Gli “Automotivati” a Radio Onda d’Urto, nella puntata del 15 giugno di “Scuola resistente”
Con Paolo La Valle, attualmente insegnante in Emilia Romagna, parliamo di questa ricca regione attraverso il suo ultimo libro dalla copertina fortemente evocativa, “Gli automotivati. La love story tra scuola e motori” per le Edizioni Alegre.
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L’immagine di copertina ci illustra una classe scolastica semideserta posizionata idealmente sull’asfalto di un autodromo nella posizione in cui i bolidi prendono l’avvio per la gara: un unico studente, di spalle, con un casco da formula 1 guarda l’orizzonte e dal braccio alzato si percepisce chiaramente che è giunto al traguardo…ma da solo. Ed è proprio intorno al concetto di competizione individualistica che ruota gran parte dell’intervista a Paolo La Valle.
L’Emilia Romagna, da sempre associata ai capisaldi dell’agro-industria attraverso i suoi prodotti-simbolo dal parmigiano, al prosciutto, dalla piadina fino ai tortellini, è nota in tutto il mondo anche per un altro tipo di industria anch’essa tragicamente impattante sul piano ecologico, quella dei motori soprattutto nella nicchia dell’extra-lusso con i marchi Ferrari, Maserati, Lamborghini, ecc… Al di là dell’inutilità di mezzi di locomozione a quattro ruote dal costo equivalente a tre o quattro appartamenti, o allo stipendio di intere generazioni degli stessi operai specializzati che vi lavorano (per non parlare dell’ipocrisia della voce “sostenibilità” che immancabilmente si trova nei menù dei siti web di queste case costruttrici), ciò che interessa particolarmente Scuola Resistente è la cultura che permea tutto il sistema scolastico romagnolo indagata con gli occhi di un insegnante nel cuore stesso del sistema culturale, la scuola che ne permette la sua riproducibilità nel tempo ma anche teoricamente anche la sua messa in discussione per un suo miglioramento nel tempo. Si tratta, come si accennava, di valori legati in qualche modo alla competizione, alla gara per guadagnarsi un posto in prima fila per entrare da impiegato o operaio specializzato in uno di questi prestigiosi “brand” che aprono le porte a pochi ma bravi studenti.
La Valle a questo punto ci parla del connubio perfettamente logico tra il concetto di merito, di cui si fa tanto parlare, e questa opportunità per pochi “eletti” che spesso nasce come effetto collaterale dei PCTO (ex alternanza scuola-lavoro) svolti all’interno di queste prestigiose aziende.: per alcuni di loro, i più bravi, può ripetersi per due anni consecutivi. Come sottolinea La Valle, tra l’altro, nessuno riflette mai sul fatto che essere inseriti tra i più “bravi” spesso dipende dall’ambiente familiare e culturale di provenienza e non solo dalla buona volontà del singolo. Così si instaura, fin dai primi anni degli istituti tecnici, quella spirale competitiva in cui la maggior degli studenti alla fine si convince di far parte di quella piccola maggioranza della classe che non potrà mai ambire a quei posti. Considerando che a parità di competenze, lo stipendio-base all’interno di questi marchi di lusso è superiore alla media degli altri comparti metalmeccanici potendo inoltre usufruire anche di un ricco welfare aziendale, i ragazzi, (in gran parte, peraltro sono di genere maschile) si abituano anche all’idea di un lavoro di serie a ed uno di serie b.
Nell’intervista si sottolinea anche la forte connotazione di genere, declinata al maschile, di questo tipo di cultura che riesuma o mantiene in vita anche un armamentario arcaico fatto di stereotipi e pregiudizi, un po’ come, nel periodo del boom economico, i calendari “osé” che troneggiavano in bella vista sulle parti delle officine di meccanici, carrozzieri, gommisti o elettrauto. La Valle poi introduce il capitolo decisivo della sostenibilità ambientale e dell’impatto ecologico. Qui si parla, infatti, di un tipo di produzione che impatta fortemente sul consumo di territorio che in Emilia Romagna è tra i più asfaltati e colonizzati da capannoni che poi vanno sott’acqua immancabilmente alle prime bombe d’acqua. Quello che manca, secondo l’autore, è soprattutto una consapevolezza di fondo del rapporto con la natura che sicuramente non si risolverà con la mobilità elettrica per certi versi ancora più impattante della prima se si pensa all’uso intensivo dell’acqua e anche qui del territorio per la produzione delle batterie o l’uso del petrolio nell’utilizzo delle plastiche per le macchine o macchinette sedicenti ecologiche. Da qui si ritorna quindi al titolo del libro che più in generale evoca una cultura che dà, appunto, una forte “motivazione” alle giovani generazioni, verso la mobilità a quattro ruote invece che ad un’altra filosofia di “mobilità”, più lenta e che non ha quindi più bisogno di esaltarsi con le gare negli autodromi che sempre più spesso vedono protagoniste anche i bolidi elettrici. Insomma anche la filiera dell’automotive ”green” può impattare come se non più della vicina di azienda che lavora intorno ai motori termici.
Le scuole, inserite in un contesto del genere, se non allenano al pensiero critico intorno al nostro modello economico ”occidentale”, rischiano di fare da gran-cassa a questa esaltazione della meccanica nonché di produrre forza lavoro inconsapevole e acritica rispetto i capisaldi (consumistici ed estrattivistici) del nostro modello fondato unicamente sul profitto. Maschilismo, competitività estrema, impronta ecologica sono purtroppo solo alcuni dei effetti negativi sugli ”automotivati” perché ci sarebbe anche il tema della salute che la cosiddetta ”motor valley” è stata anche ribattezzata ”tumor valley”.