensi fortunata madre del segretario confederale Renata Polverini. Inoltre, fatto ancor più strano, la società”, prosegue l’allora leader Ugl Cetica, “aveva ampliato proprio nel 1997 la sua attività all’informatica: prima si occupava del commercio e della vendita dell’abbigliamento, maglieria e biancheria intima. Il nostro Caaf”, proseguiva ironico, “ha avuto subito una grande fiducia nel destino informatico della Tavani Srl, affidandogli (sic) un appalto di rilevanza davvero notevole, anche considerando le esigenze effettive della struttura. Nulla esclude che a tutto ciò ci sia una spiegazione plausibile, a parte il comune buonsenso; tuttavia una spiegazione deve essere data”.
Poi Cetica passava a Rolando Vicari, il segretario dei forestali Ugl con la passione del mattone. Nel 2007 Renata Polverini proprio a lui cederà a un prezzo stracciato un bell’appartamento con box di ampia metratura all’Eur, acquistato con lo sconto dall’Inpdap. A Vicari, nel 2000, Cetica rinfacciava di avere ceduto nel 1998 a soli 300 milioni un’immobile pagato 430 milioni di lire nel 1988 “dalla Centro Alfa, società strumentale legata all’Ugl” a una società dei figli di Vicari stesso. “Anche in questo caso”, scriveva Cetica, “è necessario chiarire ogni responsabilità”.
Il documento era diretto a tutti i segretari di categoria e territoriali e al consiglio nazionale. Ma al Fatto risulta che non fu mai spedito. Dopo una circolazione ristretta tra i dirigenti, tornò nel cassetto. Cosa accadde dopo? Polverini e Vicari rientrarono nei ranghi. Il 17 luglio 2000, cinque mesi dopo la lettera, Renata Polverini cede le sue quote sociali della Alisan e la mamma ne lascia l’amministrazione. E Cetica rimane segretario per altri sei anni.
La scelta di non andare allo scontro finale ha pagato per entrambi. Oggi Polverini e Cetica sono presidente e assessore al bilancio della terza regione italiana. Certamente Cetica avrà avuto delle risposte esaurienti alle sue domande del 2000. Ma non sarebbe male se le rendesse pubbliche a beneficio di 5 milioni di cittadini laziali che alla coppia di ex sindacalisti affideranno i soldi delle loro tasse. Anche a loro, come diceva Cetica: “una spiegazione deve esser data”.
Liberazione
Più di centomila firme per riprendersi l’acqua
Checchino Antonini
Più di centomila firme nelle prime 48 ore di raccolta. Più del doppio dell’obiettivo che il comitato promotore dei tre referendum per l’acqua pubblica s’era prefisso. Inutile cercare la notizia sulle testate più blasonate. E’ un successo dovuto al tam-tam tra la rete e i mezzi di informazione non omologati (e “Liberazione”è parte del comitato promotore assieme al “manifesto”). Ovunque siano stati issati i gazebo, tra sabato e domenica, si sono registrate code di cittadini decisi a liberare l’acqua dal mercato e dal profitto. Per sempre. La coincidenza della festa della Liberazione è stata quantomai suggestiva: la resistenza, oggi, è resistenza al liberismo e si comincia dai beni comuni. Un discorso pubblico cominciato con i forum sociali e che sembrava essersi perso nel declino della sinistra. Invece rispunta, come la vecchia talpa.
Lo «straordinario risultato – commenta Paolo Ferrero, portavoce della Federazione della sinistra – è stato reso possibile dall’impegno di migliaia di comitati e associazioni e dall’impegno dei partiti della sinistra di alternativa. Se continuerà così, il risultato obbligherà il governo a cambiare la sua agenda politica tutta tesa alle privatizzazioni e a scaricare i costi
della crisi sugli strati sociali più deboli. Anche alla luce di questo
risultato invitiamo l’Italia dei Valori a ritirare i suoi referendum (come ha fatto la Federazione della Sinistra ha già fatto) per poter concentrare tutta l’attenzione sulla questione dell’acqua pubblica e valorizzare il lavoro dei comitati. I partiti poliici debbono saper ascoltare la società se vogliamo sul serio battere Berlusconi». Ma dal quadro politico giungono segnali contraddittori. Se i socialisti di Nencini arrivano a dire che «non si possono fare profitti a ogni costo su un bene primario come l’acqua e per questo i socialisti sosterranno in ogni comune la raccolta di firme per un referendum contro la privatizzazione delle reti idriche promossa dal Forum dell’Acqua, Bene Comune», il dipietrista Donadi approfitta dell’anniversario di Chernobyl e del proclama Putin Berlsuconi per lanciare il referendum antinucleare ma non fa menzione dell’ambiguo quesito (darebbe libertà di scelta ai comuni) sull’acqua che il suo leader maximo non ha voluto ritirare.
Diecimila firme solo a Roma, Frosinone ha già raggiunto l’obiettivo finale, la Liguria è a metà, la Puglia ne ha raccolte 20mila e Pescara, teatro di una enorme vertenza sull’acqua dai primi anni del secolo ha visto firmare già mille cittadini.
Tutto ciò al termine di una settimana che ha registrato l’approvazione alla Provincia di napoli di un ordine del giorno (16 a 14 e 1 astenuto) presentato da Tommaso Sodano, capogruppo della Federazione della sinistra, in cui si riconosce l’acqua come diritto umano e bene pubblico comune la cui gestione è priva di rilevanza economica. Un modo per provare a scardinare il decreto Ronchi che stabilisce la road map della privatizzazione obbligatoria e definitiva del servizio idrico. Là dove già si toccano con mano gli effetti della privatizzazione, sembra più generalizzato l’afflusso ai gazebo. Un voto storico del nuovo consiglio comunale di Aprilia, dopo sei anni di reti idriche nelle mani di una società mista partecipata dalla multinazionale francese Veolia, ha appena rimesso in discussione la gestione degli impianti di quella importante città del Lazio. Ad Arezzo (altra disastrosa esperienza pilota) di privatizzazione ha firmato anche il sindaco del Pd, Fanfani, assieme a un migliaio di suoi concittadini che hanno partecipato all’avvio della campagna assieme al missionario comboniano Alex Zanotelli. Sul fronte opposto va preso atto della scalata di Caltagirone in Acea dove il palazzinaro romano supera il 10% e scavalca i francesi di Gdf-Suez candidandosi a divenire partner strategico del Campidoglio. Caltagirone possiede un paio di grandi quotidiani e alcune tv. Capito perché centomila persone che firmano per l’acqua pubblica fanno meno notizia di un uovo a Polverini?
Checchino Antonini