Taranto, le prospettive del movimento
Non c’è stata la solita guerra dei numeri. E, credo che, veramente non importa il numero che ha partecipato al presidio di piazza Immacolata (una volta si chiamava Giordano Bruno l’eretico). Certo un po’ di eresia c’è in quello che succede a Taranto. Partito, quasi per caso, il movimento è cresciuto nel giro di tre settimane, grazie alla stupidità dei soliti burocrati sindacali. La piazza, arroventata da un sole che non dà tregua, si è riempita poco a poco. Si è sentito subito l’entusiasmo della presenza prevalentemente di giovani, anche se non mancava una buona presenza di persone più avanti negli anni.
Gli operai riconosciuti come portavoce rilasciavano interviste a nome del “Comitato di cittadini e lavoratori liberi e pensanti”, che in un primo momento poteva sembrare un nome proveniente da un’altra epoca. Volutamente o meno, il nome è il prodotto di uno stato d’animo degli operai che hanno lanciato questo comitato. Il tappo che gli apparati sindacali, i partiti maggiori, le istituzioni tutte, hanno messo su qualsiasi iniziativa di associazioni ambientaliste, gruppi di cittadini e via discorrendo. Quello che, però, era mancato fino ad ora era un’iniziativa operaia che rompesse la cappa di silenzio che aleggiava sulla città. Ecco, ora è successo. Un gruppo di operai decide di mettersi insieme e di irrompere nella storia, in una città che, certo, non è mai stata facile per le iniziative di piccoli gruppi che pur facendo battaglie giuste non hanno mai ricevuto grandi ascolti. Questo gruppo di operai sembra molto credibile. E questa credibilità gli è derivata dalla richiesta di parola negata dagli ottusi apparati sindacali e contro i quali si è rivoltata l’intera piazza della Vittoria il 2 agosto.
Torniamo al 17 agosto, ore 9 un giorno non certo propizio per una iniziativa di piazza. La città è semideserta (per usare un eufemismo), eppure un bel numero di giovani, donne, e cittadini vari, confluiscono e si sparpagliano alla ricerca di un po’ di ombra. Poi, arriva il primo annuncio d’inizio degli interventi di chi vuole parlare dal palco. Si converge sotto il palco e, uno dei due portavoce grida: “Chi vuole intervenire dia il nome, potete intervenire anche tutti…”. Poi passa la parola all’operaio che più di altri è riconosciuto come uno degli animatori più convinti della strada da percorrere. Sale l’entusiasmo, gli applausi e i cori si fanno insistenti. Si comincia a “dedicare qualche pensierino” ai due ministri che dovranno arrivare verso le ore 11. Gli interventi che si susseguono sono ancora prevalentemente di denuncia. Ancora non si sono fissati gli obiettivi da rivendicare. La cosa centrale che si dice è che “Non siamo più disposti a subire ricatti fra lavoro e salute”; o anche “I soldi che vogliono dare all’ILVA li dessero ai lavoratori per fare cooperative, aziende che i giovani gestiscano da soli”.
Si dicono anche cose interessanti, del tipo “vogliamo decidere il nostro futuro”; “E’ finito il tempo della delega”. Il dibattito su cosa vogliamo, stenta a fare passi avanti. A un certo punto, intorno alle 11.30, dal palco viene detto: “ora faremo il corteo”. Come si può immaginare, l’entusiasmo esplode e accoglie questa proposta favorevolmente. Il corteo era stato vietato, anche se il percorso era tutt’altro, per cui non si è capito bene se poi c’è stato un approccio con la polizia che ha consentito il piccolo percorso da piazza Immacolata a piazza della Vittoria, di circa 150/200 metri che è in direzione del palazzo della Provincia e della Prefettura. Nel breve tratto che separa le due piazze, probabilmente la presenza di persone si è ingrossata, e giù parole d’ordine alcune delle quali irripetibili. Arrivati alla meta, senza alcun problema, si è continuato col microfono aperto.
Alcune considerazioni, a questo punto, vanno fatte. E’ fuori discussione la positività di questo movimento. Un movimento nato per contestare l’Ilva ma che poi ha allargato le contestazioni ad altri siti industriali come L’Eni, la Cementir di Caltagirone o anche le centrali Enipower, le centrali della stessa Ilva; gli inceneritori del Comune di Taranto e quello della Marcegaglia; le discariche ecc. Ma, il modo in cui si conclude l’intervista fatta il 13 agosto 2012 a Cataldo Ranieri, al di la delle cose interessanti che dice, fa emergere un anti industrialismo radicale, che denota la forte influenza di settori ambientalisti che sono contro qualsiasi industria, a prescindere. Riporto la frase di Ranieri integralmente per non incorrere in interpretazioni sbagliate: “I tarantini vogliono tornare a essere padroni del proprio territorio, e quindi del proprio destino. Noi vogliamo un’economia diversa non una città industriale”.
Ecco, è contro queste posizioni che bisogna battersi se non si vuole scivolare verso un conflitto della parte preponderante degli operai (e non solo dell’Ilva), contro l’altra parte, infinitamente minoritaria, insieme a un settore della città; la seconda questione è rappresentata dalla composizione del Comitato. Ora, che il Comitato sia interclassista è una cosa ovvia, lo dice il nome stesso “cittadini e lavoratori” che, facendo anticipare “cittadini” a “lavoratori”, sostiene che prima che operai, si è cittadini, ponendo un rifiuto, anche se non esplicito, della propria appartenenza, una distanza, che lasciatemelo dire, è sempre presente in questo pezzo di classe operaia; il terzo aspetto riguarda la presenza del comitato in fabbrica, al momento completamente assente in forma organizzata. Per ora, tutta l’attività si svolge all’esterno.
Con gli operai del comitato andrà mantenuto aperto un confronto che partendo dalla forma organizzativa passi a discutere degli obiettivi quali: l’esproprio dell’Ilva e il cambiamento del ciclo produttivo, che renda accettabile la fabbrica con la città, per ridare dignità a tutti i lavoratori che da quando è arrivato Riva è andata scemando.
* ex operaio Ilva