Uno sciopero quasi generale
La risposta della Fiom alla Fiat si chiama “sciopero”. Di otto ore proclamato per il 28 gennaio in tutto il comparto metalmeccanico, e non solo nel gruppo Fiat come era nelle intenzioni iniziali. E poi, raccolta popolare di firme contro l’accordo; dichiarazione di “illegittimità” del referendum di Mirafiori – in quanto si tiene su diritti “non disponibili” come lo sciopero o la salute – senza indicazione di voto; un’assemblea di delegati il 3 e 4 febbraio per decidere come proseguire la lotta. Una risposta dura, quindi, che più che a Sergio Marchionne sembra rivolta al resto del mondo industriale per avvertire che se il modello di Pomigliano e Mirafiori verrà esportato allora la conflittualità in fabbrica sarà destinata a crescere. Sulla sua proposta, il segretario generale Maurizio Landini ottiene un consenso forte, 102 voti a favore, nessun contrario e 29 astenuti che appartengono alla minoranza guidata da Fausto Durante. Che si astiene, e non vota contro, perché non condivide l’accordo di Mirafiori ma, allo stesso tempo, continua a non condividere la linea che la Fiom si sta dando. L’area legata alla maggioranza della Cgil – che però perde il pezzo di “Lavoro&Società – propone infatti di dare battaglia esplicita per il No al referendum e di firmare “tecnicamente” l’accordo in caso di vittoria dei Si.
La linea della Fiom, invece, resta quella di sempre: fermezza sulla difesa del contratto nazionale, strategia conflittuale, un certo “movimentismo”, come quando si richiede ai vari soggetti che hanno aderito alla manifestazione nazionale del 16 ottobre di tornare a farlo a fine gennaio nelle varie manifestazioni regionali. L’idea, non esplicitata, è quella di realizzare una giornata a metà strada tra lo sciopero di categoria e lo sciopero generale, già richiesto alla Cgil ma che Susanna Camusso non ha intenzione di proclamare. Anche se, questa volta, le distanze tra Fiom e Cgil si riducono. Vincenzo Scudiere, della segreteria nazionale di Corso Italia, è intervenuto al Comitato centrale dei metalmeccanici con una posizione dialogante – “l’accordo di Mirafiori serve a buttare la Fiom” – e in questo momento la battaglia contro Sergio Marchionne è comune. La differenza principale è che Susanna Camusso spera in una presa di distanza da parte di Confindustria, e punta a rilanciare un nuovo tavolo sul modello contrattuale e sulla rappresentanza, mentre in Fiom considerano questa eventualità o “illusoria” oppure “poco probabile”.
In ogni caso lo sciopero, come spiega lo stesso Landini, serve per dire alle imprese “di non seguire la Fiat”. Perché se davvero si vuole andare con la logica aziendalista del “caso per caso”, allora la Fiom è preparata all’evenienza. Non è un caso che lo sciopero sia seguito da un’assemblea dei delegati per discutere del contratto nazionale futuro, da riconquistare, ma anche di come proseguire quella che Cremaschi chiama “la guerra dei trent’anni”.
Il problema di strategia, in ogni caso, esiste. A caldo si tratta di dimostrare la compattezza dell’organizzazione e tutte le anime che compongono la maggioranza, da quella più radicale di Cremaschi a quella più sindacale di Airaudo fino allo stesso Landini, sono concordi nel sottolineare l’importanza della riunione di ieri, la sua “consapevolezza” e la sua “determinazione”. Anche l’astensione della minoranza è valutata positivamente. Nel medio periodo, però, la sfida più dura è quella di riconquistare il contratto. Basterà lo scontro frontale, la “guerra di movimento” di cui parla Cremaschi o, semplicemente, il movimentismo tenace di Maurizio Landini? Le alleanze vanno dai centri sociali di Luca Casarini fino alla politica più classica. Si guardi, ad esempio, all’Associazione “Lavoro e Libertà” nata su iniziativa di Sergio Cofferati, Fausto Bertinotti, Rossana Rossanda, Stefano Rodotà, Luciano Gallino e altri. Per ora niente di più che una forma di sostegno alla Fiom ma anche un’allusione a quel “Partito del Lavoro” di cui hanno parlato, in momenti diversi, sia Cofferati che Bertinotti ma soprattutto Gianni Rinaldini, oggi portavoce della minoranza Cgil ma che resta sempre il “nume tutelare” dell’attuale Fiom. Una prospettiva aleatoria che però la crisi verticale del Pd potrebbe improvvisamente far tornare di attualità. Del resto non è un caso se Landini abbia ieri invitato proprio il Pd ad “andare a lavorare in fabbrica” prima di esprimere i suoi giudizi sulla vertenza di Mirafiori.
L’altra questione è come cambierà il rapporto con la Cgil. Oggi, sull’onda dell’iniziativa di Marchionne, la Cgil che non ha molte chances di ricostruire un quadro unitario con Cisl e Uil e nemmeno di riuscire a dividere la Fiat da Confindustria. Ma in Fiom, nella stessa maggioranza, c’è chi pensa che Fiom e Cgil non possano andare avanti “disallineate” e debbano trovare una più convinta unità. “Marchionne ha mutato il quadro – ci dice Giorgio Airaudo, segretario piemontese – e la geografia interna al sindacato uscita dal congresso non è più sufficiente”. Al negoziato, sia pure al ribasso, sulla rappresentanza non crede nessuno ma se quel tavolo si aprisse tutto il dibattito sindacale ne verrebbe modificato.