Usa, il lavoro in piazza per lo stato sociale
Per quanto ampiamente oscurata dai media americani, la manifestazione del 2 ottobre 2010 al Lincoln Memorial a Washington è stata probabilmente la più grande manifestazione sindacale degli ultimi venti anni. Decina e decine di migliaia di lavoratori e lavoratrici, forse 100mila (numeri non italiani), provenienti da diverse parti degli Stati Uniti, si sono ritrovati al Lincoln Memorial, il parco in cui Martin Luther King tenne lo storico discorso “I have a dream”, il 28 agosto del 1963. La manifestazione, “One Nation Working Together” è stata lanciata da una rete composta oltre 400 tra sindacati (tra cui AFL-CIO), organizzazioni per i diritti civili (tra cui NAACP) e organizzazioni non profit, giovanili, religiose, pacifiste. Tra i principali punti della manifestazione, la protesta contro la crescente disoccupazione, uno degli effetti principali della crisi, la richiesta di un’estensione delle garanzie sociali per i disoccupati e di finanziamento di un’istruzione pubblica di buon livello, l’emergenza abitativa e la richiesta di un sistema fiscale più equo. Non sono state poche le voci a farsi sentire contro la guerra e per il ritiro immediato dall’Afghanistan, non solo quelle di organizzazioni dichiaratamente pacifiste come Code Pink, ma anche quelle di organizzazioni sindacali come 9911 SEIU (sindacato dei lavoratori della sanità, che ha esplicitamente appoggiato la riforma sanitaria di Obama). E ovviamente l’opposizione a guerra, razzismo e politiche liberiste ha animato la partecipazione delle forze socialiste, presenti sia negli spezzoni sindacali, sia nel “socialist contingent”, promosso tra gli altri da ISO, Solidarity, alcune sezioni locali del Socialist Party e da Dan La Botz, candidato per la Socialist Party campaign per il Senato nell’Ohio.
Si è trattato insomma di una manifestazione centrata sulla difesa dell’occupazione e di quel poco di stato sociale e di giustizia sociali esistenti negli Stati Uniti. Se queste sono state le principali parole d’ordine su cui è stata lanciata la campagna “One Nation”, le circostanze politiche in cui è stata organizzata sono decisive per comprenderne fino in fondo la natura. L’opposizione al Tea Party, e la crescente preoccupazione per l’evidente capacità con cui questa corrente ultraliberista di estrema destra sta riuscendo a imporsi nel dibattito politico, è stata infatti una delle ragioni principali della promozione della manifestazione. A due anni dall’elezione di Obama, illusioni e speranze che hanno non solo accompagnato, ma permesso la sua vittoria elettorale, in particolare tra la popolazione afro-americana, sono state ampiamente deluse non solo dallo slittamento in senso conservatore della sua politica estera, ma soprattutto dalle politiche adottate per far fronte alla crisi. Di fronte a una disoccupazione e a una sotto-occupazione che hanno ormai raggiunto il 25%, il succo delle politiche economiche di Obama si può riassumere nei miliardi di dollari investiti nel salvataggio delle banche, nell’aumento dei finanziamenti militari e nei crescent tagli a salari, pensioni e servizi pubblici. La tanto declamata riforma del sistema sanitario anziché garantire il promesso accesso universale all’assistenza sanitaria, ha rivelato di essere un autentico bidone. La riforma, infatti, prevede lo stanziamento di finanziamenti pubblici che consentano ai cittadini americani di stipulare un’assicurazione sanitaria con compagnie private. Il risultato del processo sarà che 23 milioni di persone rimarranno comunque privi di assicurazione per nove anni e che i cittadini americani saranno costretti ad acquistare servizi assicurativi scadenti, I quali copriranno solo il 70 percento delle spese mediche, assorbendo nello stesso tempo il 9,5 percento dei loro redditi.
Non è per nulla strano che in una situazione di questo tipo, il Tea Party stia riuscendo a imporsi nel dibattito politico nazionale e a crescere al di là delle aspettative e i Democratici diano crescenti segni di difficoltà. Tra circa un mese si svolgeranno le elezioni di medio termine. Questo appuntamento e le preoccupazioni dei sindacati per la possible sconfitta dei Democratici hanno giocato un ruolo evidente nel lancio della campagna One Nation. La grandissima parte dei partecipanti alla manifestazione, con una forte presenza afro-americana, rappresenta, infatti, un pezzo di elettorato di Obama, un pezzo di working class che nell’elezione di Obama ha visto la possibilità di una svolta decisiva in direzione di una maggiore giustizia sociale. In questo contesto, il senso della manifestazione era quindi duplice. Da un lato, dare un segnale forte rispetto all’aggressività del Tea Party, opponendosi sia ai suoi attacchi ultraliberisti, sia al profondo razzismo di cui si fa portavoce: da qui il titolo della manifestazione, “One Nation working together”, cioè un’unica nazione senza divisioni razziali, accomunata dal lavoro. Dall’altro, cercare di ricordare a Obama la promessa di cambiamento di cui si era fatto espressione e per la quale era stato votato. La manifestazione del 2 ottobre svolge dunque un ruolo centrale, in un contesto in cui, in assenza di una forte opposizione sociale su scala nazionale alla crisi e alla crescita della disoccupazione, e di fronte alle disillusioni prodotte dalla politica dell’amministrazione Obama, la crescita di un’estrema destra razzista rischia di rappresentare una possible, se non probabile, evoluzione politica dell’attuale situazione. D’altro canto i suoi limiti sono evidenti, a partire ovviamente, dall’appoggio, seppur preoccupato, ai Democratici in vista delle elezioni di medio termine. Ma è lo stesso titolo della manifestazione, “One Nation”, a parlare del legame tra questa manifestazione e la difficoltà strutturale di soggettivazione della classe operaia americana, in particolare della sua incapacità di dar vita a un’espressione politica autonoma dei propri interessi. La “nazione”, interpretata come la terra del sogno americano e delle opportunità per tutti, idea rilanciata dall’elezione di Obama nella versione tormentone dello “yes, we can”, rimane il terreno ideologico e politico di autorappresentazione della working class statunitense. Una nazione che sostiene di avere come spina dorsale il ceto medio, laddove “ceto medio” è il modo in cui la parte della classe operaia Americana che gode di una certa sicurezza sul lavoro, che ha accesso a un’assicurazione sanitaria, che gode di un contratto sindacale, si autorappresenta.
Per informazioni:
http://www.onenationworkingtogether.org
http://socialistworker.org/
http://www.pnhp.org/news/2010/march/pro-single-payer-doctors-health-bill-leaves-23-million-uninsured