Se lo sciopero è contro Morales
L’ex presidente dell’Argentina Nestor Kirchner è stato eletto all’unanimità segretario generale dell’UNASUR, l’organizzazione degli stati “sudamericani”, che si contrappone all’OSA escludendo gli Stati Uniti. L’unanimità è stata ottenuta vincendo (grazie al ruolo di mediazione del Brasile) le resistenze del presidente dell’Uruguay, dovute al contenzioso con l’Argentina per gli impianti di produzione di cellulosa al confine tra i due paesi. L’UNASUR ha ribadito che non accetterà il presidente dell’Honduras Lobo, eletto sotto la protezione dei militari golpisti. È una buona notizia.
Ma sul terreno sociale, in diversi paesi si delineano nuovi problemi. In Bolivia l’annuncio che gli aumenti salariali nel 2010 saranno contenuti per legge entro il 5% ha provocato forti tensioni, scioperi della fame e mobilitazioni non del tutto pacifiche. Una ventina di lavoratori sono stati arrestati in seguito a scontri violenti con la polizia, che li accusa di aver lanciato candelotti di dinamite e molotov contro il ministero del lavoro. La protesta viene definita illegittima dal governo, perché gli aumenti concessi sarebbero già molto superiori all’inflazione, ma la centrale sindacale COB sostiene che il meccanismo di rilevazione dei prezzi è stato modificato recentemente per occultare l’aumento del costo della vita. Il sindacato del settore manifatturiero chiede un aumento de 12%, dimostrando che dal 1999 al 2008 la quota della ricchezza nazionale che va ai lavoratori si è ridotta dal 35 al 25%, mentre quella del padronato è passata dal 52 al 55%, e la quota corrispondente alle imposte versate allo Stato è cresciuta dal 13% al 20%. Il risentimento di molti lavoratori dell’industria (che guadagnano in media cento dollari al mese) si è concentrato sulla ministra del lavoro, Carmen Trujillo, e sul suo predecessore, oggi Direttore nazionale del lavoro, Calixto Chipana, entrambi ex sindacalisti. Altre manifestazioni si sono svolte a Oruro, Tarija, Cochabamba, Santa Cruz, coinvolgendo maestri, operatori sanitari e minatori. Irritazione si è avuta all’annuncio che la Confederazione di imprenditori privati ha invece deciso di accettare la proposta di aumenti salariali fatta dal governo. Viceversa una parte dei lavoratori ha criticato i leader della COB per aver scelto come forma di lotta prevalente lo sciopero della fame, anziché azioni in grado di paralizzare il paese. Peraltro, dato che gli aumenti programmati saranno ridotti al 3 % per militari e poliziotti, che non possono scioperare, si è avuta una situazione insolita: le loro mogli hanno iniziato uno sciopero della fame unendosi alla protesta dei lavoratori.
Per ora la situazione è sotto controllo, anche perché il peso del settore manifatturiero non è molto forte nella Bolivia attuale, e anche quello minerario tradizionale è stato fortemente ridimensionato negli ultimi anni, per l’esaurimento di gran parte delle miniere, diventate poco redditizie, e a volte assegnate a cooperative di lavoratori disposti a spremersi pur di sbarcare il lunario. In ogni caso le tensioni si moltiplicano, anche per questioni apparentemente marginali: un blocco stradale di protesta per la mancata costruzione di un impianto per la trasformazione di agrumi ha provocato un morto e cinquanta feriti a Caranavi, a un centinaio di chilometri a nord di La Paz. I manifestanti hanno attaccato un’azienda di trasporti di un senatore del MAS e hanno bruciato una stazione di polizia, chiedendo poi le dimissioni del ministro dell’Interno Sacha Llorenti. Il vicepresidente Alvaro García Linera, che fa le veci di Evo Morales in viaggio all’estero, ha attaccato duramente la protesta, accusandola di essere “sobillata” dall’ambasciata degli Stati Uniti.
