Spagna 1936: il sogno libertario strangolato da Franco e Stalin
Per poco non s’incontrarono, ottant’anni fa, il regista Armand Guerra e la comandante Mika Etchebéhère, lui anarchico e lei marxista eretica, nella prima tumultuosa fase della guerra civile spagnola di cui parlano nelle loro memorie. Mika, che si trovò, unica donna, alla testa di una colonna del Poum (partito di estrema sinistra con simpatie trotskiste) dopo la morte in battaglia dell’amatissimo marito Hippolyte, racconta nel libro La mia guerra di spagna (Alegre) come fuggì dalla cattedrale di Sigüenza, dove si erano asserragliati i suoi miliziani assediati dai nazionalisti. Armand, che girava con la troupe per raccogliere testimonianze filmate sul conflitto, riferisce invece nel suo Attraverso la mitraglia (ora pubblicato per la prima volta in Italia dalle Edizioni Spartaco) di aver incontrato due ragazzi scappati dalla stessa cattedrale «insieme a una francese». In realtà la Etchebéhère era nata in Argentina da genitori ebrei russi, ma aveva sposato un francese, di cui portava il cognome (quello da nubile era Feldman): per il resto i dettagli coincidono.
Si siano conosciuti o meno, di certo Armand e Mika condividevano lo stesso spirito sovversivo, spontaneista e libertario. Quello in nome del quale le masse rivoluzionarie spagnole, con le armi in pugno, avevano impedito il successo del golpe militare scattato nel luglio 1936, consentendo alla Repubblica (poco amata, per la verità, soprattutto dagli anarchici) di sopravvivere all’assalto iniziale di Francisco Franco. Tuttavia, per quanto coraggiose e motivate, quelle milizie di partito e sindacato, male armate e senza esperienza, composte anche da ragazzini imberbi e stanchi ultracinquantenni, non potevano reggere sul fronte l’urto di truppe bene addestrate (compresi i temuti «mori», mercenari marocchini), appoggiate e rifornite dal Terzo Reich e dall’Italia fascista.
Mika dedica pagine splendide a descrivere gli stenti dei suoi uomini, di cui si occupava con una sollecitudine quasi materna, da «capitano-massaia che veglia su soldati-bambini». Invece Guerra non partecipò ai combattimenti, e forse anche per questo nelle sue parole risuonano accenti di più spiccato fervore ideologico (a volte anche un po’ ingenuo), per esempio contro il denaro e la religione, mentre la Etchebéhère dà sempre prova di una salda concretezza, tipicamente femminile.
Da entrambi i libri emerge come la Repubblica spagnola, per resistere ai franchisti (vi riuscì per quasi tre anni, fino al 1939), non potesse far altro che militarizzare le sue forze e accettare l’aiuto di Mosca, visto che da Londra e Parigi non arrivava alcun supporto: d’altronde era difficile chiedere ai capitalisti britannici di sostenere chi li avrebbe volentieri espropriati. Così lo slancio rivoluzionario si affievolì, mentre i comunisti stalinisti poterono imporsi, fino a reprimere con violenza il Poum di Mika e gli anarchici come Armand. Di quegli eventi i due libri non trattano direttamente, poiché terminano in una fase precedente allo scontro. Ma si avvertono distinte, soprattutto nel racconto di Mika, le avvisaglie di ciò che accadrà. «Chi tiene il coltello dalla parte del manico adesso — esclama uno dei suoi miliziani, fieri di essere guidati da una donna nonostante l’istintivo maschilismo — sono i comunisti, in virtù delle armi sovietiche… E noi chi siamo? Quattro gatti spelacchiati […]. La storia non dirà niente di noi, perché siamo dei trotskisti del Poum».