Chi ha paura del Bono cattivo. Massimo Palma da Pagina 99
di Massimo Palma (da “Pagina 99” del 1/03/2014)
Un’inchiesta che smonta il mito del “nababbo caritatevol. In un libro che aiuta a odiare il frontman della band. E fa soffrire chi lo ama.
Dopo una carriera di parole scialacquate in musica, retorica e politica, alfine la mannaia è caduta su Paul D. Hewson, detto Bono. Il libro di Harry Browne, The frontman. Bono (nel nome del potere), magistralmente tradotto per Alegre da Alberto Prunetti su iniziativa di Wu Ming 1 (288 pagine, 15,00 euro), è documentato, aggressivo, è lettura liberatoria per chiunque abbia di uguaglianza e giustizia un’idea non formale. E per chiunque detesti Bono. Per chi lo ama, è invece travaglio, espiazione, domande.
Certo, che non ci sia “niente di personale”, come affermato all’inizio, fa sorridere. Nè il testo convince ovunque: la parte irlandese, la prima, è spesso debole nelle argomentazioni di dettaglio e sovente un odio cordiale e immotivato prende il sopravvento sull’ordito (si legge persino, bonjour finesse, di “stronzate escrete” da Bono, facendo l’eco a un episodio di South Park).
La vicenda è nota: dal 1999 Bono è impegnato a chiedere aiuti “concreti” per l’Africa, dismettendo una carità inutile, dice, per render la povertà storia, dice. In The frontman viene confermato il sospetto sorto spontaneo già anni fa, a vederlo stringer mani a Bush, a Wolfowitz, a Blair. Stringitore di mani, lobbysta, miliardario, ha finito per fare il gioco dei potenti che voleva usare. Il libro svela il suo mescolarsi col potere, col turbo-capitalismo, col neocolonialismo rapace e, peggio. con la carità pelosa. Dirada i fumi di una narrazione narcotizzante, fatta ostentando buonafede assieme a un pragmatismo da problem-solving opaco negli effetti, paternalista nelle intenzioni, nullo a lungo termine.
Per Browne Bono assurge a individuo cosmico-storico, capaci di agire, influenzare, dire il male e farlo. L’autore maltratta il carrierista, smaschera il colonialista, denuncia l’affarista, chiede a Bono la consapevolezza dell’intelettuale, l’accountability del politico, poi ne biasimia la teatralità. Ebbene Bono si merita un trattamento del genere , per la logorrea strabica ha cui ci ha abituato, interrompendo in concerto le canzoni per farne orazioni con questi risultati (ma non tutti sono letame). Ecco quindi il libro-epitaffio che aiuta a odiarlo (o a farlo meglio), che ne sottolinea i difetti, la malafede, le marce indietro, il moderatismo che aborre la lotta, l’ideologia “organica” alle politiche che sostiene di combattere.
Morte dunque alla più incantevole, contraddittoria voce, al più squisito dei fools, che dal rock’n roll era precipitato nel cabaret mefistofelico, nella provocazione warholiana, per poi tronare spedito, ormai “politico” affermato, a mieter successi urbi et orbi.
E’ un libro utilissimo, The frontman, ma uccide un Bono morto, cristallizzato nella stessa recita da 15 anni, cantante una volta al lustro. Eppure c’è stata altra vita, nella vita di Bono, oltre ai suoi discorsi, qui integralmente elisa. E se pare proprio che gli U2 non siano “una cover band degli Eagles che aveva preso un po’ di velocità dal punk e qualche posa sa David Bowie”, colpisce la tenace indifferenza di Browne al concetto di “pop”, in cui gli U2 nascono e di cui sono stati interpreti brillanti. Sarebbe stata un’altra chiave di lettura per le pose, parole e credenze di qust’icona fragile del nostro tempo.