Tuttavia l’eventuale manipolazione dall’esterno non esclude l’origine interna delle tensioni. L’abitudine a bollare come complice dell’imperialismo ogni dissenso è pericolosa, e ha già dato risultati inquietanti nelle elezioni amministrative che si sono tenute il giorno di Pasqua. Il partito di Evo Morales, il Movimiento al Socialismo (MAS), ha subito una forte battuta d’arresto rispetto al clamoroso successo di Evo nelle elezioni presidenziali del 2009. Pur mantenendo un notevole peso ed erodendo anche le posizioni dell’opposizione di destra nelle province in cui è più radicata, il MAS non ha vinto come e dove voleva. Ha perso soprattutto il posto chiave di sindaco di La Paz, con 12 punti di distacco dal vincitore, Luis Revilla, del Movimiento sin Miedo (Movimento senza Paura) che aveva sostenuto Evo fin dal 2005 ed aveva contribuito in modo determinante alla sua elezione. Quando l’MSM aveva cominciato a criticare l’operato del governo, Evo Morales aveva minacciato perfino di far arrestare Del Granado, sindaco uscente di La Paz e principale esponente del MSM, accusandolo di malversazioni e di tradimento. Dopo l’elezione trionfale a sindaco di Luis Revilla, il morale dei simpatizzanti del MAS è crollato. Assurdamente, mentre sembrava ormai possibile sconfiggere l’opposizione di destra, la decisione del MAS di tentare un braccio di ferro con l’MSM ha contribuito a far crescere un’opposizione di sinistra che era perfino impossibile immaginare appena pochi mesi prima. Altro sintomo allarmante, delle 9 più grandi città, il MAS ne conserva solo 2: il MAS ha perso soprattutto alcune importantissime regioni a forte componente indigena, in cui i contadini hanno denunciato che i candidati del MAS erano stati paracadutati da fuori, senza rispettare le decisioni delle comunità.
Avevamo segnalato alcuni problemi analoghi in Venezuela, dove Chávez aveva più volte rotto con alcuni dei suoi sostenitori più critici, circondandosi di esponenti della “boliburguesia”, la nuova borghesia che si dice bolivariana. Alla vigilia delle elezioni che si terranno in settembre, il governo oggi si scontra spesso con i commercianti, che ritengono inapplicabile il prezzo politico della carne e di altri generi alimentari ai prodotti che si trovano sul mercato. Gli arresti di commercianti “speculatori” possono servire per indicare un capro espiatorio, ma non risolvono il grave problema dell’approvvigionamento alimentare del paese, fortemente dipendente dall’estero e quindi dai prezzi del mercato internazionale.
Ultimo dato non rassicurante viene dall’Ecuador, che dopo essersi dotato della più bella costituzione del mondo, con ampi riconoscimenti dei diritti della natura e dell’acqua come bene comune e della “Pachamama”, ha consentito a diverse imprese minerarie di continuare a impossessarsi dell’acqua sottraendola alle comunità indigene.
Il risultato è stata la mobilitazione non solo di singole comunità, ma delle tre maggiori organizzazioni sociali indigene, la CONAIE, la FEINE e la FENOCIN (che raggruppa anche gli afroecuatoriani della costa), che si sono riunite il 6 maggio per chiedere al governo misure legislative per concretizzare i diritti “consacrati nella Costituzione”, e la fine di una politica repressiva che ha colpito con arresti e molti feriti i popoli indigeni in lotta. Nello stesso giorno una forte mobilitazione intorno al Parlamento ha costretto a rinviare l’approvazione di una legge sull’acqua fortemente contestata e che l’opposizione considera anticostituzionale e comunque troppo benevola verso società minerarie e imprese di imbottigliamento di acque minerali.
Altre tensioni ci sono state negli ultimi mesi tra il presidente Correa e Acción Ecológica, che è da sempre fortemente impegnata nella difesa dei diritti dei “popoli in autoisolamento” (come i Tagaeri e Taromenae) di fronte alle prepotenze delle società multinazionali che sfruttano il petrolio distruggendo larghe fasce di foresta amazzonica e minacciando la sopravvivenza di quei popoli. Nel maggio del 2009 il governo aveva tolto ad Acción Ecológica il riconoscimento giuridico, ma dopo una vasta protesta internazionale, in settembre aveva dovuto cancellare il provvedimento. Ma l’episodio aveva lasciato amarezze e rancori.
In questi tre Stati, insomma, che sono certamente la punta più avanzata del processo di trasformazioni e del “risveglio dell’America Latina”, gli Stati Uniti (con il loro prezioso alleato colombiano) sono sicuramente pronti ad approfittare delle contraddizioni interne di ciascun paese (come hanno sempre fatto), ma sarebbe sbagliato ricavarne la conclusione che ogni protesta e ogni rivendicazione va soffocata, o presentata come cosciente complicità col nemico. Al contrario, proprio gli atteggiamenti autoritari o di insofferenza nei confronti delle critiche da sinistra, possono indebolire il fronte e facilitare le manovre dell’avversario.
(a.m. 9/5/10)
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