Tutti i misteri della lettera di Cucchi
La lettera di Stefano esiste ma porta con sé altri misteri. Ed è stranissimo che, due mesi dopo la riesumazione della salma – proprio per fare una tac – non siano ancora stati depositati in Procura i dischetti con le immagini attese dai legali della famiglia.
Ecco la lettera: «Caro Francesco sono al Sandro Pertini, in stato d’arresto. Scusa se stasera sono di poche parole ma sono giù di morale e posso muovermi poco. Volevo sapere se potevi fare qualcosa per me. Adesso ti saluto, a te e agli altri operatori. Ps per favore rispondimi». Francesco è un operatore del Ceis, la comunità terapeutica di don Picchi.
La lettera di Stefano, la cui esistenza è stata anticipata da ilmegafonoquotidiano il 12 gennaio scorso l’ha consegnata l’altroieri il Ceis alla famiglia. Cucchi la scrisse la sera del 21 ottobre, dopo quattro giorni di rifiuto di cibo, acqua e di quasi tutte le cure. Gesti estremi finalizzati a incontrare un avvocato. Fuori dal “repartino”, ogni giorno, la famiglia sbatteva al muro di gomma delle amministrazioni che non consentivano né un colloquio, come d’uopo visto che il loro parente era detenuto, ma neppure un incontro coi medici per sapere come stava il geometra trentunenne arrestato la sera del 16 ottobre per possesso di pochi grammi di “fumo”. Primo mistero: perché la lettera è datata 20 ottobre? Forse Stefano, stravolto dalla durezza delle sue condizioni – era paralizzato a letto da quanto è dato sapere – sbagliò a contare i giorni. Forse. Ma un altro mistero è ancora più inquietante: la lettera fu spedita probabilmente dal Pertini, il 26 ottobre, lunedì. Cucchi era già morto all’alba del 22 ottobre e domenica 25 la vicenda era stata narrata per la prima volta sulla prima pagina di Liberazione. Questo recita il timbro sulla busta dove l’indirizzo, è stato compilato da una mano diversa da quella della calligrafia affaticata della lettera, ennesimo tentativo di far arrivare la sua voce all’esterno del sistema carcerario che lo aveva seppellito vivo, vistosamente segnato dal “contatto” con gli uomini in uniforme che ne avrebbero dovuto garantire l’incolumità durante la detenzione. Una frettolosa e distratta udienza di convalida gli aveva negato i domiciliari con la stranissima motivazione della mancanza di una fissa dimora sebbene la notte dell’arresto i carabinieri gli perquisirono la camera nell’appartamento di famiglia.
Ma chi ha scritto l’indirizzo e chi ha spedito la lettera? E ancora: perché la comunità ha impiegato così tanto tempo per metterne a conoscenza la famiglia? Don Mario Picchi, fondatore del Ceis, racconta di come, nei giorni in cui Cucchi era in carcere, fosse travolto da un doppio lutto. «Poi i miei collaboratori mi hanno fatto presente di quella lettera e allora ho detto che l’avremmo consegnata quando ce ne sarebbe stato chiesto conto». Tutto ciò è accaduto il pomeriggio di venerdì scorso mentre alcuni giornali ricamavano da alcune ore su presunte fratture antiche che smentirebbero le responsabilità di un ipotetico pestaggio nella morte di Cucchi. «Ma quali fratture – sbotta Fabio Anselmo, il legale della famiglia – si tratterebbe di ernie. Due mesi dopo la riesumazione della salma non sono stati depositati in Procura, e non abbiamo ancora avuto, i dischetti con la documentazione delle fratture, quella consegnata finora contiene solo immagini che nulla hanno a che fare con le lesioni alla colonna vertebrale.